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Capitolo 11 Gli Amanti
«Signor generale, è opportuno rivedere tutta la nostra indagine.» «Cosa intende Maresciallo?» Susanna tentò di soppesare le parole, senza riuscirci. Preferì dare una risposta secca, per non dire traumatica: «Abbiamo sbagliato tutto!» Gli occhi di Cupiello, di solito socchiusi fra il minaccioso e l’assonnato, si spalancarono sbalorditi. Susanna pensò che il suo generale si stesse trattenendo per non esplodere in una sfuriata nei suoi confronti, ma che non ci sarebbe riuscito. Non fu così: «Come mai, Maresciallo, se ne viene fuori con questa affermazione?» Per accelerare la risposta, Susanna dimenticò di anticipare al suo dire il canonico “signor generale”: «Perché tutte le indagini finora fatte non hanno portato a nessuna conclusione. Ci siamo basati su alcune supposizioni che credo siano sbagliate…» «Credo? Come “credo”?» «Dico “credo”, signor Generale, perché ho una nuova ipotesi d’indagine che vorrei verificare.» Cupiello la fissò ancora più intensamente: i suoi occhi da spalancati che erano, si socchiusero, ma ora prevaleva in essi la minaccia e Susanna lo capiva benissimo: «Qual è questa ipotesi d’indagine? Mi dica, Maresciallo.» «Siamo partiti dai tarocchi e abbiamo ipotizzato un pazzo che, chissà per quale ragione, se ne va in giro uccidendo chi ha il nome corrispondente a uno dei loro, portandone poi il corpo nel luogo di riferimento di una delle carte. Seguendo questo presupposto siamo andati avanti senza però arrivare a nessun risultato utile. Allora mi sono domandata: e se questo tipo non fosse mosso da un motivo schizofrenico? Se non fosse un serial killer da letteratura americana, ma un semplice assassino tradizionale spinto da un movente tradizionale?» «E qual è stata la sua risposta?» «Se così fosse e se trovassimo il movente razionale, troveremo anche l’assassino.» «Capisco.» Seguì un lungo silenzio da parte del Generale che poi si alzò dirigendosi alla grande finestra che si affacciava sul quadriportico di Santa Maria dei Servi. Susanna restò lì, in piedi, davanti alla scrivania in attesa di una qualsivoglia reazione. Il suo superiore le volgeva le spalle creando certamente una tensione inusitata in lei, che non l’aveva mai visto in quello strano, silenzioso e imperscrutabile atteggiamento. «Lei, maresciallo, è sollevata dall’incarico di seguire la presente indagine!» «Agli ordini, Signor Generale!» «Da questo momento lei rientra a tutti gli effetti ed ufficialmente nella mia segreteria e le sono concessi quindici giorni di ferie.» «Come comanda, Signor Generale.» «Ma non andrà in ferie.» «Non capisco…» «Seguirà liberamente l’ipotesi investigativa che mi ha or ora prospettato e riferirà solo a me ogni eventuale risultanza.» Susanna rimase sbalordita: in due secondi era passata dalla delusione d’un sollevamento d’incarico all’entusiasmo di un rinnovato atto di fiducia da parte del suo comandante. Si portò la mano al berretto impettita e formalmente irreprensibile, tranne che per lo smagliante sorriso che le illuminò viso e divisa. «Agli ordini, Signor Generale, non la deluderò!» |
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Amleto Antinori, studente di agraria, giunse in ambulanza al pronto soccorso del Maggiore alle 11,30 del 6 novembre. Privo di sensi, aveva una ferita di striscio sulla tempia destra che gli infermieri della Croce Rossa erano riusciti temporaneamente tamponare. Mentre era trasportato in barella al pronto intervento dell’astanteria, il medico di servizio dell’ambulanza informava quello in servizio all’ospedale del suo stato. Nella sala d’attesa due amici di Amleto che avevano seguito l’autolettiga in motorino per accompagnarlo, aspettavano notizie e si scambiavano silenziosamente sguardi d’ansiosa disperazione. Accompagnato da un infermiere si presentò loro un poliziotto. «Come sta?» Domandò uno dei due amici all’infermiere. «Non sembra che ci sia pericolo. È intontito per il colpo, ma la ferita è davvero marginale, e il sangue perso, minimo. Vedremo quando e come riprenderà i sensi, ma reputo che potrà essere dimesso prestissimo, forse oggi o al massimo domani.» Intervenne il poliziotto: «Ho bisogno d’informazioni sull’accaduto, potete seguirmi al posto di polizia?» Ancora un incrocio di sguardi fra i due, poi un lieve cenno di assenso al poliziotto. Giunti nella guardiola del comando di P.S., furono invitati ad accomodarsi davanti alla scrivania, mentre il poliziotto si sedeva di fronte. Era presente anche un altro agente. «Sono l’appuntato Umberto Maiani e questo è il collega Annibale Pacchioni. Mi date le vostre generalità, per favore.» «Giancarlo Ruggeri…» «Franco Zamagni…» «Bene! Cos’è successo al vostro amico – il poliziotto pose gli occhi su di un foglio che teneva in mano – Amleto Antinori, se non sbaglio?» «Sì!» Risposero in sintonia entrambi. Fu Giancarlo a continuare. «Eravamo nell’orto Botanico in attesa della lezione. Noi camminavamo avanti a Lemmy, sì Amleto, e lui ci seguiva dappresso. Abbiamo sentito un gemito alle spalle e ci siano immediatamente voltati: lui era lì straiato a terra, senza dar segni di vita, mentre dalla tempia sgorgava sangue in abbondanza.» «Ho pensato ad una ferita per la caduta – continuò Franco – o a un’emorragia improvvisa e ho chiamato immediatamente il pronto soccorso: poi insieme, abbiamo seguito fin qui l’ambulanza.» «Visto altro?» «Cioè?» «Gli hanno sparato. Se non avete sentito colpi, chi l’ha fatto ha evidentemente usato il silenziatore.» «No, nulla.» Risposero entrambi i ragazzi, scuotendo la testa. «Notato qualcuno che lo potesse aver fatto? Che so, uno che uscisse da un qualche nascondiglio, che si allontanasse in modo furtivo dopo la caduta del Vostro amico, oppure che corresse via?» «No, nulla.» «Neppure io – aggiunse Giancarlo. – D’altra parte, a quell’ora c’è molta gente fuori nel giardino della facoltà: c’è la fine delle lezioni e molti passano da un punto all’altro anche in gruppo per cambiare aula o per andarsene. No, io non ho notato nessuno che avesse potuto sparare o allontanarsi. E, poi, da dove allontanarsi? Quello è una specie di giardino pubblico pieno di siepi, cespugli, alberi, muretti… poteva essere ovunque!» L’agente rilesse il nome del ferito: «Amleto Antinori… vi dice nulla questo nome?» I due giovani si guardarono con una smorfia fra il contrito e il rassegnato. «Sì, lo sappiamo – ammise Giancarlo – si tratta degli ”Amanti”, uno dei trionfi dei tarocchi. Lo sapeva benissimo anche lui, ma diceva ch’era una fesseria.» «Per la verità – continuò Franco – io volevo comunicarlo alla polizia, ma lui me l’ha assolutamente proibito. Se lo vai a dire, mi diceva, io non vivo più, mi mettono alle calcagna una scorta e finisco di fare quello che mi pare e piace.» |
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Susanna rilesse il rapporto sul tentato omicidio dell’Orto Botanico di via Filippo Re, e prese in mano la relazione del padre. La conosceva a memoria, ma volle rileggerla ugualmente.
“TRIONFO N. 5 – “GLI AMANTI” Reputo che due siano al momento le possibilità di individuare questa carta a Bologna. Palazzo Bevilacqua – Sanuti, in via D’Azeglio 31. L’edificio, che dal punto di vista architettonico è forse il più bello di Bologna, fu voluto da Nicolò Sanuti, per essere proseguito, alla sua morte, dalla moglie Nicolosa, diventata nel frattempo l’amante di Sante Bentivoglio, signore di Bologna dal 1426 al 1463, e sposato con Ginevra Sforza. La relazione era nota, tanto che alla morte di Sante, Nicolosa addobbò a lutto il palazzo, dove è certo che i due trascorrevano insieme i momenti più intensi ed intimi della loro vita.
Palazzina della
Viola, via Filippo Re, 2-6
Era la “Villetta delle Delizia” di Giovanni II Bentivoglio, dov’esso si ritirava per stare assieme alle numerose amanti con cui si trastullava e dalle quali ebbe ben sedici figli “bastardi” (com’erano chiamati allora i nascituri fuori del matrimonio), che si aggiunsero agli altri undici ufficiali che gli diede la moglie Ginevra Sforza. Diversamente da come ho fatto in precedenza per altre interpretazioni date per l’individuazione dei luoghi ove potrà avvenire un crimine collegato ai tarocchi, non mi sento di dare in questo caso un’indicazione preferenziale fra il Palazzo Sanuti e la Palazzina della Viola. Susanna scosse la testa. Non perché i dati rilevati dal padre fossero inesatti, tutt’altro, ma perché ormai il collegamento fra luoghi e tarocchi non aveva più alcuna importanza ai fini delle indagini “riservate” cui era stata demandato dal suo superiore. Suonò il telefono. «Sono papà, ho qualcosa da dirti.» «Come fai a sapere del tentato omicidio della Palazzina della Viola? La notizia non è stata ancora diramata.» «Infatti, non ne so nulla. Ti ho telefonato per aggiornarti sul mio diabete…» «Papà, chiama più tardi, che ho da fare…» «Aspetta un momento, Susanna, credo che sia importante…» Stefano cominciò a raccontare dell’incontro avuto con la sua vecchia amica di liceo, mentre Susanna cominciava a spazientirsi per un fatto che assolutamente non le competeva, né come figlia, né come investigatrice. Stefano intanto continuava: «Sai cos’ho scoperto? Che gli archivi della sanità potrebbero essere quelli su cui l’assassino si è basato per rintracciare le proprie vittime. Voi li avete consultati?» «No.» «E allora verifica se i nomi degli assassinati e se quello del nuovo ferito possono esserci. È una traccia da seguire che credo importante.» Susanna ripensò ad una frase che lei stessa aveva detta al suo generale: se troviamo da dove l’omicida individua le sue vittime, forse potremmo a nostra volta individuarlo. Ci fu un attimo di silenzio poi rispose: «Certamente, papà, provvedo immediatamente, grazie.» «E non mi chiedi niente del mio diabete?» «Come va?» «Non lo so ancora, devo aspettare la settimana prossima per gli esiti… Ciao.» |
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