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… dal portico di via San Vitale
che affianca disinteressato il Torresotto

 

Dal ritrovamento del primo messaggio a Palazzo Pepoli, all’ultimo erano trascorse quasi due settimane, un tempo brevissimo ma sufficiente a trasformare speranze, entusiasmo, e frenesia in delusione e avvilimento, quasi in umiliazione.

Così lo studio dell’avvocato Rosati aveva ripreso il normale ritmo di lavoro: soliti noiosi appuntamenti in studio, dibattiti in aula in attesa di una sperata assoluzione o di un altrettanto sperato rinvio, dettature di ricorsi, esposti, richieste di arresti domiciliari e così via. Ma ciò non impediva al legale e a Veronica di ripensare e ricordarsi vicendevolmente gli eccitanti momenti che avevano trascorso; così, quasi sempre, concludendo una complessa preparazione di un processo, a uno di loro veniva spontaneo dire: «Se ci fossero state quelle mura…»; oppure: «Però è stato divertente…»; oppure ancora, «Si ricorda la camminata nel canale?...»

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L’arco del serraglio (o torresotto) di San Vitale visto dall’interno della città

Dal canto suo, Ànghelos sperava che quei due giorni che ancora mancavano alla ripresa del lavoro in cantiere, dopo il periodo di ferie che gli era stato concesso dal direttore dei lavori, passassero in fretta,  perché ora che l’avventura era finita, il tempo era inconcludente e in definitiva noiosissimo da trascorrere.

Quel giorno stava avviandosi a casa, e proprio perché non sapeva cosa poi avesse fatto una volta rientrato, quando fu all’altezza delle Due Torri, invece di andare dritto, verso via dell’Inferno, svoltò a sinistra, giù per San Vitale, per raggiungere “Del grande Vescovo la primaria volta”, il Serraglio di San Vitale. Curiosità? No semplice nostalgia di ciò che era irrimediabilmente finito.

 

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L’uomo…

… non sapeva ancora nulla del messaggio trovato nella Rocca perché, pur essendosi recato nell’appartamento di Anghelos, aveva scoperto che il diario era rimasto indietro rispetto allo sviluppo degli eventi. Evidentemente – pensò – Anghelos non aveva ancora registrato la nuova scoperta, forse per una semplice mancanza di tempo, o, forse, perché ancora senza risposta.

Se il nuovo messaggio non era stato risolto, l’avventura poteva considerarsi interrotta almeno provvisoriamente, ma non poteva né doveva essere così.

L’uomo si rese conto che doveva assolutamente entrare in possesso del testo dell’indovinello, anche perché era ormai convinto che lui la risposta l’avrebbe potuto dare più facilmente di quei tre.

Insomma il problema era come proseguire le ricerche, senza conoscere il contenuto del messaggio. Ecco perché l’uomo, proprio quel giorno, stava pedinando Anghelos lungo via San Vitale…

 

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Palazzo Rossi Martinetti e, sotto, una foto d’epoca
del suo scomparso giardino

L’area che, subito dopo il Voltone di San Vitale, fa angolo con Piazza Aldrovandi e via Giuseppe Petroni, fu nell’’800 di proprietà della Marchesa Cornelia Rossi, sposata al noto architetto Giovan Battista Martinetti, colui che ebbe a realizzare fra l’altro il primo giardino della Montagnola (che Stendhal ebbe a paragonare alle Tuileries) e il progetto della Porrettana. La marchesa, amica intima di Giuseppina Buonaparte, tanto da essere l’unica bolognese a ricevere la partecipazione alle sue nozze con Napoleone, avrebbe voluto essere una letterata, ma forse, pur scrivendo qualcosa, non ne aveva le qualità, per cui si limitò a essere una “musa” per gli artisti che frequentavano il suo salotto culturale, fra gli altri, Canova, Leopardi, Foscolo, Monti e Giordano, attratti non solo dall’amabilità e dalla cultura della donna, ma anche dal suo indubbio fascino e forse alcuni di essi passarono anche dal divano del salotto all’alcova (va detto per altro che una delle “Tre Grazie” della celebre ode del Foscolo è proprio Cornelia Rossi). Tutta quest’attività, artistica, letteraria e, forse anche “amatoriale”, la svolgeva soprattutto nel giardino, ora scomparso, che c’era affianco al Torresotto di San Vitale e nell’elegante palazzo del XV secolo, di cui sopravvive ancora una non misera parte.

Qui giunse Anghelos provenendo dal centro.

Non voleva certo fare un sopralluogo per controllare ciò che aveva detto Rosati, ma semplicemente guardare il luogo in cui le ricerche del “tesoro” dovevano necessariamente interrompersi, quasi a voler esorcizzare la delusione che aveva provato e che ancora subiva.

Dal portico di via San Vitale che affianca disinteressato il Torresotto, Anghelos si rese subito conto che Rosati aveva ragione. Affianco a esso non esistevano mura, forse abbattute proprio per far spazio e realizzare il giardino di Palazzo Rossi-Martinetti.

Si fermò sotto la volta del portico che affianca il Torresotto e, guardandosi attorno, quasi a cercare di respirare un’aria magicamente medioevale ormai scomparsa, notò una specie di antico pilone in fuligginoso mattonato, semi-incassato nella parete intonacata del portico; alla sua sommità c’era anche una specie di lastrone di pietra nerastra (ma una volta certamente bianchissima) che evidentemente ebbe a costituire un capitello di sostegno di chissà cosa.

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Il tratto delle antiche mura all’interno
del negozio di via San Vitale

Di lato al pilone, si spalancava la luce di un’ampia vetrina. Strano quel negozio che s’intravedeva dietro di essa, senza nome e insegna e al cui interno erano esposte cose sicuramente stravaganti: non solo oggetti per maghi, come carte speciali, sfere di cristalli, pendoli, soprammobili simbolici, libri su tarocchi e giochi di carte, ma anche manifesti pubblicitari d’epoca, insegne antiche, locandine di teatri e cinema che ricoprivano gran parte della parete laterale del locale come se questa fosse una vetrina interna.

E fu proprio questa parete ad attrarre la sua attenzione, perché ebbe a notare che essa altro non era se non la prosecuzione interna del pilone notato sotto il portico e, com’esso, priva d’intonaco e fatta in mattoni grezzi e corrosi, pur se lucidi, puliti e ben illuminati dai faretti del negozio.

Compose sul telefonino il numero di Veronica e appena sentì che la comunicazione era aperta non le lasciò neppure dire “pronto”, né la salutò:

«Veronica, dì a Rosati che l’avventura continua… le mura ci sono! Sto venendo in ufficio.»

 

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L’uomo…

… non mancò di notare che Ànghelos aveva osservato con uno strano, forte interesse la parete interna del negozio.

Quando poi udì distintamente la telefonata e le parole dette con entusiasmo “l’avventura continua“, capì che qualche cosa d’importante era successo.

Così, appena Ànghelos si fu allontanato, si avvicinò alla vetrina per verificare quella parete e l’oggettistica che vi era per lo più appesa, senza però comprendere quale oggetto fra i tanti lì appesi, avesse suscitato in Ànghelos una simile reazione.

Ma Ànghelos aveva anche detto: “... le mura ci sono…” Cosa poteva significare?

Le mura? Sì, quel muro di mattoni all’interno della bottega sembrava davvero coincidere con il presumibile tracciato della seconda cerchia, quella detta “del Mille”, di cui l’attiguo torresotto di San Vitale era una delle pochissime vestigia ancora esistenti. Che l’ultimo messaggio avesse un qualche riferimento a quelle mura?

Più ci pensava e più all’uomo sembrò che le cose stessero proprio così, ed in tal caso tutto gli diventava chiaro: l’attenzione data da Ànghelos a quella parete, il riferimento fatto alle mura durante la brevissima telefonata, l’urgenza con cui l’aveva conclusa: “… sto venendo lì in studio…”

 

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L’avvocato Rosati e Veronica si fermarono fuori dal negozio e guardarono anch’essi, come aveva fatto in precedenza Ànghelos, il muro interno

«È decisamente il tratto di mura che cerchiamo. – sussurrò l’avvocato – Non credevo che in questo punto esistessero ancora.»

«Allora entriamo e vediamo cosa ci porta l’avventura.» Suggerì Veronica, quasi a voler pungolare il proprio titolare a non perdere tempo.

«Quello che mi preoccupa sono le grandi nicchie che sono state scavate nel muro per far da vetrinette, soprattutto la prima, perché ad occhio e croce è alla stessa distanza indicata dall’ultimo messaggio: “Ventitré a lato e su per tre piedi”, nove metri dal torresotto a circa un metro in altezza.… ricordi?»

«Sì, sì, avvocato, ma finché non entriamo non ne potremo sapere di più!»

Il dialogo fu improvvisamente interrotto da una voce alle loro spalle:

«Quelle nicchie le ho fatte io…. Scusate ma ho sentito di cosa parlavate e allora mi sono permesso…»

I due si girarono. L’uomo, in atteggiamento composto ed estremamente gentile, era molto anziano, ben vestito e con capelli folti e bianchissimi.

«Si figuri… – sorrise Rosati – anzi mi fa piacere che lei conosca questo negozio. E’ il suo?»

«No, non più. L’ho gestito fino al 1985. Sa, facevo il macellaio e questa era la mia bottega. Ogni tanto mi prende la nostalgia e passo di qui per guardarla… Ai vecchi piacciono i ricordi.»

«A chi lo dice! Quindi quelle nicchie le ha fatte lei?»

«Sì, negli anni ’50. Avevo notato che quel muro manteneva il fresco anche d’estate e quindi pensai di ricavarne un paio di vetrinette dove esporre la carne senza che andasse a male. Allora i frigo erano sostanzialmente una rarità.»

«Un’ottima idea, davvero, ed anche il manufatto mi sembra, a guardarlo da qui, molto bello e suggestivo. Bravo davvero! E mi dica, mentre lei faceva i lavori, non ha per caso trovato fra i vecchi mattoni da eliminare tre monete e una pergamena?»

«E lei come fa a saperlo?»

La domanda era una conferma dell’improvvisa intuizione avuta da Rosati sulla possibilità che le monete e la pergamena potessero essere state nascoste proprio là dove ora c’era la nicchia. D’altra parte la distanza coincideva con quei famosi: “Ventitré a lato e su per tre piedi”.

«Come faccio a saperlo? Diciamo che m’intendo di storia antica e che secondo alcune mie ricerche dovevano essere dentro queste antiche mura bolognesi. Scusi, sa, la mia impertinenza, ma sono davvero interessato a quello che lei trovò quasi mezzo secolo fa: le ha ancora le monete e la pergamena?»

L’ex macellaio guardò Rosati non nascondendo una forte preoccupazione, come se si stesse domandando se con quel ritrovamento avesse compiuto un qualche reato.

Veronica lo tranquillizzò con un sorriso:

«Senta, il signore è l’avvocato Rosati ed io sono un suo collega di studio. Lei non ha nulla da temere: ha trovato quelle cose nella sua bottega, cinquanta anni fa, e se le è tranquillamente tenute; nessuno le può imputare alcunché. Scusi, quindi, se insistiamo, ma per noi è molto importante: lei ha ancora le monete e la pergamena?»

L’altro guardò Veronica e forse perché era una bella ragazza dalla voce suadente, si sentì oltremodo tranquillizzato e seppure con una certa timidezza, cercò di spiegarsi:

«Sentite, le tre monete e la pergamena sono incorniciate a casa mia. Le ho trovate, non sapevo cosa fossero, ma mi piacquero. Se volete ci diamo un appuntamento e io ve le mostro e se volete, ve lo do anche.»

«No, ma si figuri. – lo rassicurò Veronica – È roba sua e noi non vogliamo nulla; a noi basta sapere cosa c’è scritto sulla pergamena e se le monete sono effettivamente tre.»

«Si sono effettivamente tre, come avete detto, e quello che sta scritto sulla pergamena lo conosco a memoria: “Tra i Reggitori dell’antico Stato….»

Rosati lo interruppe ed estrasse dalla tasca un taccuino:

«Un momento, un momento, che trascriva... »

 

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L’uomo…

…aveva visto tutta la scena: l’incontro di quel passante con l’avvocato e Veronica, il dialogare fra i tre, lo scrivere di Rosati quasi sotto dettatura ed, infine, il loro salutarsi amichevolmente.

Qualcosa d’importante era successo, se no Rosati e Veronica non se ne sarebbero andati così in fretta e così contenti (almeno gli era parso il loro atteggiameto) da un luogo in cui erano appositamente venuti alla ricerca di nuove informazioni sulla loro ricerca.

Si avvicinò a quel passante ch’era rimasto fermo davanti alla vetrina, non certo per ammirarne l’interno, ma per ripensare a quanto gli era capitato e alla stranezza di quel dialogo appena appena avuto con quei due avvocati.

L’uomo ne interruppe i pensieri:

«Interessante quel muro, sa di che cosa si tratta?»

L’altro lo guardò e se prima era sorpreso per quanto gli era accaduto, ora era addirittura sbalordito per quello che stava ancora capitandogli.

«Scusi?» balbettò.

«Mi scusi lei, invece – sembrò giustificarsi l’uomo – ma ho visto che stava parlando con il mio amico l’avvocato Rosati e siccome mi è sembrato che l’argomento fosse quel muro, allora mi sono permesso d’importunarla.»

«Sì, parlavamo di quel muro… ma non capisco…»

«Non c’è nulla da capire. – l’uomo sorrise – Credo che Rosati abbia chiesto informazioni su di un antico messaggio. Mi sbaglio?»

La perplessità dell’ex macellai crebbe, ma comunque confermò:

«Sì, quello che ho trovato anni fa sepolto nel muro con delle monete.»

«Tre, vero?»

«Sì!»

«Potrebbe dirmi il testo del messaggio?»

 

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