… dobbiamo solo sperare
che io mi sia sbagliato … Rosati, Veronica e Ànghelos si erano riuniti nello
Studio di via Galliera per esaminare quanto trovato nella rocca: quattro Pepolesi e il messaggio, che poi lesse ad alta voce ai due amici: Del grande
Vescovo la primaria volta
P.D.B. «Siamo alle solite. – disse Veronica cercando di
interrompere il silenzio che si era venuto a creare dopo la lettura del nuovo
indovinello – Ormai più che un’avventura, mi sembra di affrontare i giochi
della Settimana Enigmistica!» Gli altri due sorrisero per il suo commento, poi
Ànghelos corresse: «Più che in parole incrociate e rebus, qui siamo
coinvolti in una semplice e tradizionale caccia al tesoro: si cerca un primo
messaggio da decifrare che ti porta in un posto dove ce n’è un altro, che ti
manda altrove, dove troverai una nuova indicazione da interpretare… e così
via, fino al punto terminale. Solo che non sappiamo cosa troveremo alla fine,
né dove sia, né quanti messaggi dovremo ancora decifrare prima di arrivarci.» «E, invece, sappiamo quanti sono – disse Rosati – perché
ad ogni ritrovamento le monete calano di una unità: a Palazzo Pepoli erano
sei; nel canale del Savena, cinque; nella Rocca di Galliera, quattro…
quindi…» «… e quindi – completò Veronica come se fosse stata
una studentessa e Rosati il professore che la stava interrogando – al sesto
ritrovamento non ci sarà più nessuna moneta, ma il “tesoro”, se vogliamo chiamarlo così…» «A proposito di tesoro – interloquì Ànghelos – da
quando è iniziata l’avventura, sto pensando che cosa troveremo alla fine… Io
non lo riesco neppure a immaginarlo; lei, avvocato, se n’è fatta un’idea?» «Buio fitto! E poi, a mio avviso, è inutile pensarci
adesso. Dobbiamo risolvere il nuovo indovinello.» Ànghelos e Veronica si guardarono l’un l’altra
scuotendo il capo. Sembravano dire che per quanto li riguardava, non avevano
nulla da dire e che aspettavano da Rosati, come da un preveggente, la
risposta allo stesso quesito che il preveggente si era fatto. E Rosati parlò: «Credo di aver capito, ma avrei preferito non
capirlo.» «Come?... Si spieghi, avvocato.» Rosati chinò gli occhi sulla pergamena e scosse la
testa come per esprimere la sua delusione. «Avvocato – sembrò pregare Veronica – Non siamo in
tribunale, non ci faccia stare sulle spine, si spieghi.»
«I primi due versi “Del grande Vescovo la primaria volta / serra le mura ove Giacomo vedi”sono
chiarissimi: si tratta senza dubbio di una delle due Porte dedicate dai
Bolognesi a San Vitale, che fu un loro grande vescovo nel IX Secolo; delle
due è certamente quella più antica, quella che si affaccia su piazza
Aldrovandi, non solo perché è d’epoca precedente all’altra (“primaria”), ma perché è da essa che
all’epoca dei Pepoli, si poteva certamente vedere la non lontana chiesa di
San Giacomo Maggiore.» «Allora è fatta! Dobbiamo cercare nelle mura che
uniscono la Porta alla Chiesa!» L’entusiasmo di Veronica ebbe un brutto colpo dalla
mogia voce di Rosati: «No, Veronica, purtroppo non è così… le mura del
Mille che univano porta San Vitale a San Giacomo Maggiore non ci sono più…»
«Se ben ricordo, però,– volle precisare Ànghelos –
c’è ancora un piccolo tratto di esse e sono proprio su piazza Verdi dietro
San Giacomo.» «Sì, quelle mura ci sono ancora, ma sono lontane,
troppo lontane da Porta San Vitale. Se diamo retta all’indovinello, noi
dovremmo cercare a “ventitré piedi a
lato” di essa e, poiché il piede era di quasi trentotto centimetri, sono
circa nove metri… e a nove metri verso San Giacomo di mura non ce ne sono!» «E allora?» Domandò Veronica, se non angosciata,
certamente molto delusa. «Cosa vuol che le dica, Veronica, – rispose Rosati
allargando le braccia – dobbiamo solo sperare che io mi sia sbagliato e che
l’interpretazione sia un’altra, se no…» «Se no, abbiamo finito!– concluse Ànghelos –
Un’eventualità questa prevedibile; dopo settecento anni, qualche luogo
indicato dagli indovinelli poteva non esistere più. Penso davvero che questa
sia la logica fine dell’avventura e che la nostra “terna” d’investigatori si
debba sciogliere! Peccato!»
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