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Capitolo 2 L’Angelo
Erano quasi le due di una notte di metà giugno, splendidamente serena e piacevolmente calda. Il Chiostro che porta elegantemente il nome di Stendhal e che si affaccia su Bologna a metà di via Codivilla, fra via San Mamolo a San Michele in Bosco era ancora pieno di ragazzi, intenti a bere qualcosa prima di andarsene e lasciare il posto ad altri che attendevano di potersi sedere. Due belle cameriere in mini gonna erano indaffaratissime a sparecchiare, a ripulire i piani dei tavolini e a servire i nuovi venuti; dietro al bancone erano continuamente posti su larghi vassoi cocktail, liquori, bibite particolarmente elaborate e accompagnate dagli immancabili stuzzichini; ogni tanto qualche caffè – d’orzo, s’intende, e canonicamente in tazza grande – e quasi mai qualcosa che non fosse alcolico o quantomeno corretto. Ai tavolini erano rare le ragazze che non avevano la sigaretta accesa fra le labbra e quelle che apparentemente non fumavano masticavano a più non posso una cicca con smorfie indescrivibili. I loro accompagnatori invece sembravano immuni da entrambi questi vizi, tutti intenti com’erano a posare per mostrare i loro abbigliamenti griffati, nella speranza di suscitare o ammirazione o invidia. Ànto (ovviamente, Antonella), Crì (Cristina), Massy (Massimiliano) e Sam (Samuele), si alzarono da dov’erano seduti; la loro serata era finita. Massy era in vena di “grandezze” e si diresse alla cassa: quella sera avrebbe offerto lui le consumazioni agli altri tre e gli altri tre si guardarono meravigliati: non era mai accaduto! Poi i quattro, i due ragazzi dietro e, davanti, le ragazze a braccetto, si avviarono verso la macchina. L’avevano parcheggiata su via San Mamolo, verso monte, subito dopo l’angolo con via Codivilla. Non avevano trovato posto in prossimità del Chiostro, per cui avrebbero dovuto percorrere un centinaio di metri in discesa per poterla raggiungere. Erano allegri e ridevano divertiti: gli uomini ribadendo e ricordando le battute dette in precedenza, le donne, con la sigaretta fumante in bocca, scambiando i propri giudizi sulla gente che avevano incontrato da Stendhal. |
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La palazzina Bernaroli-Valdesi, fuori San Mamolo, al civico 24, sorge pochi metri dopo l’angolo con via Codivilla. Non usuale il destino di questo piacevole edificio che nacque nel XV Secolo come convento, per trasformarsi prima in villa nobiliare e, infine, recentemente, in Centro Civico. Della sua originaria destinazione, a parte qualche debole traccia interna, resta solo un breve tratto di portico laterale, forse il vecchio chiostro, che accompagnando il giardinetto che lo affianca, si va ad affacciare su via San Mamolo con una splendida e ampia bifora finemente decorata da un ottimo scultore del Quattrocento: lo Sperandio.
Proprio davanti a questa bifora e in divieto di sosta, era parcheggiata la macchina di Sam, il quale notò subito che non c’erano multe sul parabrezza, cosa che l’aveva angustiato per tutta la serata, ma non più di tanto… c’era sempre papà a provvedere, nel caso. Mentre i quattro si avvicinavano all’auto, Ànto si portò all’improvviso una mano alla bocca, come per reprimere un grido: «Guardate là sul marciapiede… - sussurrò debolmente e angosciata - un morto, proprio accanto alla macchina!» «Macchè morto – la rassicurò Sam scuotendo la testa e ponendo la sua mano delicatamente sul braccio di Ànto – sarà il solito ubriaco stramazzato per terra o uno che “si è fatto” una pera di troppo.» Le donne, comunque, si fermarono, mentre Sam e Massy fecero qualche passo avanti per verificare da vicino la situazione. Il corpo, che non dava alcun segno di vita, giaceva scompostamente abbandonato fra lo spigolo del marciapiede e la portiera destra della macchina, in posizione più rattrappita che rannicchiata; la testa era avvolta da uno straccio o da un sacchetto di plastica. I due ragazzi si guardarono preoccupati in faccia come per confermarsi a vicenda che, forse, Ànto non si era sbagliata. Massy si chinò per scuotere il corpo, ma nulla accadde; l’uomo era decisamente morto e se anche non lo fosse stato, cosa si sarebbe potuto fare per aiutarlo? «Chiamiamo un’ambulanza - suggerì la Crì, poi aggiunse – io quello non lo tocco di certo.» «È inutile… – sussurrò Massy mentre si guardava le mani. – Accidenti, questo è sangue.» «Oddio, non posso guardare, chiamiamo il 113» disse Crì con voce più che tremolante, atterrita. Seguirono alcuni istanti di silenzio assoluto: gli sguardi passavano dai visi degli amici al corpo abbandonato lì a due passi, la mano tremante di Crì teneva stretta quella di Sam, mentre con l’altra cercava di coprirsi ancor più gli occhi già di per sé strettamente chiusi. Massy sfregava le mani su di un muretto tentando di liberarsi da quell’umido appiccicoso che gli sembrava che non sarebbe andato più via; Ànto all’apparenza era la meno agitata e, pur nella gravità inespressiva del volto, era chiaro che stava pensando ad una qualche soluzione per la situazione in cui si trovava e in cui non avrebbe mai voluto trovarsi. Prese il cellulare in mano e compose un numero. Gli altri la guardarono. «Pronto, Susanna?... Sì, sono Ànto, abbiamo bisogno di te…» Ànto continuò a parlare spiegando a Susanna con chi era e cosa era capitato, e domandando che si dovesse fare. Parlò pochi minuti poi chiuse il cellulare. «Susy ha detto di non muoversi e di non fare nulla e, soprattutto di non toccar niente. Se viene gente, di tenerla lontano il più possibile. Ha avvertito lei i colleghi per una pattuglia. Saranno qui a minuti. Anche lei viene subito.» «Brava, Ànto, - disse Crì avvicinandosi all’amica – ad aver pensato a Susy.» Furono meno di cinque i minuti che trascorsero fra la telefonata di Ànto e l’arrivo della pattuglia dei carabinieri, ma ai quattro amici sembrarono ore, anche perché qualche passante cominciò a fermarsi e a guardare («Non s’avvicini… lì c’è un morto… abbiamo già chiamato i carabinieri…»); qualche macchina, vedendo un pur piccolo assembramento, rallentò ed alcune si fermarono, mentre nelle case vicine cominciarono ad aprirsi e a illuminarsi delle finestre. Poi la pattuglia arrivò con luce blu intermittente e a sirena spiegata. Scesero tre uomini in divisa e mentre uno, quello che sembrava il capo, si avvicinava al corpo con molta cautela illuminandolo con una torcia, gli altri si rivolgevano agli astanti invitandoli ad allontanarsi e chiedendo chi aveva scoperto il cadavere. «Siamo noi!» disse sommessamente Massy. Subito dopo giunse ad alta velocità un’altra macchina che inchiodò vicino a quella dei carabinieri e ne scese al volo Susanna, avviandosi verso i quattro amici e ai due carabinieri che li stavano isolando dai curiosi. «Sono il Maresciallo Simoni – si presentò portando la mano alla fronte - Ho chiamato io dopo che questi miei amici mi hanno avvertito dell’accaduto.» |
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Stefano Simoni, come tutti i giorni a mezzogiorno e mezzo, si sistemò sul divano del salotto e si accese una sigaretta. «Hai preso il portacenere?» urlò dalla cucina Laura. «L’ho preso, l’ho preso…» Sospirò ad alta voce Stefano, mentre premeva il bottone n. 8 del telecomando. Si apprestava a guardare comodamente il solito notiziario di Bologna trasmesso da un canale privato. Una voce fuori campo annunciava i titoli delle notizie più importanti mentre sullo schermo scorrevano le immagini di riferimento: «Incrinature in Giunta fra il Sindaco e l’estrema sinistra sulla questione degli extracomunitari...; Quattro scippi in centro in appena due ore…; Previsto un aumento del biglietto dell’autobus…; È giallo a Bologna: trovato un cadavere in via San Mamolo…; Vinto dalla Fortitudo il Derby delle Due Torri…; il Bologna attende in casa i Modenesi in una partita decisiva per il futuro di entrambe le squadre…» Poi, sullo schermo, apparve il conduttore del telegiornale, tutto sorridente come a complimentarsi con se stesso per essere lì e, dopo il saluto di rito ai telespettatori, cominciò a dettagliare i vari servizi che erano stati annunciati, alternandosi con i filmati, con le voci fuori campo e con gli interventi degli inviati sul posto. Stefano ascoltava con svagata attenzione quelle notizie, un po’ annoiato dal loro ripetersi, giorno dopo giorno. In definitiva, pensò, erano sempre le stesse cose. Dopo il servizio sull’aumento dell’autobus riapparve il conduttore. «Veniamo ora al giallo di via San Mamolo: questa notte quattro giovani hanno rinvenuto presso la loro macchina il cadavere di un uomo ucciso, a quanto sembra, da un colpo d’arma da fuoco alla testa sparato a distanza ravvicinata. Sul posto si è recato il nostro inviato Giovanni Ronzani… Allora, Ronzani, cosa ci puoi dire sulla vicenda?» L’inviato apparve sul video col microfono in mano. Sullo sfondo s’intravedeva la bella bifora della palazzina Bernaroli-Caldesi. «Sì, hai detto bene – proclamava intanto l’inviato speciale. – È un vero e proprio giallo, anzi un mistero. Proprio qui, in via San Mamolo 24, dove mi trovo, davanti a questa palazzina, che poi è il centro civico del quartiere, è stato trovato il corpo.» Il giornalista si avvicinò lentamente ma con decisione all’edificio e allungò la mano tesa e aperta verso il basso per indicare una sagoma di gesso disegnata a cavallo del marciapiede: «E qui, proprio qui giaceva nel sangue il suo cadavere. Si chiamava Antonio Gelosi, impiegato di trentotto anni e l’hanno trovato questa notte alcuni giovani...» «È pronto in tavola – avvisò Laura dalla cucina. – Qui si sta raffreddando tutto» «Un attimo! Arrivo subito. Fammi vedere.» «Se poi gli strozzapreti fanno la colla, non prendertela con me!» Stefano fece spallucce e non distolse lo sguardo dal video. Mentre ascoltava il “bla bla” dell’inviato Ronzani, la sua attenzione venne attratta dalla grande bifora di marmo. Il filmato ne mostrava soltanto la base e l’inizio delle sue tre eleganti colonnine senza mai inquadrarne la sommità, dov’era l’arco a sesto acuto che racchiudeva e rifiniva gli archetti della bifora. A Stefano, però, non interessava granché vedere la finestra nella sua interezza: sapeva benissimo com’era fatta e, soprattutto, che cosa c’era al centro della sua sommità. Prese il telefono e compose un numero: «Susanna?» «Si papà… ciao.» «Ti disturbo?» «No, affatto, dimmi pure.» «Senti, Susanna, non vorrei certo complicarti le cose, ma ho sentito del delitto di stanotte.» «Sì, papà, ho fatto io i primi rilievi.» «Beh, questo non lo sapevo… Volevo dirti… guarda che non voglio intromettermi nel tuo lavoro, ma… Non so da dove incominciare.» «Dai papà, dimmi quello che vuoi dire. Non mi disturbi e non mi metti certo in imbarazzo.» «Va bene. Ti ricordi l’altro giorno quando mi hai parlato dei tarocchi?» «Eccome no.»
«E ti ricorderai anche di avermi chiesto un parere a riguardo.» «Sì, ebbene?» «Non so se tu e i tuoi ispettori ve ne siete accorti, ma al centro e in alto della finestra sotto la quale è stato trovato il cadavere di stanotte, è scolpito un grande angelo… «Non l’ho notato. Ma mi telefoni solo per dirmi questo?» «Sì, perché l’”Angelo” è anche il trionfo maggiore dei tarocchi.» Susanna rimase muta. «Susanna, ci sei?» Silenzio «Susanna… «Grazie papà. Adesso, però, devo andare, ciao.» Susanna chiuse lentamente il cellulare rimanendo impalata e in piedi vicino alla scrivania: poi sorrise stringendo le labbra e scuotendo la testa: «No! Non è possibile, è solo una stupida coincidenza!» |
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Nel suo splendido ufficio, ricavato dall’antica sala nobile del Convento dei Servi, quella in cui presumibilmente l’Abate riceveva i suoi antichi ospiti, il Generale Cupiello era indaffaratissimo a rispondere al telefono. Non appena deponeva la cornetta, esso risuonava e il centralino gli annunciava un altro giornalista che voleva porgli alcune domande sull’omicidio di via San Mamolo. In un momento di tregua, Cupiello chiamò il centralino ordinando di non passargli più telefonate di tal tipo. «Di’ ai giornalisti che sono impegnato fuori sede proprio per coordinare le indagini… No! Lascia stare questa scusa, sennò cominciano a chiedere a te particolari sul caso e tu non sai nulla. Di’ che non sono in stanza, e di chiamare nel primo pomeriggio!... Ah! Poi di’ al Maresciallo Simoni di venire subito qui!» Passò sì o no un minuto e si sentì bussare alla porta. Il generale fu perentorio. «Venga, Simoni, venga.» Susanna entrò. «Si segga, Maresciallo. Senta, è tutta mattina che quelli della stampa mi stanno martoriando sul “Caso Gelosi” e sono stufo di essere evasivo e di dire le solite fregnacce di rito che non significano niente e che scontentano tutti.» «Capisco, signor generale.» «D’ora in poi parlerà lei con i giornalisti. Una voce femminile è più convincente, anche quando non dice niente.» Susanna, sempre sull’attenti, si portò la mano in fronte e si alzò. «Come comanda, signor generale.» «Comodo, stia seduta, Maresciallo. Mi dica, ci sono novità sul caso?» «Troppo presto, Signor Generale, stiamo aspettando i referti della scientifica, ma per quel che ho visto io sul luogo dove abbiamo trovato il morto, ci sarà poco d’aggiungere. L’assassino, prima di trasportare la sua vittima in San Mamolo, gli ha avvolto la testa in un sacchetto di plastica, per non permettere al sangue di imbrattarlo o imbrattare il mezzo su cui lo caricava. Tolto il sacchetto, il capo era completamente inondato di sangue con chiari inizi di coagulazione, mentre sul resto del corpo non ve n’era traccia, almeno visivamente. Ho chiamato il Giudice di turno e allertato i RIS.» «Bene! Sull’ora della morte, quindi, non si sa nulla?» «No, anche senza i referti della scientifica, è stato agevole determinare uno spazio di tempo molto ristretto. Il Gelosi è andato al cinema Odeon per lo spettacolo delle otto e mezza; gli abbiamo trovato il biglietto in tasca. Il film è finito alle dieci e un quarto circa e, quindi a quell’ora era sicuramente vivo. Non risulta avere né macchina né altro mezzo di locomozione e quindi è andato e tornato a piedi. Non può che essere stato ucciso fra le dieci e un quarto e l’ora del ritrovamento del corpo. Direi un’oretta prima, cioè durante il tragitto da via Belle Arti a via del Porto, dove abitava. Il percorso più breve dal cinema a casa è quello di passare per via delle Moline…» «Ah, via delle Moline! Zona non certo tranquilla. Possono averlo ucciso lì?» «Direi di no. La gente sarà anche molto particolare alle Moline, ma lì, dopo le dieci e mezza ce n’è tanta, troppa, per passare inosservati mentre si spara alla testa di un uomo, ci si assicura che sia morto, gli si avvolge la testa in uno straccio e lo si porta via dopo averlo caricato su di un veicolo.» «Giusto, nulla da ridire» convenne il generale, ma non del tutto persuaso che non fosse possibile ammazzare uno in via delle Moline. «Protendiamo più per la zona Riva Reno, Galiera, Marconi – continuò a relazionare Susanna. – Quasi nessuna presenza durante la notte, punti abbastanza bui, molti portici, alcuni anche angusti, possibilità per l’assassino di giungervi in macchia. Questi elementi fanno pensare che conoscesse bene la sua vittima.» «Fin qui ci siamo… anzi non ci siamo per niente! Veniamo a un possibile movente. Avete fatto ulteriori indagini su questo Antonio Gelosi, sulla vita che trascorreva, sugli amici, sulle frequentazioni, sugli interessi?» «Sì, nonostante i tempi brevi. Non ha famiglia, vive solo ed è persona che i vicini definiscono tranquilla, educata e senza frequentazioni particolari. Non l’hanno mai visto entrare in casa accompagnato, donna o uomo che fosse. È presto dirlo, ma se io dovessi indicare qualcuno da ammazzare senza che non vi sia un solo movente per farlo, questo è proprio lui. Siamo andati anche a ispezionare casa sua, come da prassi, ma tutto è sembrato in ordine. Un solo hobby o, meglio, un secondo lavoro molto particolare. Collaborava con una famosa rivista enigmistica e componeva soprattutto sciarade e indovinelli. L’abbiamo scoperto perquisendo casa sua. Presi contatti telefonici con la direzione della rivista ci è stato riferito che lo pseudonimo del Gelosi era G. Elios e che in materia era un vero genio.» «Collegamenti fra la sua morte e questo lavoro? «Al momento, no. La rivista è edita a Milano e i rapporti sono quasi esclusivamente via posta o internet.» «Abbiamo ben poco in mano… C’è altro?» «No, Signor Generale.» «Senta, Maresciallo, lei mi sembra parecchio sveglia. Le do delega formale di seguire questo caso.» «Come comanda, Signor Generale!» Susanna rispose con un entusiasmo piuttosto contenuto, non perché non gradisse l’incarico, tutt’altro!, ma perché stava pensando alla precedente domanda di Cupiello: «C’è altro?», che le aveva fatto venire in mento la telefonata di suo padre: i tarocchi, l’“Angelo”, la bifora con la scultura dell’angelo, il morto che vi giaceva sotto… Non sapeva se riferire al Generale anche questa strampalata supposizione. Ma si decise a parlare: «C’è qualcosa, Signor Generale, che pare impossibile solo a pensarci, una congettura romanzesca che, però, vorrei meglio verificare pur non potendo ritenerla ancora un’ipotesi d’indagine.» «Se la ritiene importante, me la riferisca pure, poi, eventualmente, proceda.» Susanna raccontò quanto gli aveva detto il padre e mentre raccontava, il Generale Cupiello si piegò leggermente sulla scrivania, vi appoggiò i gomiti, inclinò il capo fra le mani, chiuse gli occhi e con le dita cominciò a grattarsi i pochi peli che aveva sulle tempie. Attese con pazienza che la donna finisse, poi si ricompose. «Stupidaggini… ma se anche così fosse, se suo padre avesse fatto centro, cosa significherebbe?» «Significherebbe che a Bologna potrebbe esserci un individuo che prima ci ha inviato i tarocchi per avvertirci di quello che avrebbe fatto, e poi, con l’uccisione del Gelosi, ha iniziato a farlo… l’ “Angelo” è il maggiore dei trionfi, e sul luogo del delitto c’è un angelo. La serie è iniziata e… e se così fosse, non ci credo neppure io, ma tant’è… ci troveremmo di fronte ad un serial killer e a una storia che andrà molto per le lunghe… Sa, signor Generale, nei tarocchi i trionfi sono la bellezza di ventidue.» «Stupidaggini, qui non siamo in un telefilm americano, siamo a Bologna! Comunque veda lei l’opportunità di vagliare anche questa possibilità. Da qualche parte dobbiamo pure incominciare!»
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