Sandro Samoggia
SFIDA A TAROCCHI

 

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Capitolo 12

L’Appeso per i piedi

 

 

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Portanova

Torresotto del Poggiale 2
Il Poggiale

Il Torresotto di Portanova è una delle quattro porte superstiti della seconda cerchia di mura di Bologna, quella detta dei Mille, perché eretta a cavallo dell’XI secolo. Erano diciotto, poi, nei secoli, sono andati via via scomparendo, fino a restarne cinque; l’ultimo, però fu distrutto dai bombardamenti del ’44, si chiamava “del Poggiale” ed era forse il più bello fra quelli superstiti.

Anche Portanova fu presa di mira dalle bombe aeree americane, ma ne restò indenne, mentre crollarono gli edifici più moderni che le si appoggiavano contro come per sostenersi ad essa. Si vede che i costruttori medioevali, almeno in questo caso, erano stati ben superiori a quelli dei secoli successivi. Ora è di nuovo stretta da palazzine anni cinquanta che pur creando uno strano contrasto architettonico, non deturpano più di tanto l’ambiente.

Portanova Cardine 1
Il cardine di Portanova

Portauova mantiene la sua piatta originaria struttura degli anni mille, senza alcun fronzolo od ornato, e all’interno dell’arco, esistono ancora i grossi cardini in macigno che sostenevano il portone, permettendone l’apertura o la chiusura. A parte i restauri subiti nei secoli, l’edificio è quindi intatto e se c’è una variazione, questa è data dalla sommità della torre che fu trasformata in rialzo e ricoperta dal tetto poggiante sulle merlature; fra queste si vennero a formare tre finestre di un ampio vano adibito a studio.

Il maresciallo Susanna Simoni, accompagnata da due colleghi, si fermò davanti al portoncino del civico 6 di piazza Malpigli, proprio ai piedi del torresotto, e suonò al campanello su cui era stampigliata la dizione: “Dott. Prof. Roberto Conforti – Chirurgo ortopedico – Studio”. Fu aperta la porta senza che nessuno richiedesse dal citofono chi fosse.

I tre presero l’ascensore per l’ultimo piano e raggiunsero la sommità della torre, trovandovi aperto anche l’uscio di dov’erano diretti. Entrarono: era un piccolo vano adibito a segreteria e seduta ad una piccola ma elegante scrivania c’era la segretaria dello Studio.

«Il dottor Roberto Conforti è qui?» Le domandò Susanna.

«Adesso vado a vedere...» rispose la donna alzandosi per dirigersi verso una porta chiusa lì vicina.

«Non importa che ci annunci» la fermò decisa Susanna andando alla porta ed aprendola.

L’ambiente in cui entrò era elegantissimo, perché univa in un contrasto solo apparente le antiche travature del sottotetto ed il mattonato nudo delle pareti, a mobili modernissimi e scuri. Appoggiati sulla parete di destra, un divano e due poltroncine in pelle nera e palissandro, realizzavano l’angolo salotto; su quella di sinistra una grande libreria faceva da cornice ad un lettino medico per visite corredato dalle apparecchiature necessarie. Al centro campeggiava, unico arredo d’epoca, un ampio tavolo d’arte povera, che fungeva da scrivania. Dietro di essa dalle tre finestre aperte con tende in canapa color mattone sollevate a metà, si intravedeva su piazza Malpighi gran parte del convento francescano, i due campanili della Basilica di San Francesco e lo splendido ventaglio dei contrafforti che ne sostengono l’abside

Il Dottor Roberto Conforti era seduto alla scrivania e alla vista dei tre carabinieri si alzò:

«Chi vi ha fatto entrare?» esclamò fra l’irritato ed il perplesso.

«Questo, dottore – rispose Susanna porgendogli un documento – è un mandato di fermo. La preghiamo di seguirci senza opporre resistenza.»

«Un mandato per me? E perché cosa?» domandò allibito il dottore.

«Per gli omicidi nelle persone di Antonio Gelosi, Ivano Morini, Maurizio Ortelli, Soverini Legacci, Sandro Tanari, Claudio Degli Esposti, Montaldo Dominèch, e per il ferimento di Amleto Antinori.»

«Per voi, quindi, io sarei il killer dei tarocchi? Siete pazzi! Ma se fra le vittime c’è anche mio zio… Ed io avrei ucciso anche lui? Siete pazzi!»

«Io eseguo un ordine della magistratura e non sono tenuta a risponderle – dichiarò Susanna. – La preghiamo di seguirci… Se vuole l’assistenza di un avvocato sarà nostra cura accontentarla.»

«Voi siete pazzi…»

Ora la voce di Conforti era quasi incontrollata e gli occhi stralunati. La sua agitazione era decisamente isterica, tanto da far immediatamente pensare a gesti inconsulti, per cui Susanna pensò bene di affrettare i tempi per evitare reazioni che non sarebbero stata più controllabili. Fece quindi cenno ai colleghi di muoversi e questi cercarono di avvicinarsi all’uomo, girando attorno all’ampia scrivania, ma non fecero in tempo a raggiungerlo.

«Non mi avrete mai…» urlò il chirurgo.

Raggiunse di scatto la finestra aperta, scavalcandone il parapetto con un balzo e lanciandosi nel vuoto. Ma proprio mentre la scavalcava, un piede gli s’infilò in una delle robuste corde che servivano a regolare l’alzata della tende e la caduta fu all’istante interrotta. Lo strappo fu notevole, ma non sufficiente a spezzare la fune, per cui egli rimase appeso a testa in giù fuori della finestra e legato ad essa e a nulla valsero gli sforzi per liberare il piede e raggiungere il suo scopo suicida. Fu agguantato dai carabinieri per la gamba tesa legata alla corda, issato di forza sul parapetto, e riportato a peso nella stanza. Una volta ammanettato, cosa che non fu facile per i tentativi ch’egli fece per svincolarsi dagli agenti, fu trascinato nel furgone parcheggiato ai piedi di Portauova.

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Qualche giorno prima Susanna aveva riferito gli sviluppi delle sue indagini al Generale Cupiello:

«Ho rilevato che c’era un’anagrafe che non avevamo contemplato nella ricerca di come e dove l’assassino poteva aver individuato alcune delle sue vittime. L’elenco era il data base dell’anagrafe sanitaria che annovera anche quanti sono ricoverati negli ospedali o hanno avuto necessità, avendone diritto, di analisi o visite. Il nomade Dominèch c’era: ha avuto due anni fa una lussazione alla spalla ed è stato curato al Rizzoli; e c’erano anche le generalità di Amleto Antinori, lo studente fuori sede ferito l’altro ieri alla Palazzina della Viola, che era recentemente ricorso ad una visita oculistica presso l’USL.»

«D’accordo, benissimo – convenne Cupiello. – e questo a cosa ha portato?»

«Ne ho dedotto che l’assassino dovesse necessariamente essere persona che avesse possibilità di accedere comodamente all’anagrafe sanitaria, un medico, un infermiere, un sanitario pubblico. Il campo si è evidentemente ristretto, ma ero ancora molto lontana dall’individuazione di chi potesse essere.»

«Credo anch’io.»

«Lei, Signor Generale, mi ha affidato un’indagine riservata basata sul presupposto che l’assassino non fosse il presunto serial killer psicopatico, ma un semplice assassino tradizionale, spinto da un movente tradizionale.»

«Esatto e mi sembra che lei, Maresciallo, mi stia relazionando su dei risultati effettivi. Sbaglio?»

Susanna sorrise.

«No, non sbaglia, sono certa di sapere chi sia l’assassino.»

«Questo è un fatto! Prosegua nella relazione.» La soddisfazione del Generale era evidente.

«Di tutti gli omicidi commessi ho vagliato i possibili moventi. In pratica sono andata alla ricerca di quelli che potessero essere usuali, consistenti e proficui; non ce n’erano per sei omicidi, ma per uno sì e come! Solo la morte del chirurgo Soverino Legacci ha davvero comportato vantaggi tali da spingere qualcuno a causarla. E questo qualcuno non poteva che essere il nipote Roberto Conforti, suo erede universale! Movente validissimo, questo, anche perché egli viveva molto al di sopra delle sue possibilità; le solite cose: donne, macchine, viaggi costosissimi… solo i capitali dello zio l’avrebbero potuto mettere al riparo da una vita completamente diversa e più umile. Ritengo tuttavia che l’eredità sia forse secondaria, rispetto ad un altro movente che ho scoperto chiacchierando al Rizzoli con colleghi e sanitari. I rapporti fra il Legacci ed il nipote non erano facili, tanto che proprio Legacci aveva in animo di silurare il nipote come chirurgo, anche se a suo tempo ne aveva… come dire?... perorato l’entrata al Rizzoli. Quel che è peggio (la fonte è certo) e che il licenziamento di Conforti dall’organico dell’ospedale era pressoché deciso; “per incapacità professionale”, è stato scritto sulla richiesta del provvedimento presentata dallo stesso Legacci alla direzione Sanitaria.

«Quindi, se ho ben capito, il Conforti ha avuto la possibilità di consultare gli elenchi sanitari dove appaiono tutti i nomi degli assassinati e, nello stesso tempo, è l’unico che abbia avuto seri moventi per uccidere una delle vittime. Ma basta questo per giustificare tutti gli omicidi?»

«Certamente no, signor Generale, ma è il punto di partenza da cui ho iniziato la mia inchiesta riservata. Sulle possibilità che Conforti aveva per uccidere lo zio, non ci sono problemi: il luogo del delitto è l’ambiente ospedaliero dove i due operavano e al momento dell’omicidio Conforti era certamente al Rizzoli. Difficile dimostrare che fosse sotto la meridiana quando Legacci è stato ucciso, ma è anche molto difficile, pressoché impossibile, che lui possa dimostrare di avere un alibi per mezzogiorno e un quarto del 4 luglio scorso, cinque mesi fa.»

«Un po’ tirata per i capelli – sospirò Cupiello – ma andiamo avanti, anzi, torniamo indietro… Abbiamo trovato l’assassino di Legacci. Ma come dimostriamo che il caro nipotino abbia commesso anche gli altri omicidi?»

«La dimostrazione per tutti i delitto è pressoché impossibile, Signor Generale, ma per almeno uno abbiamo elementi nuovi decisivi e inconfutabili. Qualche giorno fa mi sono trovata in via Altabella e passando davanti a via Sant’Alò non ho potuto fare a meno di guardare la splendida torre Prendiparte che sorge in fondo a quella strada.»

«Mi scusi, Maresciallo, ma proprio non la seguo in questo suo giro turistico!»

«Ha ragione, Signor Generale. Forse l’ho presa un po’ alla larga, ma mi sto rifacendo al terzo omicidio, quello dell’Ortelli, il commesso che aveva la mania di fotografare Bologna ed il cui corpo è stato ritrovato sotto il portico della morte.»

«Sì, ricordo benissimo anche i particolari. Veniamo al dunque, però, Maresciallo.»

«L’ultima foto fatta da Ortelli la sera del 26 giugno, fu scattata alla Torre Prendiparte, vista da via Altabella, più o meno nella stessa posizione in cui, come le dicevo, mi sono casualmente trovata. Via Sant’Alò è una stradina dritta, stretta e in lieve discesa verso la torre. Ai suoi lati c’è qualche negozio, e ci sono alcune saracinesche che chiudono dei garage privati. Uno di questi, ha all’esterno uno specchio che permette a chi guida la macchia di uscire dal garage verificando che la strada sia libera. Da dov’ero, ho notato quello specchio e guardandolo, mi ci sono vista riflessa.»

Cupiello si fece a questo punto molto attento, ma non era rimasto sorpreso come Susanna s’aspettava. Dall’espressione del suo viso, infatti, lei capì subito che il suo Generale aveva già dedotto dov’essa andava a parare e quali conseguenze quello specchio potesse aver avuto nelle indagini.

«E qui la nostra Scientifica ha davvero toppato! I nostri tecnici cercavano il punto in cui Ortelli potesse essere stato ucciso per eventualmente ricavarne reperti e tracce utili all’indagine d’identificazione dell’assassino, e non si sono accorti che l’assassino era lì, proprio in quella foto, quasi in primo piano, come fosse il suo identikit fotografico, e nello stesso momento in cui compiva l’omicidio.»

«Non mi dica che nella foto appare tutto ciò sullo specchio?»

«Sì, Signor Generale. Sono andata subito a verificare l’istantanea facendomi ingrandire il particolare dello specchio. All’interno di esso si distingue nitidamente l’Ortelli mentre sta fotografando la Torre e, a due passi da lui, il Conforti mentre gli spara alla testa. Eccone una copia per lei.»

Il generale prese in mano la foto con estrema lentezza, quasi fosse una reliquia, e la guardò lungamente. Poi la posò sulla sua scrivania.

«Formidabile!» fu l’unico suo commento.

La relazione fra i due parve terminata, ma Susanna si permise di dare ulteriori specifiche al suo comandante:

«Si sarà certo domandato, Signor Generale, perché per ammazzare un'unica persona, l’assassino ne abbia uccise altre sei, senza contare il ferimento dello studente…»

«Certamente! » assicurò falsamente Cupiello, non riuscendo però a nascondere l’imbarazzo per non essersi mai posto fino a quel momento una simile domanda.

Ancora un breve silenzio fra i due: Susanna si aspettava che il generale continuasse a parlare dande una qualche specifica al suo “certamente”, il Generale, non senza imbarazzo, attendeva che fosse Susanna a dargliela. E fu lei a parlare:

«Un semplice depistaggio.»

«Ovvio! – s’ingalluzzì Cupiello. – Voleva che si pensasse ad un serial killer psicopatico e che tutti i nostri sforzi investigativi fossero rivolti a questa tesi. È per questo che prima di iniziare la sua strage ci ha fatto pervenire il mazzo dei Tarocchi. Siamo stati fin dall’inizio sviati ed è quello che lui voleva. Quando poi abbiamo scoperto che anche i nomi degli assassinati conducevano ad un trionfo dei tarocchi, non c’erano in pratica più tesi investigative alternative.»

«Esattamente. C’è ancora una questione da chiarire, ma è decisamente secondaria rispetto a quanto abbiamo finora scoperto.»

Cupiello fu di nuovo preso in contropiede, ma stavolta non nascose la sua perplessità:

«Quale questione?»

«I tarocchi. Perché ha scelto proprio i tarocchi per depistarci? La realizzazione del piano che Conforti ha immaginato è decisamente complessa e complicata, quasi impossibile da realizzare, eppure ha scelto comunque questa strada. Non me lo so spiegare e credo che i chiariment necessari non potranno che venirci da lui stesso, quando potremo interrogarlo e se confessèrà. Sarà bene informare il Procuratore anche di questo parte non chiara dei delitti perché ne tenga conto, quando agirà nei confronti del Conforti.»

«Io comunque, Maresciallo, su questo aspetto del problema un’ipotesi realistica ce l’ho…»

Susanna non riuscì a nascondere la sorpresa sull’improvvisa uscita del sua Generale.

«È possibile – continuò Cupiello – che proprio il nome dello zio, Soverino Legacci, e la posizione del suo ambulatorio proprio sotto il sole della meridiana, abbia illuminato Conforti ispirandogli i tarocchi e le modalità di attuare il suo piano. Una semplice coincidenza non probante, ma come tesi potrebbe reggere.»

«Credo proprio di sì, Signor Generale!»

«Allora, maresciallo, completi anche con questi elementi un bel rapporto d’indagine. Le do un’ora appena. Voglio essere dal procuratore incaricato questa mattina stessa, perché “à da cessà a nuttata”, finalmente! Ora può andare.»

Susanna si alzò, si pose sull’attenti e salutò il Generale portandosi compitamente la mano alla fronte:

«Sempre ai suoi ordini, Signor Generale!»

«A proposito, Maresciallo, complimenti, è stata bravissima!»

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