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Capitolo 13 La Luna
Quello che era successo a Bologna dopo l’arresto del serial killer (che poi serial killer non era) e dopo le spiegazioni date in conferenza stampa dal Procuratore Gervasi accompagnato dal Generale Cupiello in alta tenuta, fece esplodere la platea dei giornalisti. Le telecamere di tutte le emittenti nazionali e decine di microfoni cercarono di avvicinare i due per aggiungere domanda a domanda, in una confusione tale ch’essi furono costretti ad allontanarsi annunciando più volte “null’altro da dichiarare” e strattonando a più non posso chi s’intrometteva fra loro e l’uscita di scena. I massimi Conduttori televisive nazionali si contesero, quella stessa sera, l’auditel con dibattiti praticamente similari che misero in imbarazzo i telespettatori, soprattutto quelli che avrebbero voluto guardare qualcosa di diverso. Bologna, nonostante il caso criminale avvenuto lungo le proprie strade, non uscì male da tutte quelle trasmissioni e dai reportage televisivi che riguardavano la vicenda. Fu in fondo per lei una grande pubblicità, perché, come mai era accaduto, su tutti gli scherni e in tutti i canali televisivi italiani, erano riproposte splendide immagini della città, fra cui spiccavano certamente gli scorci dei luoghi dov’erano stati ritrovati gli assassinati, ma anche molti riempitivi che illustravano i suoi palazzi, le chiese, i portici e le torri. Una vera meraviglia, attenuata soltanto da commenti improvvisati e, spesso, inesatti che facevano impallidire i bolognesi veri e, in particolare, Stefano Simoni. «Ma stai tranquillo, Stefano, – esplose Laura, sentendolo brontolare davanti al televisore - Cosa t’importa se un poveretto con l’accento romano chiamo “duomo” la basilica di San Petronio o che afferma che l’Asinelli è una torre che non pende… Cosa vuoi che ne sappia quel poveretto?» «Ma che il poveretto vada a commentare il Colosseo… e lasci in pace Bologna! Va bene, va bene… piuttosto sei pronta che dobbiamo uscire?» «È da quel mo’ che sono pronta!» «E allora andiamo!» Stefano e Laura avevano un appuntamento al ristorante Donatello, in via Augusto Righi, a pochi passi da casa loro. Il locale è ultracentenario, con una sala notevole dal punto di vista architettonico, in stile liberty con agili colonne di sostegno centrali e con un bel soffitto con pitture “grottesche” coeve del periodo “belle epoque” in cui fu realizzato; a testimonianza, le pareti sono ricoperte dalle foto dei grandissime artisti che hanno in cent’anni calcato le scene del Teatro Comunale. Qui si fa solo cucina bolognese, delle più tradizionali e succulente, senza alcuna variazione moderna o con tendenza “global” e nonostante questo (o forse proprio per questo) modernisti e internazionalisti frequentano assiduamente quel ristorante. L’appuntamento cui Stefano e Laura si stavano avviando, se non importante, era quanto meno curioso, perché lì li aspettavano la figlia Susanna e il suo comandante, il Generale Augusto Cupiello. Era stato proprio il generale a telefonare a Stefano per proporgli quella serata: «Ora che abbiamo finito l’indagine dei tarocchi – gli aveva detto – non sarebbe male fare quattro chiacchiere tranquilli e su tutt’altro, con sua moglie e sua figlia. Sa, mi ricordo benissimo, quando lei ha riconosciuto Edoardo de Filippo, quando affermai “À da cessa a nuttàta”… mi è stato subito simpatico!» «Ma perché non viene a casa mia, mi farebbe un gran piacere, ed anche a mia mogli.» «No, no, trasformerei il mio invito in suo disturbo. No, meglio il ristorante. Se proprio vuole, il locale lo sceglie lei, questo glielo concedo, ma null’altro.» |
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Fu così che i quattro si trovarono al ristorante Donatello, in via Augusto Righi, L’immancabile Ferruccio, proprietario, gestore, caposala e primo cameriere, era ritto e compito sull’angolo del tavolo, per ricevere gli ordini e, se richiesto, per suggerire i piatti del giorno. Ferruccio era amico di Stefano e si trovavano spesso in un bar della zona, di pomeriggio, per fare quattro chiacchiere con altri coetanei. «Sembriamo “2007 odissea nell’… ospizio”» disse una volta Stefano e Ferruccio, e lui di rimando: «Meglio “nell’ospizio” che “nello spazio”… ristretto di un loculo!» Strano tipo, Ferruccio. A guardarlo, con quei capelli lunghi e grigi e con baffi e barbetta di ugual colore, fa pensare o a un pittore scapigliato di fine ottocento o a un anziano moschettiere del re e, forse in vite precedenti, è stato davvero entrambi. Cominciarono le ordinazioni. «Alle sera – disse il Generale Cupiello esprimendo le sue preferenze – meglio star leggeri: per me, una lasagna, una cotoletta alla bolognese con patatine al forno… mi raccomando non fritte!... ed una porzione di zuppa inglese… piccola però, che non voglio esagerare.» «Ottima scelta!», accondiscese Ferruccio, sgranando gli occhi, ma cercando di evitare che il suo tono di voce potesse essere interpretato come un ironico commento. Anche gli altri tre diedero le loro ordinazioni e così, cominciarono le chiacchiere. Per quasi tutta la cena i quattro non fecero alcun accenno alle vicende di cronaca nera che, direttamente o indirettamente, li avevano coinvolti in prima persona. Si sentiva, però, nell’aria che quelli di cui si parlava erano argomenti forzatamente portati e ristretti in faccende che poco interessavano, e così, verso la fine, proprio mentre il Generale si beava della sua zuppa inglese – una porzione da spavento ch’egli riuscì ad ingurgitare in tre cucchiate – Stefano, sviando da ogni altro discorso, non poté fare a meno di uscirsene con una frase che richiamasse i tarocchi: «E così, alla fine ho completato la “Lunga”!» «Come dice?» chiese il Generale interrompendo il viaggio dell’ultimo pezzo di zuppa inglese verso la bocca. «Già, lei è napoletano e non sa cosa sia la “Lunga”. E’ la serie completa degli onori, dall’“Angelo” fino all’ultimo Moretto e ai due “contatori”. Cinque punti ad onore… e gli onori son ventidue! Un bel malloppo!» «Che gli onori siano ventidue – rispose Cupiello facendo riprendere al suo dessert il tragitto prima interrotto – questo lo sapevo anch’io! Ormai sono un esperto. Sapevo anche che a lei, signor Simoni, ne mancavano due: la “Luna” e l’“Appesa per i piedi”. Per l’Appeso, beh, è chiaro che si tratta dall’assassino rimasto a testa in giù nel suo tentativo di suicidio, ma per la Luna? Da dove salta fuori la “Luna” da tutto questo casino?» «Davvero, papà, – s’intromise Susanna. – Dov’è la “Luna”? Non serve più a nulla ormai, ma sono anch’io curiosa.» «Per la verità – precisò Laura, guardando ironica il marito – neanche gli altri tarocchi sono serviti a qualcosa… Anzi, sono serviti solo all’assassino per agire tranquillo.» «In questo io non c’entro! – ribatté piccato Stefano – a me hanno chiesto qualcosa ed io gliel’ho data. Ma non nascondo di essermi esaltato alquanto, sia quando me l’hanno chiesta, sia quando l’ho predisposta!» Intinse un biscotto nel Vinsanto, se lo portò alla bocca e se lo gustò con vero piacere.
«È vero, signora, – chiarì Cupiello – e se anche non fosse esistito suo marito, saremmo stati comunque portati a attribuire gli omicidi ad un serial killer spinto da turbe mentali. Credo anche che sarebbe stato lo stesso assassino a metterci su questa via, come per altro era nella sue intenzioni, e come già aveva fatto all’inizio della storia, inviandoci il mazzo di carte.» «Sono d’accordo con lei, Signor Generale – convenne Susanna – il piano era quello e con mio padre o senza, le cose sarebbero andate come sono andate. L’unico appunto dovrebbe essere fatto a noi delle forze dell’ordine, perché nonostante le indicazioni ricevute da papà, non siamo riusciti a prevenire diversi omicidi. Ma perché non torniamo alla luna?» «Si, dov’è allora, Stefano, questa benedetta luna?» domandò Laura. «Proprio davanti al Torresotto di Portauova, dove l’assassino è stato appeso per i piedi. In mezzo a piazza Malpigli s’innalza la colonna votiva dell’Assunta, una delle poche esistenti a Bologna. Sembra sia stata scolpita nel 1634 da Guido Reni, o almeno realizzata su suoi disegni e progetti. La statua che la sovrasta e che, ovviamente, raffigura la Madonna, è davvero splendida, ma non è questo che c’interessa, c’interessa invece ciò che sta fra il capitello della colonna e la scultura. Maria poggia infatti sopra una grande mezzaluna. Ecco dov’era la carta non individuata! «In un colpo solo, quindi, sono saltati fuori i due trionfi mancanti e, grazie al cielo, senza che ci fosse bisogno di trovarli con un morto sotto» osservò Cupiello. «Per fortuna!» fu l’unanime commento degli altri tre. |
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Il pranzo era finito. Cupiello fu il primo ad alzarsi ed invitando gli altri a restare comodi, si rivolse a Susanna impartendole una specie di ordine, deciso sì, ma più invitante che perentorio: «Maresciallo, può procedere.» Susanna si alzò e fra le sue mani apparve all’improvviso un pacchetto che porse a Stefano: «Papà, l’Arma ed il Generale Cupiello vorrebbe ringraziarti per la collaborazione. Un piccolo omaggio che riteniamo ti faccia piacere e che, comunque, rappresenti un ricordo della vicenda di questa storia.» Il pacchetto era avvolto nell’azzurro e legato da un fiocco tricolore. Stefano lo prese lo guardò e, stranamente, si trovò del tutto confuso tanto da uscire solo con un convenzionale e timido “non dovevate”. Fece una gran fatica a liberare il contenuto dall’involucro e non si accorse che mentre armeggiava con il nastro e con l’adesivo che univa i lembi della carta, gli altri sorridevano divertiti. Dentro c’era una scatolina di legno e dentro la scatolina un mazzo di carte. «Sono tarocchi – informò Susanna, mentre Stefano estraeva il mazzo dalla scatola – spero ti piacciano.» Stefano smazzò le carte aprendosele ad arco fra le dita, poi esclamò con entusiasmo. «Sòccia, se mi piacciono! - Sono i tarocchi del Mitelli… Splendidi, davvero straordinari. Grazie, grazie davvero. Io spero che questo pittore ed incisore bolognese del ’600, a mio avviso grandissimo, venga in un qualche modo rilanciato dalla critica e più conosciuto dalla gente, sopratutto di questa città. Grazie, grazie tanto, mi avete fatto un grande piacere.» Stefano sembrò scorrere ogni carta per rimirarla e ne estrasse dal mazzo due: l’Asso di Denaro e l’Asso di Coppe, porgendole agli altri tre perché le guardassero attentamente «Tarocchi bolognesi a tutti gli effetti – specificò – Nell’asso di Denari appare l’autoritratto del Mitelli con sotto la sua firma, e nell’asso di Coppe è impresso lo stemma dei Bentivoglio, la famiglia che gli commissionò la loro incisione.» Dopo aver ripreso le due carte e averle rimesse nel mazzo ne estrasse un’altra mostrandola a cerchio: «Questa è la “Luna”. Nelle carte ordinarie l’astro è tondo, qui invece, il Mitelli lo disegna a falce e con la gobba in su, proprio come quella che appare sulla colonna di piazza Malpigli. Grazie, grazie, ancora.»
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FINE |
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