|
||||||||||
Capitolo 8 Il Carro
Nella relazione che Stefano Simoni aveva predisposto per la Commissione d’indagine del “Caso Tarocchi”, al trionfo n. 6, “Il Carro”, erano indicati due siti: il primo era “Via dei Carrettieri, nei pressi dello Stadio, dove fino ad un secolo fa, stazionavano ed avevano le stalle i birocciai che raccoglievano ghiaia nel vicino Reno”; l’altro era, appunto, via del Carro “perché sembra che il nome della strada derivi dal fatto che tanto tempo fa vi era esposta una splendida carrozza intagliata in legno, costruita da un falegname che aveva lì la sua bottega.” C’era anche un appunto finale di Stefano: “Se dovessi optare su quale dei due siti potrà essere rinvenuto uno dei prossimi cadaveri, indicherei via del Carro che mi sembra più consona al Trionfo in esame”. Via del Carro, quindi, era stata posta di notte sotto sorveglianza delle forze dell’ordine, per tentare di cogliere sul fatto il “serial killer dei Tarocchi”. Erano poi state individuate sulle anagrafiche utilizzate, le possibili vittime, le uniche a quanto risultava, i cui nomi e cognomi richiamavano nelle lettere iniziali la parola “Carro”: così due atterriti cittadini bolognesi, Carlo Romani, dipendente della Provincia, e Carmine Rota, musicista, furono messi sotto scorta ventiquattrore su ventiquattro.
Via del Carro, a cento metri dalle Due Torri, è una stradina che inizia da via Zamboni, di fianco alla palladiana architettura del Palazzo Malvasia-Manzoli, per portare in via dell’Inferno, in pieno ghetto ebraico. Questa specie di vicolo inizia con un voltone sovrastato da un bel balcone in macigno, che poggia sopra una mensola, pure in macigno, al centro della quale fa bella mostra di sé un mascherone antropomorfo a bocca spalancata. Questo mascherone ha avuto fino al ’700 una funzione alquanto bizzarra: quando i nobilissimi Malvasia (o Manzoli) festeggiavano nel loro palazzo contiguo all’arco un qualche importante evento in famiglia (la nomina ad una carica, uno sposalizio, un battesimo o un semplice ricevimento) erano usi far uscire dalla bocca spalancata del mascherone un getto continuo di vino, di cui la plebe, sotto, poteva godere.
Difficile dire se questa magnanima profferta ai poveracci fosse davvero un modo per farli partecipare alla gioia familiare, oppure offrire ai nobili ospiti del palazzo lo spettacolo della folla che quasi si scannava per poter godere di un sorso di vino. Comunque sia, questo balcone fu chiamato “la fontana del vino” e con questa funzione lo si vede rappresentato anche in antiche stampe. Appena si entra in via del Carro, si può notare a sinistra una delle venti e più “case” del XIII Secolo che con le loro strutture di legno rappresentano, anche se sconosciuta, una delle caratteristiche di Bologna. Si tratta di “Casa Ramponesi”, nulla di straordinario come insieme strutturale, ma ha portici lignei d’epoca fra i meglio conservati in città. |
||||||||||
La ronda di due carabinieri che all’una di notte dette il cambio a quella che aveva preso posizione la sera prima, non notò nulla di strano ed anche i sostituiti non comunicarono loro nulla di particolare. «Tutto normale – riferirono – anche la noia di passeggiare in questi cento metri di strada per sei ore e di notte. Fino adesso c’è stato un certo passaggio di gente, non affollato, ma costante, poi da un’oretta, praticamente più nulla, solo qualche dipendente dei locali vicini che veniva a liberarsi dell’immondizia e a buttare i sacchi nei bidoni del rusco, qualche isolato ritardatario un po’ brillo che aveva perso la strada di casa e due o tre coppiette alla ricerca di un angolo buio per pomiciare e darsi l’ultimo bacio della notte.» «Ora tocca a noi – disse uno dei sostituti di ronda – andate a riposarvi tranquilli… Credo proprio che tutta questa sorveglianza sia inutile, ma tant’è, gli ordini sono ordini.» «Può darsi… Ma se hai letto l’ordine di servizio, non vedo alternativa alla sorveglianza in loco.» «Sì, d’accordo, ma sono quasi quaranta giorni che l’assassino non si fa vivo ed io sono convinto che abbia annusato la nostra contromossa e che si sia deciso a farla finita con la sua mania omicida. Beh, noi andiamo, buon proseguimento.» I due uomini rimasti iniziarono il loro lento via vai dalla “Fontana del Vino” a via dei Giudei, verificando il comportamento dei pochissimi passanti che transitavano e che, in affetti, erano normali persone che null’altro facevano se non camminare per andare a casa, oppure per trasferirsi in altri locali e trascorrere così i rimasugli della notte. Alle sei e trenta, due spazzini vennero per spostare un cassonetto pieno da via del Carro al camion dell’Hera che attendeva davanti all’arco. Spostando il cassonetto, un rigonfio sacco nero che vi era appoggiato dietro sembrò sfaldarsi come un otre non completamente colmo. «Dai – esclamò uno dei due spazzini – buttalo alla bella meglio nel cassonetto, mentre te lo tengo aperto.» «Facile a dirsi – replicò il collega brandendo il sacco e cercando inutilmente di sollevarlo – peserà un quintale…» «Ma va là, sei tu che diventi vecchio! Aspetta che ti do una mano… Accidenti! Ma cosa hanno messo qui dentro!» La scena fu osservata dai due carabinieri di ronda che si avvicinarono. «Fate vedere…» Il milite che aveva parlato estrasse di tasca un temperino e tagliò il legaccio del sacco, illuminandone l’interno con una piccola torcia. «Ma qui c’è un morto!» |
||||||||||
|
||||||||||
Susanna arrivò in via del Carro dopo circa venti minuti. La zona di ritrovamento del corpo era stata già transennata e, prima di lei, erano già giunti il Vice Procuratore di turno che salutò con una certa deferenza, ed una pattuglia di tre carabinieri che stazionava non lontano e che era stata avvisata. «Sapete qualcosa del morto?» domandò ad uno dei colleghi della ronda, consapevole però che non avrebbe avuto alcuna risposta positiva ed anche del fatto che il nome del morto avrebbe certamente composto la parola “Carro” «Negativo, Maresciallo – fu infatti la risposta. – Abbiamo preferito non toccare il cadavere, prima che lei intervenisse.» «Avete fatto benissimo. Quando arrivano i R.I.S.?» «Dovrebbero già essere qui.» Susanna aveva appena iniziato a scambiare qualche considerazione col Vice Procuratore, quando arrivò la macchina dei R.I.S. e, subito dopo, il furgone dell’Infortunistica comunale. Ci vollero più di due ore per compiere i rilievi, rimuovere la salma, farne un primo esame ed inviarla alla Medicina Legale. L’angolo di via del Carro dov’era stato ritrovato il morto, fu transennato. «Cosa ne pensa, Maresciallo?» domandò il Vice Procuratore a Susanna. «É strano… Tutto fa pensare al serial dei tarocchi, ma dai documenti ritrovatigli addosso risulta che il morto si chiama Claudio Degli Esposti e queste generalità non hanno nulla a che vedere con via del Carro e il trionfo n. 6, il “Carro”, appunto.» «D’altra parte deve trattarsi dello stesso assassino: le modalità dell’omicidio, il fatto che sia stato commesso lontano da dov’è stato trovato il corpo e l’esistenza d’un collegamento fra il luogo medesimo e la carta dei tarocchi di riferimento, non lasciano dubbi in merito. Beh anche i Serial killer possono sbagliare. Oppure, può essere che l’assassino, non potendo intervenire su chi questa coincidenza avesse (grazie alla vostra azione di scorta), abbia scelto un tipo qualunque così, a caso. Le sembra logico?» «Sì, credo che l’alternativa da lei individuata sia corretta e possibile… solo che – la voce di Susanna si era fatta grave e non nascondeva una forte preoccupazione – se fosse come lei ha intelligentemente dedotto, allora è inutile mantenere sotto protezione tanta gente. Se fosse così, infatti, l’assassino si è liberato di un problema scaricandocelo addosso e aprendosi una strada ben più facile per proseguire nella sua azione.» Susanna prese il telefonino e compose un numero. «Mi permetta una telefonata, Signor Procuratore… Pronto papà?...» |
||||||||||
|
||||||||||
Dopo ch’ebbe messo giù la cornetta Stefano rimase completamente assorto. Tutto coincideva: luogo, nome del luogo, trionfo… ma il nome dell’assassinato? Quello no, eppure… No, nella sfida a tarocchi che aveva iniziato da tempo, il suo ignoto avversario non poteva aver barato… eppure questa volta, aveva giocato una carta inesistente e l’aveva spiazzato. Susanna gli aveva riferito che si trattava di un certo Claudio Degli Esposti e che risultava residente in via Piella; la strada era poco distante da casa Graziani in cui Stefano abitava e quindi decise di andare a verificare per fare quattro chiacchiere con quelli che lo avevano conosciuto. Ma quando fu in via Piella scoprì subito che non c’era più nulla da indagare. Via Piella è una stradina davvero splendida: prima scavalca l’antichissimo canale delle Moline che si può ammirare, a sinistra, in un non breve tratto dove lo smagliante colore dei vecchi intonaci rossi delle case si rispecchia nell’acqua lenta che quasi pare accarezzarne le fondamenta; poi passa sotto l’arco del millenario Torresotto che porta il suo nome e che è una delle quattro porte restanti della seconda cerchia di mura di Bologna. Ai lati della via si sviluppano piccoli portici, alcuni sopraelevati, forse perché anche di lì passava un antico canale, altri a filo di strada, e sotto i portici, qualche invitante trattoria tradizionale e diverse botteghe artigiane con semplici insegne indicanti il loro antico, ma sempre prezioso lavoro. Una di queste insegne informava che lì lavorava “Claudio l’Arrotino”, e Claudio Degli Esposti era non solo l’arrotino di via Piella, ma anche “il Carro”, come indicava la composizione del nome con l’attività. L’assassino non aveva barato, aveva solo bluffato e stava continuando a giocare a tarocchi… e, quel che peggio, stava vincendo su tutti i fronti. |
||||||||||
|
||||||||||
Il Generale Cupiello era esasperato e, cosa che non gli capitava mai, invece di parlare seduto nella sua scrivania, stava sgolandosi camminando avanti e indietro nel suo ufficio. «Non è possibile che non si cavi un ragno dal buco! Sei omicidi in poco meno di due mesi e non uno straccio di pista da seguire. La stampa che mi sta alle calcagna come se l’assassino fossi io, il Ministro degli Interni che ogni giorno mi telefona per sapere quando finirà questa storia, ma che sotto sotto, mi dà dell’incapace; Questore, Prefetto e Sindaco non sono certo da meno e continuano a rompermi i co…» Susanna ascoltava il suo superiore, non tanto rassegnata, quanto incapace di ribattere qualcosa. Lei personalmente aveva la coscienza a posto; quello che si poteva fare era stato fatto e, in effetti, l’opera di sorveglianza dei siti e quella di scorta alle presumibili vittime aveva funzionato per quasi un mese, con un impegno di forze inimmaginabili che certamente aveva messo in imbarazzo l’omicida. Ma non poteva dare torto al suo superiore, perché le indagini erano ancora al punto di partenza e soprattutto perché la sorveglianza messa in atto non aveva impedito gli ultimi due omicidi. D’altra parte, l’assassino non era inquadrabile in nessun canone investigativo, era un serial killer e, come tale, uno psicopatico le cui spinte psicologiche erano imprevedibili ed imperscrutabili. Susanna taceva, ascoltava e aspettava solo la fine dello sfogo di Cupiello per intervenire. Il generale finalmente tacque, fece ancora due o tre passi per l’ufficio, poi si sedette e guardò il suo sottoposto: «Va bene, Maresciallo, mi faccia rapporto su quest’ultimo omicidio.» «La vittima si chiama Claudio Degli Esposti, ma è conosciuto come Claudio l’arrotino. È stato ucciso col solito colpo di pistola ed il cadavere è stato rinvenuto in via del Carro.» «Tutti elementi, questi che portano inevitabilmente al serial-killer dei Tarocchi… «Sì, signor Generale e, purtroppo, non lasciano spazio ad altre ipotesi. Ma una piccola novità c’è ed è su quella che stiamo lavorando.» «Dica.» «Pensiamo di aver individuato gli spostamenti dell’assassino e della vittima nel periodo in cui è stato commesso l’omicidio.» «La scientifica cosa ha detto sull’ora della morte?» «È stato ucciso nelle prime ore del pomeriggio di ieri. Il Degli Esposti abita ed ha bottega in via Piella dove ci siamo recati subito per verificare. Abbiamo appreso, da chi lo conosceva bene, che più che un arrotino, egli era un “ciapinaro”…» «Cos’è che era?» «Un “ciapinaro”, Signor Generale, è a Bologna uno sempre disponibile a far lavoretti a domicilio: un rubinetto che perde, un contatto elettrico, un’imbiancatura…» «Ho capito, venga al dunque – il Generale sembrò spazientito – stringa, Maresciallo, stringa.» «Noi supponiamo che sia stato chiamato a svolgere un lavoro e che là dove si è recato sia stato ucciso, per essere poi portato in via del Carro subito dopo…» «Supponiamo, oppure abbiamo dei riscontri?» «Ci sono anche dei riscontri. Innanzitutto quando siamo giunti davanti alla bottega era appeso sull’uscio un cartoncino con scritto a mano “torno subito”. Essendo stato l’arrotino ucciso sedici ore prima del ritrovamento del corpo, quell’avviso indica ch’egli non è più rientrato. Abbiamo però un altro dato, ben più importante. Risulta che quando andava a fare un lavoretto a domicilio in zona, vi si recava a piedi, ma se andava un po’ più lontano, utilizzava il suo furgoncino “Ape” che normalmente sta parcheggiato nei pressi della bottega. L’Ape non c’è, né sappiamo dove sia. Si può quindi agevolmente capire il meccanismo con cui l’omicidio è stato commesso: l’assassino prende contatti col Degli Esposti e si accorda per un lavoro a domicilio; questo prende il furgone e si reca dov’è stato richiesto il suo intervento; qui giunto viene ucciso con il solito colpo alla testa sparato da una pistola con silenziatore: l’assassino infila il corpo in un sacco dell’immondizia, lo carica sul furgoncino e lo porta comodamente e senza fatica in via del Carro; deposita “la merce” presso il cassettone e riparte sempre col furgoncino. Se troviamo questo veicolo, c’è speranza di trovare su di esso anche una qualche traccia utile ad identificarlo.» «Nulla in bottega che possa far risalire al luogo dell’omicidio?» «Nulla, né un appunto né una registrazione telefonica. Abbiamo richiesto alla Telecom il tabulato delle telefonate pervenute al numero dell’arrotino, ma dubito alquanto che l’assassino abbia lasciato una traccia di questo tipo.» «Non è molto, ma è una base di partenza certamente più percorribile di quelle degli altri omicidi. Mi trovi questo furgone, Maresciallo!» «Ho già dato disposizioni, Signor Generale.» |
||||||||||
|
||||||||||
|