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Capitolo 1 Si mescolano le carte
Suonò il citofono interno: «Sì?» «Sono Simoni, Signor Generale, ho la posta, posso portargliela?». «Venga, venga, Simoni.» Nell’attesa, il Generale Augusto Cupiello si tolse gli occhiali, si ricompose i pochi capelli ingrigiti e si sistemò in modo più decoroso sulla poltrona, com’è dovere di un “capo, quando giungono dei suoi ”sottoposti”. Cupiello, napoletano d’origine, ma sostanzialmente uomo di Stato “a tutto campo", aveva ottenuto il Comando della Regione Carabinieri a Bologna poche mesi prima e ne era orgoglioso, non solo per l’avanzamento sostanziale della sua carriera, ma perché, ora, dopo aver girovagato dalle più piccole stazioni di carabinieri alle più ampie sedi dei commissariati, era giunto in una grande città; non certamente piacevole come la sua inimitabile Napoli, ma soddisfacente quel tanto da farlo sembrare come se fosse a casa sua.
E, poi, si sentiva importante, in quel maestoso ufficio che l’ospitava. Gli avevano riferito che il palazzo dove si trovava era l’antico convento dei frati serviti, quello collegato alla vicina Santa Maria dei Servi, che Napoleone aveva requisito, due secoli prima, per destinarlo a caserma della Guardia Nazionale; dopo sessant’anni, poi, all’arrivo dei Piemontesi, lo stesso edificio fu destinato al Comando dell’Arma. Insomma, fuori i frati e l’abate, dentro la Benemerita e il suo Comandante! Ma le sontuose architetture, i delicati affreschi, le grandi lapidi a memoria e i silenziosi chiostri erano sempre luoghi destinati, in un modo o nell’altro, a persone importanti; solo le celle dei monaci erano state trasformate in piccoli uffici secondari, magazzini, rimesse. Bussarono alla porta. «Avanti!» Il Maresciallo Susanna Simoni era una bella ragazza che aveva appena passato la trentina: alta e slanciata, teneva raccolti sulla nuca i lunghi capelli, non certo per scelta, ma in rispetto ai regolamenti interni. Il viso era piacevolissimo, con le guance che apparivano un po’ accentuate, ma non perché lo fossero davvero, ma perché la bocca deliziosa aveva labbra sottili e il bel nasino minuto era impertinentemente all’insù. Portava occhialini lunghi e affusolati con cui forse cercava di nascondere, ma senza riuscirci, due grandi occhi scuri da cui emanava uno sguardo troppo vispo per un graduato dei carabinieri. A guardarla bene, la divisa la ingentiliva… o era lei a ingentilire la divisa? Si fermò sull’attenti portandosi la mano alla fronte. «Signor Generale!» «Venga, venga, Maresciallo Simoni» le disse Cupiello contraccambiando il saluto; poi osservò: «La corrispondenza è un po’ in ritardo stamattina! I soliti postini scansafatiche.» «No, Signor Generale, una volta tanto le poste non c’entrano – precisò Susanna, mentre poneva sulla scrivania del generale il pacco della corrispondenza. – È che c’era un plico personale per lei… questo…, che ci ha un po’ insospettito. Abbiamo preferito farlo verificare dalla sicurezza, prima di recapitarglielo. Sa com’è, con i tempi che corrono.» «Vedremo poi. Per il resto, che c’è di nuovo?» «Nulla di straordinario, signor Generale! C’è la sua nomina a membro del Comitato per la sicurezza in città…» «Ma non mi era già giunto un paio di settimane fa?» «Sì, ma poi il Comitato è stato rifatto… Solite beghe interne al Comune. Questa è una Circolare del ministero degli interni che specifica le istruzioni già date con i precedenti chiarimenti al Decreto attuativo della Legge sull’emigrazione clandestina. L’ho già diramata a tutti i comandi delle Regione.» «Speriamo sia chiara, ma scommetterei che tra una settimana giungeranno istruzioni applicative a integrazione dei chiarimenti già dati alla circolare esplicativa… C’è altro?» «Sì, ma nulla di speciale, troverò tutto in cartella. Piuttosto, è questa busta gialla che pare strana, il plico, come le dicevo, che ho fatto verificare dalla sicurezza. Non l’ho aperto perché era personalmente indirizzata a lei e non sapevo se…» «Va bene, va bene, vediamo.» Cupiello prese il plico contenuto in una normale busta commerciale gialla e, tenendolo con le due mani, ne verificò l’esterno: c’erano solo il suo nome e cognome e la frase “personale-riservata”, il tutto stampigliato al computer; null’altro. Ne tastò contenuto e resistenza manipolandolo con le dita. «Pare che vi siano dei cartoncini, dentro…. Cos’ha detto la sicurezza?» «Nulla di speciale, signor Generale, o di pericoloso. Nessun rilevamento di metallo e nessuna possibilità di reazione chimica. È apribile in tutta tranquillità. Se vuole, provvedo io.» «Grazie, Simoni, non importa. Sarà la solita pubblicità o un qualche scherzo, uno dei tanti! In fondo siamo o no carabinieri? Come farebbero gli italiani a ridere se non ci fossimo noi?» Cupiello rise alla sua stessa battuta, convinto che non potesse non suscitare ilarità e Susanna sentì il “dovere istituzionale” di accontentarlo, sorridendo anche lei, sia pure senza eccessiva convinzione. Cupiello prese il tagliacarte, lo inserì nella busta e con un colpo deciso (indice della sua capacità di comando) ne tagliò il bordo superiore e ne allargò la fessura così ricavata per estrarne il contenuto. «Come vede, Maresciallo, è quello che ho detto: uno scherzo.» Dalla busta gialla erano usciti alcuni cartoncini rettangolari che il Generale stava facendo scorrere fra le dita guardandoli con una certa perplessità. «E questi cosa sono? Sembrano carte, no, anzi, figurine.», disse porgendoli a Simoni. La donna li guardò a uno a uno, corrugando perplessa la fronte. Poi sorrise. «No, signor Generale, non sono figurine, sono tarocchi. Vede: l’Angelo, il Diavolo, la Morte, il Sole, la Torre, la Luna …». «Lei conosce i tarocchi?» Domandò meravigliato Cupiello. «Non proprio, Signor Generale, ma mio padre è un esperto e tanti anni fa, quando la domenica pomeriggio venivano a casa nostra dei suoi amici e lui tirava fuori i tarocchi, io talvolta passavo il tempo a guardarli. E così qualche cosa mi è rimasta in mente.» «Suo padre è un cartomante?» Il tono di Cupiello sembrava scandalizzato, quasi indignato. «No, si figuri! – rispose ridendo la Simoni - Semplicemente giocava a carte con gli amici… I tarocchi, Signor Generale, qui a Bologna, sono normali carte da gioco, non carte magiche. Si gioca una specie di tressette briscolato, coppe, denari, spade e bastoni, e gli onori, che sono come briscole e prendono su tutte le altre carte.» Il Generale Cupiello rimase pensieroso per un qualche istante, poi sbottò: «Tresette briscolato?… A Napoli non si gioca e quindi non esiste! Archivi queste carte in una qualche parte, ma vedrà che non ci saranno mai utili. Si tratta di uno scherzo per farci perdere tempo o, forse, di un tentativo di pubblicità occulta.» Susanna prese in mano il mazzo di tarocchi, la busta e la lettera accompagnatoria e dopo aver salutato gerarchicamente il generale si avviò alla porta per uscire, ma si fermò un istante sulla soglia, riguardò i tarocchi e si rivolse nuovamente a Cupiello: «Scusi, signor Generale, devo ritenere quest’archiviazione come definitiva?» «Se ritiene opportuno, Maresciallo – rispose in forma conclusiva il superiore - faccia pure qualche verifica, basta che non trascuri le altre pratiche d’ufficio.» |
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L’edificio chiamato “Casa Graziani”, è inserito solo in qualche guida altamente specializzata sui monumenti di Bologna; è una palazzina apparentemente insignificante che non ha nulla da offrire all’esterno, un semplice cubo giallo di circa 10 metri per lato, sovrastato da un’altana quasi invisibile dalla strada. La vera sorpresa, però, la si ha entrandovi, perché l’antico proprietario che le diede il nome, un borghese arricchitosi con il commercio, volle per sé e la sua famiglia – e alla faccia degli spazi e a disposizione - una dimora sontuosa, come quella degli invidiati senatori bolognesi. L’edificio chiamato “Casa Graziani”, è inserito solo in qualche guida altamente specializzata sui monumenti di Bologna; è una palazzina apparentemente insignificante che non ha nulla da offrire all’esterno, un semplice cubo giallo di circa 10 metri per lato, sovrastato da un’altana quasi invisibile dalla strada. La vera sorpresa, però, la si ha entrandovi, perché l’antico proprietario che le diede il nome, un borghese arricchitosi con il commercio, volle per sé e la sua famiglia – e alla faccia degli spazi e a disposizione - una dimora sontuosa, come quella degli invidiati senatori bolognesi. Si vede però, che il signor Graziani era anche persona intelligente perché affidò la ristrutturazione interna degli ambienti al grande architetto bolognese Alfonso Torreggiani, che davvero realizzò un miracolo architettonico, rendendo quanto mai sontuoso e prestigioso il piccolo atrio e sviluppando in altezza uno scalone importante che raggiungeva (e raggiunge) l’altana del tetto, trasformata così in una cupola luminosa. Stefano Simoni abitava in un appartamento del piano terra di questa casa, proprio a ridosso dell’atrio, e quando passava per esso, vi si soffermava quasi sempre per osservarlo. Non ne poteva proprio fare a meno e mentre ne ammirava la fantasmagorica architettura, si rammaricava delle condizioni in cui il tempo e gli uomini l’avevano ridotta. Comunque lì ci stava bene, in quel non piccolo appartamento in affitto in cui viveva con la moglie Laura, sposata una quarantina di anni prima. Quella mattina di giugno, era quasi l’una, Laura era indaffaratissima perché doveva venire la figlia Susanna a mangiare e non poteva non preparare qualcosa che le fosse gradito. Aveva fatto la sfoglia, messo a cuocere il ragù da almeno due ore e posto il pollo sul fuoco per rosolarlo alla cacciatora. L’odore della cucina giungeva lieve sul cruciverba di Stefano che, mentre scriveva in stampatello la parola “Ocno” (rispondente alla definizione: “Re etrusco fondatore di Felsina”) stava beatamente sorridendo sia per la venuta della figlia, che per il pranzetto che la moglie stava preparando. Non aveva mai nascosto a nessuno che quando c’era Susanna a mangiare lo standard quotidiano della cucina di casa migliorava di molto. Suonarono alla porta, e il rito dell’arrivo della figlia si ripeté costante: la corsa di Stefano e Laura alla porta, la ridente accoglienza, gli abbracci, l’accomodarsi alla tavola e le prime chiacchiere: «Come stai?»; «Cosa hai fatto in questi giorni che non ti abbiamo visto?»; «Hai portato la biancheria da lavare?»; ecc., ecc. Stefano, generalmente non partecipava a queste conversazioni e mentre mangiava, si limitava a guardare ammirato e con orgoglio la figliola nella sua bella divisa da carabiniere, godendo del fatto che dopo quasi dieci anni in giro per l’Italia, lei fosse stata finalmente posta di stanza a Bologna. «Come va nella tua nuova sede?” Le chiese interrompendo il continuo parlottio di Laura. «Stavo parlando io!” s’intromise la moglie con tono offeso. «Se è per questo, stavi parlando già da mezz’ora e solo tu!… Beh, come va il lavoro, Susanna?» «Sai, papà, che mi trovo davvero bene! Oddio, non è molto gratificante per una graduata, fare da Segretaria al comandante della Regione, ma la cosa mi piace. In fondo, tutte le pratiche passano da lì, quelle burocratiche, certamente, ma anche i rapporti delle pattuglie, i referti delle indagini, i resoconti degli spostamenti… Insomma io non ci sono, ma è come se partecipassi quasi in prima persona a ogni azione.» «E come vanno le cose a Bologna per l’Arma, ovviamente se me ne puoi parlare?» «Periodo tranquillo in zona. Le solite cose che leggi sui giornali, magari un po’ enfatizzate, ma sostanzialmente corrette. Credimi, papà, quello di cui parlano spesso i giornali è per i carabinieri un lavoro di ordinaria amministrazione che si fa senza scalpore e ottenendo anche molti risultati che però, in genere, rimangono oscuri. Comunque, non è certo la vita di un ex-impiegato come te, o quella di una casalinga come la mamma… A proposito, mamma, complimenti, sei sempre divina in cucina!» «Sì, sempre… Quando vieni tu!» ironizzò Stefano. «Perché, mangi male gli altri giorni?» Domandò stizzita Laura. «No, non dico questo, ma se viene Susanna è tutt’altra cosa. Falla venire anche domani… ho voglia di strozzapreti!» «Te li vai a comprare, gli strozzapreti, altroché.» Ci fu una pausa, brevissima, per permettere ai tre di ridere, il padre per aver fatto stizzire la moglie, la madre per avergli saputo ribattere, la figlia per il puro piacere di vedere i suoi due vecchi ancora in forma. «Succedano, però, anche cose molto strane, papà – riprese Susanna. – Ieri, per esempio, c’è giunto in forma anonima un mazzo di tarocchi, non tutti, solo i ventidue trionfi…» «I tarocchi? Le “carte lunghe”, vuoi dire, come le chiamiamo noi a Bologna, quelle con cui giocavo quando tua madre... – Stefano guardò Laura accigliato - mi permetteva ancora di avere amici in casa.» Laura ribatté accigliata: «Mi ero stufata di fare da serva a un branco di fumatori a cui portare caffè e liquori. Non ne potevo più di te e dei tuoi amici!» «Hai proprio ragione, mamma, hai fatto bene!» «Sempre solidali, voi due… Stavo dicendo? Ah, già i tarocchi, le carte lunghe, che bel gioco! “Sequenza”, “criccone”, “grande”, “contatori”, “valore delle figure”… Ti ricordi qualcosa, Susanna, dei tarocchi? Te li insegnai, se non sbaglio.» «Sì, qualcosa ricordo. Il Cavallo vale 13, vero?» «No, tre cavalli valgono 13 e quattro raddoppiano e valgono 26… Da solo il cavallo non vale niente!» Susanna sembrò interrompere il padre nei suoi nostalgici ricordi: «Sì, papà, ma io non volevo parlare di carte lunghe! Volevo dire che oltre alla normalità, noi dell’Arma dobbiamo anche verificare cose fuori dall’ordinario, come i “Trionfi” che ci sono giunti. Chissà che significato hanno per chi ce li ha mandati? Tu cosa pensi?» «Ma cosa vuoi che pensi, tuo padre! – s’intromise Laura mentre serviva il caffè – togligli i cruciverba e i suoi libri su Bologna, e lui vive in eterno nelle nuvole!» «Non è proprio così, ma una volta tanto la mamma ha ragione. – confermò Stefano – Se non capite voi che siete investigatori, che ragione ci sia per avervi mandato queste carte, chi altro può farlo?» «Hai ragione, papà – disse rassegnata Susanna, alzandosi da tavola – Avevo avuto come l’impressione che sotto sotto ci potesse essere qualcosa, come un avviso, o una minaccia chissà a chi e chissà perché, forse all’Arma, o forse al suo comandante. Trattandosi di tarocchi speravo che tu mi potessi dare una qualche dritta.» Stefano scosse la testa storcendo la bocca: «Mi spiace, ma non saprei cosa dirti.» Il pranzo era così concluso ed anche la visita di Susanna ai genitori. Soliti saluti, soliti baci, solito accompagnamento alla porta. Susanna uscì soddisfatta dell’oretta trascorsa con i genitori e con le tagliatelle della mamma, ma un po’ delusa per la faccenda dei tarocchi. Ma forse, aveva proprio ragione il Generale Cupiello: non c’era nulla sotto e quei tarocchi erano solo uno scherzo incomprensibile da riporre in archivio.
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