… come farai a sfondare un
muro senza farti sentire?...
Alla reception dell’albergo suonò il telefono: «Pronto, Hotel Commercianti, sono Riccardo, in cosa
posso essere utile?» «Desidererei parlare con la signora Serena Orsi,
c’è?» «Chi devo dire?» «Avvocato Rosati, Uberto Rosati.» «Un attimo, prego.» Riccardo sollevò un citofono interno e informò della
telefonata la titolare dell’albergo. «Puoi passarmelo.» Fu la laconica risposta della
donna. Quando sentì il passaggio di comunicazione, Serena
cambiò tono, diventando da professionale qual era, allegra, quasi raggiante: «Pronto, ciao Uberto, come stai? È un po’ che non ti
fai vivo, mascalzone.» «Hai ragione, Serena, ma sai com’è, il lavoro…» «Sì, ovviamente il lavoro. Quindi, se mi telefoni è
solo per lavoro, ho indovinato, vero? E allora fuori, dimmi cosa vuoi.» «La stanza del penultimo piano, quella che fa angolo
nella zona antica dell’hotel è libera?» «La 323? Sì è libera da domani, con chi ci devi
venire? Chi è stavolta la pollastrella?» «Non è per me… È per una mia collega e il suo
ragazzo.» «Da avvocato a ruffiano… vedo che non hai cambiato
lavoro.» «Spiritosa… Va bene fissamela pure. Mi occorrono
però anche le stanze sopra e sotto la 323.» «Quella sopra, la “Stanza degli affreschi” è già impegnata e non so quando si libererà.
Quella sotto, invece e libera. Che facciamo?» «Va bene, prendo solo quella; ci vengo a dormire io,
se per caso faccio tardi la sera con loro. Non so, però per quanto tempo le
occuperemo, ma te lo saprò dire poi.» «Fai quello che vuoi, non ci sono congressi né fiere
a Bologna, e quindi camere libere ne ho da stancarmi… Spero però che si possa
finalmente fare quattro chiacchiere fra noi da vecchi amici» «È durissima in questo periodo, ma ti prometto che
una sera t’invito a cena.» «Va bene ci conto…» «A proposito di conto… Quello dell’albergo lo mandi
al mio studio, mi raccomando, con regolare fattura.» «Non mancherò, avvocato, ciao.» Serena rimase un po’ perplessa per le strane
prenotazioni fattegli dall’amico Uberto, ma non ci diede peso più di tanto.
Lui era sempre stato un tipo strano e col passar degli anni non le sembrava
che potesse (o volesse) cambiare. Dall’altra parte del telefono, Rosati si rivolse a
Veronica: «Tu e Ànghelos sarete domattina all’Hotel
Commercianti, stanza n. 323. È quella il cui piancito poggia sulla sommità
del pilone di macigno. Portate tutto l’occorrente per la ricerca. Io sarò
nella camera immediatamente sotto di voi. Così al massimo disturberete me e
non susciterete lamentele da parte di estranei.» L’uomo… … entrò nella stanza che aveva prenotato
all’Hotel Commercianti e che la ricezione aveva definito “degli Affreschi”.
Era all’ultimo piano, una specie di mansarda storica più che affascinante,
romantica
Era molto
soddisfatto sotto tutti i punti di vista di quella scelta e per varie
ragioni: innanzi tutto, perché quella stanza sarebbe stata la più idonea per
seguire, non visto, (e sentire) i “lavori” in cui quel greco si sarebbe certamente
impegnato nella camera immediatamente sotto; poi, perché più di una semplice
stanza d’albergo era una suite splendidamente mansardata con salottino
annesso e, quindi, ariosamente ospitale e comoda; infine perché dall’unica
finestrina che si apriva alla parete esterna in fondo al letto e fra le
pareti affrescate nel Duecento da chissà chi, si poteva vedere la fiancata
della chiesa di San Petronio, con le sue fantastiche, enormi bifore e il suo
notevole campanile. Non sapeva
dove l’aveva letto, ma quando la chiesa di San Petronio era ancora da
costruire, quella finestrina, si apriva a balcone su di una pubblica piazza,
e permetteva la lettura al popolo sottostante delle delibere che il comune assumeva. La bella ragazza della reception, il cui cartellino
sul bavero la indicava come Graziella, guardò quasi invitante i due nuovi
venuti, un uomo e una donna: «Benvenuti all’Hotel Commercianti, in cosa posso
esservi utile?» Fu la donna a rispondere: «Buongiorno, mi chiamo Monti, Veronica Monti, dovrebbe
esserci una camera prenotata a mio nome dall’avvocato Rosati…»
«Verifico subito … Sì, ed è proprio la stanza che
l’avvocato aveva espressamente richiesto: la n. 323. Benvenuti all’Hotel Commercianti.
Se mi volete lasciare i vostri documenti … una firma qui …. questa è la
vostra chiave … penultimo piano, l’ascensore è là in fondo… Vi chiamo subito
un inserviente per i bagagli.» «Non importa – disse Ànghelos – facciamo da soli.» «Come volete … Allora buon soggiorno e buona
permanenza ai Commercianti.» Graziella guardò i documenti e non poté fare a meno
di notare una stranezza: la stanza risultava prenotata per qualche giorno, ma
senza indicazione precisa della partenza e i due abitavano entrambi a
Bologna, anche quello di nazionalità greca; eppure avevano tre grosse valige,
come se giungessero da chissà dove per un soggiorno di settimane e settimane;
insomma, c’era una gran sproporzione fra la loro breve permanenza in hotel,
addirittura vicino a casa, e quell’eccesso di bagagli. Ma Graziella non poté
stare più di tanto a pensare a questa stranezza, perché al bancone si
presentò un altro cliente, questo con una sola e semplice ventiquattrore. «Benvenuto all’Hotel Commercianti, in cosa posso
esserle utile?» Il nuovo venuto si presentò come avvocato Uberto
Rosati e appena la ragazza ebbe sentito quel nome, si aprì in un grande
sorriso: «La signora Orsi mi ha lasciato detto che, appena
lei fosse arrivata, la dovevo accompagnare nel suo ufficio. Se si vuole
accomodare.» «Certamente.» Ma non ci fu bisogno di andare in ufficio, perché
Serena con uno smagliante sorriso apparve da dietro la reception: «Caro Uberto, finalmente ti rivedo!» «Son contento anch’io di vederti, Serena.» L’uomo… … abbassò
il giornale quel tanto per permettergli di vedere dalla poltrona della hall i
tre nuovi clienti dell’albergo, che lui conosceva bene. Avevano
fatto la stessa cosa che aveva fatto lui: prenotare immediatamente la “camera del tesoro”,
la 323, e andarvi per verificare con un sopralluogo le reali possibilità di
recuperare il nuovo messaggio. L’aveva
occupata alcuni giorni prima, per un soggiorno brevissimo, giusto il tempo
per avere la conferma di non poter far nulla per procedere a un qualsivoglia
recupero. No, lui non ne sarebbe stato mai capace, ma quel Kuotzaidènis certamente sì. Per
questo aveva liberato la stanza, ed era sicuro che nell’arco di pochissimo,
forse ore, il greco e gli altri due sarebbero giunti all’albergo Commercianti
richiedendo la 323. Così
ora soggiornava nella camera immediatamente superiore a quella “del Tesoro”
e, in quel momento, seduto sul divano della hall, sorrideva soddisfatto nel
vedere e sentire quei tre giungere alla spicciolata per occupare la 323, come
aveva esattamente previsto. E
se erano lì, avevano anche risolto l’indovinello trovato dentro le Mura di
San Vitale. «Come farai a sfondare un muro d’albergo senza farti
sentire e senza lasciare tracce?» Domandò Veronica a Ànghelos non appena fu
chiusa alle loro spalle la porta della stanza. «Vedremo … Ora, però dobbiamo localizzare il punto
esatto dove sfondare… dovrebbe essere in quell’angolo subito dopo la
consolle. Sembra piuttosto visibile, ma quando vi lavorerò, mettiamo un bel
cartellino alla porta col fatidico “non disturbare” e nessuno entra. In fondo
è plausibile… Siamo o non siamo due giovani sposi, o due amanti, in cerca di
solitaria intimità?» «No, non lo siamo, ma la servitù non lo sa e quindi
nessuno ci romperà le scatole.» «Però e strano: se nessuno ci romperà le scatole
perché dobbiamo sfondare un muro, non sarebbe meglio che fosse così per altri
motivi?» Ànghelos si allontanò sorridendo, prese una delle
valige e si ritirò nel bagno, per tornare dopo dieci minuti in tuta e con già
alcuni strumenti in mano. «Io comincio.» Le disse avviandosi verso l’angolo su
cui avrebbe dovuto affrontare la nuova ricerca e inchinandosi per un primo “esame di fattibilità”. «Ed io guardo il “Grande Fratello”» rispose Veronica accendendo la TV. L’uomo… … sembrava
non avere più problemi. C’erano altri che glieli stavano risolvendo. A lui
competeva soltanto seguirne i movimenti e, in quel momento, i movimenti
stavano avvenendo proprio sotto di lui, e se anche non sentiva alcunché,
immaginava quello che stava accadendo: il greco chinato che stava intaccando
mattoni e cementi nell’angolo della stanza che poggiava sul pilone esterno di
macigno, e la ragazza lì vicina che stava assistendone l’opera, porgendo a
richiesta gli strumenti come l’infermiera fa con il chirurgo. L’uomo
sorrise, pensando che in definitiva il paragone calzava. Quell’Ànghelos, era
in effetti un chirurgo che apriva un corpo per estrarne una parte interna.
Poi, sempre come un attento chirurgo, avrebbe richiuso ciò che aveva aperto,
cercando di farlo nel miglior modo possibile, per evitare tracce esterne,
sempre antipatiche e antiestetiche. Come previsto, il lavoro durò un paio di giorni.
Erano le sei del pomeriggio, quando Ànghelos, sorridendo di soddisfazione,
estrasse dall’incavo scavato nel muro due pepolesi
e il nuovo messaggio che, raccolto delicatamente, fu mostrato a Veronica. Nonostante,
però, l’ansia di verificarne il contenuto nessuno dei due volle dispiegare la
pergamena se non quando fosse giunto anche Rosati. Veronica prese in mano il cellulare: «Pronto, Avvocato, … Sì, sono io… Trovato! L’abbiamo
in mano… Se vuole, glielo leggo… No?... Viene su lei… subito?...
L’aspettiamo.» La sensazione fu che la chiusura del telefonino e il
bussare alla porta fossero quasi istantanei, come se Rosati, dal piano di
sotto, fosse salito volando. «Vediamo…» Disse. «Sull’antica
sacrale scalinata
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