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Capitolo 10 La “Scartata”
I due nuovi omicidi del “Serial killer dei Tarocchi”, riapparso all’improvviso dopo oltre un mese, rilanciarono la curiosità dei mass-media e della pubblica opinione, che negli ultimi tempi era andata via via scemando. Le conseguenze furono che molti cittadini bolognesi ripiombarono nel terrore di essere le vittime predestinate di uno psicopatico che non trovava nulla di meglio che ucciderli perché portavano un nome particolare, nuovi mitomani saltavano fuori con le loro invenzioni ed i cartomanti aumentavano il loro giro d’affari. Negli ambienti giudiziari e investigativi, dal Ministero degli Interni all’ultimo poliziotto, ogni superiore strigliava il sottoposto perché si desse da fare e trovasse l’assassino al più presto, ma le cose non cambiavano, nonostante la sempre più attiva azione d’indagine: ad ogni delusione provata quando una pista risultava inconcludente, aumentava la volontà, quasi l’ansia, di affrontarne altre, anche meno probabili, ma non ancora completamente esperimentate. Qualche fatto nuovo emergeva, ma non sostanziale, neppure in prospettiva, per cui l’assedio dei giornalisti alle forze dell’ordine incaricate, al Giudice per le indagini preliminari e agli esperti ufficiali, diventava sempre più esasperato ed esasperante; e a placare questa furiosa ricerca di novità e di notizie positive, non servivano certo delle conferenze e dei comunicati stampa che concludevano sempre con un nulla di fatto, o peggio, con le solite frasi di routine: “… Le indagini si stanno evolvendo...”, “… Siamo attivamente all’opera nell’esaminare ogni aspetto degli omicidi che stanno travagliando Bologna…”, “… Le prospettive non sono così pessimistiche come la gente crede”. Dichiarazioni che, oltretutto, erano ovviamente disarmanti sia per chi le faceva, che per chi le ascoltava. Su tutti i giornali era quasi ogni giorno ripetuto e dettagliato lo sviluppo degli omicidi compiuti, con riepiloghi continui, fotografie dei luoghi dov’erano stati ritrovati i cadaveri e interviste ai famigliari delle vittime; qualcuno pubblicava anche delle tabelle riepilogative come questa:
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Dopo la sfuriata di fine agosto che aveva visto il killer dei tarocchi commettere gli omicidi di via del Carro e della Capella del Santo in San Domenico, vi furono poco più di due mesi di stasi praticamente inspiegabili. Evidentemente, però, si trattava di una semplice “pausa di riflessione”, non di un’interruzione definitiva della sua attività criminale. Un serial killer finisce lo sviluppo dei suoi progetti solo quando è scoperto, catturato e reso impotente, e non era certamente questo il caso, perché il nostro assassino era ancora completamente sconosciuto, libero di agire e pronto a farlo. Forse aspettava che col passar del tempo si ammorbidissero tutti i provvedimenti e le contromosse attuate dagli inquirenti per impedirgli nuovi omicidi; oppure stava predisponendo i suoi programmi per individuare luoghi e vittime e colpire ancora; oppure (come aveva dichiarato il criminologo) aveva fatto semplicemente un break per scaricare la tensione che aveva senza dubbio accumulato con i primi sette omicidi. Se l’assassino si stava “scaricando”, Stefano Simoni no, tutt’altro. Giorno dopo giorno, stava diventando sempre più serio, più nervoso, per non dire ossessionato. Si era ormai convinto di giocare una sfida infernale a tarocchi con uno sconosciuto e che la stava perdendo! Sì, era roba da strizzacervelli, e lo sapeva benissimo, ma nonostante ciò voleva continuare a giocare, benché avesse giocato quasi tutte le carte che aveva in mano. Laura, la moglie, si era accorta quasi subito che il marito era cambiato, ed era facile che se ne accorgesse, perché alle solite spiritosaggini che le diceva ogni volta che apriva bocca, era subentrato un mutismo ben più assillante, come se Stefano non vivesse più in quella casa, ma vagasse col pensiero in lidi lontani e, per lei, incomprensibili. Anche Susanna, le poche volte che veniva a mangiare dai suoi, si era accorta del cambiamento del padre. Quel giorno, erano i primi di novembre, mentre Laura sfornava una teglia di lasagne fumanti che si mangiavano con gli occhi, Susanna si rivolse al padre: «È un po’ che i tarocchi non si fan vivi.» «Sì.» «Nessuna idea del perché?» «No.» Susanna lo guardò seria, mentre la madre poneva nei piatti i tranci di lasagna. «Che c’è, papà?» «Niente.» «St’altra volta, Susanna, io e te andiamo al ristorante da sole, no, anzi, lo mandiamo lui al ristorante, altro che storie, così ci possiamo fare quattro chiacchiere insieme senza musoni attorno. Tuo padre è diventato una specie di fantasma che vaga per casa senza dir nulla. Non legge più neppure un libro e non fa più le parole crociate, neppure quando va in bagno, ch’è tutto dire. Deve andare a farsi provare il diabete, dove aggiustare la luce nel sottoscala, anche la doccia è piena di calcare, ma lui niente, non fa niente e non dice niente!» Susanna aspettò inutilmente che il padre ribattesse qualcosa, ma lui continuò lentamente a centellinare sul piatto; solo qualche tempo prima, Stefano si sarebbe buttato sopra le lasagne con bocconi da spavento. «Eccezionali, mamma, queste lasagne. Un giorno vengo quando le prepari, così imparo.» «Non mi faresti che un gran piacere, Susy, almeno avrei un po’ di compagnia in questo mortorio.» Stefano continuava in silenzio a spezzettare con la forchetta piccolissime scaglie di lasagne portandosele svogliatamente e senz’entusiasmo alla bocca. «Dai, papà, di’ qualcosa?» «Chissà cos’ha scartato l’assassino…! Mi mancano due carte!» Fu la laconica, faticosa risposta di Stefano. «Lo so, papà, non sei riuscito a trovare il collegamento con la “Luna” e l’“Appeso per i piedi”. Ma non ti preoccupare, l’assassino non lo sa e colpirà nel mucchio fra le carte restanti. Non fartene una colpa!» «No, non è questo – la voce di Stefano era più che malinconica, rassegnata. – È come se mancassero delle carte dal mazzo e non riesco a capire quali siano. Eppure ci ha detto tutto e in anticipo: sappiamo chi colpisce e dove colpisce e, nonostante ciò, riesce sempre a realizzare il suo scopo senza che noi si possa fare niente. Ma ti rendi conto?» «I serial killer sono fatti così e fanno così. La letteratura criminale ne è piena e, se vuoi, anche i romanzi ed i film. Hai ragione tu, ci dice tutto, è vero, ma proprio per questo ci rende impotenti. Se poi aggiungi che è spinto da motivazione psicopatiche, se non addirittura schizofreniche, le difficoltà per individuarlo possono diventare insormontabili.» Laura si alzò da tavola, raccolse alcuni piatti sporchi e si avviò al lavello scuotendo la testa: «Schizofrenico quello là?– disse sommessamente ma con decisione. – Quello là non è affatto matto e non vi ha detto mai nulla. Vi sta dicendo quello che voi volete sapere e così facendo sta nascondendovi tutto!» Padre e figlia si guardarono allibiti. Stavano entrambi soppesando la frase di Laura e quel rapidissimo sguardo incrociato fu come un cenno d’intesa; ma fu un attimo: lo sconcerto si addolcì subito in stupore per poi trasformarsi in piacevole sorpresa ed aprirsi in un sereno reciproco assenso: la moglie, madre e “casalinga” aveva colpito nel segno. «Mamma, sei formidabile!» Esclamò Susanna con entusiasmo. «Sì, – confermò Laura alla figlia – oggi le lasagne mi sono venute veramente bene!» «Davvero eccezionali!» Approvò Stefano tagliandosene un trancio da far paura e riempiendosene la bocca con gusto. «Toh, chi si risente… l’ectoplasma parla!» Susanna guardò sorridendo prima il padre, poi la madre e si alzò da tavola: «Io ora devo andare, mamma.» «Ma come, non aspetti lo spezzatino coi piselli?» «Scusa mamma, ma mi sono ricordata di una cosa che devo fare con urgenza.» «Meglio così – osservò Stefano finendo le sue lasagne – ce ne rimarrà di più per noi.» «Tu sta’ zitto e vatti a provare il diabete!» Sbraitò Laura. |
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Stefano era tornato tanto in forma, che la mattina dopo si recò davvero al CUP per prenotare le analisi sulla situazione del suo diabete. Prese il numero dalla macchinetta elettronica (che tanto elettronica evidentemente non era, visti i pezzi di carta scritti a mano ed attaccati con lo scotch che ne spiegavano il funzionamento) e valutato ch’era il 72, fissò il grande numeratore appeso alla parete, fermo al 43. Si sedette per attendere pazientemente il suo turno ed estratto il giornale enigmistico che si era portato appresso, cominciò a fare le parole crociate. Ci volle circa un’ora e mezzo prima che sul numeratore luminoso cominciasse a lampeggiare il numero 72, con affianco quello dello sportello di riferimento. La non giovane addetta che lo ricevette, seminascosta dal monitor del computer, non lo degnò di uno sguardo limitandosi a formalizzare un semplice buongiorno e a sollecitargli la consegna della richiesta del Medico e della tessera sanitaria. Lui le porse i documenti e si sedette nella poltroncina di plastica davanti alla scrivania. « … Signor… Simoni… Simoni Stefano, via…?» «Via Borgo San Pietro 1.» «Vediamo subito le disponibilità.» Prima di guardare il monitor, però, la donna alzò gli occhi e fissò Stefano. «Stefano Simoni? – parve chiedersi, però attendendo una risposta di conferma – Liceo Galvani, sezione F, se ben ricordo?» «Sì, esatto… ma c’è scritto anche questo sul computer?» «No, c’è tanto, ma non questo. Ho visto il nome e mi sono ricordata di te, Steve! Eravamo in classe assieme, due anni solo, perché poi tu sei stato bocciato ed io sono andata avanti…» «Wanda… – un grande sorriso accompagnò l’improvvisa, piacevole rimembranza scolastica di Stefano. – Wanda Remigi, quanti anni…» Seguirono fra i due alcuni minuti di gioiosi convenevoli e di piccoli lampi di ricordi, ma quasi subito tornarono alle loro mansioni: Stefano a chiedere una visita e Wanda e prenotargliela. Poi prima di salutarsi, alcune altre battute sul passato. «Vedo che adesso stai in via Borgo San Pietro… Non abitavi quasi davanti al Galvani?» «Sì… Che memoria che hai!» «È ravvivata dai dati del computer. Qui c’è tutto di te. Vedo che hai moglie a carico, che sei pensionato, che hai il diabete, che hai avuto una frattura al tendine anni fa… Beh, ora però dobbiamo proprio salutarci. Magari vieni a trovarmi di nuovo uno dei prossimi giorni, dopo l’una, però, quando stacco. Potremmo berci un aperitivo e ricordarci dei bei tempi.» «Volentieri! Moglie permettendo, però!» «Anche marito permettendo!» |
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