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l’atavica contesa fra Scacchesi e Maltraversi,
fra Pepoli e Gozzadini

 

Lame
Via Lame

Via Lame è una strada che, per interventi urbanistici dovuti alla necessità della ricostruzione post bellica (ma anche a precedenti e rilevanti speculazioni edilizie) ha ormai ben poco di antico e di tradizionale da raccontare. Lo stesso nome, diventato col tempo “via Lame”, era in antico “via delle Lamme” ovvero degli acquitrini e delle paludi, dove in effetti essa portava secoli e secoli fa.

I “CARRELLI DI BERTINO

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Quello dei bolliti…
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… quello degli arrosti…
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….e quello dei Dorci

Un qualcosa, però, di tradizionale c’è ed è al numero civico 55, dove da circa sessant’anni, esiste il Ristorante Da Bertino il cui anziano titolare (Alberto Rota, detto appunto Bertino) e i suoi successori diretti (i figli, e non potrebbe essere altrimenti) sono ancora legati, anzi, vincolati, alla cucina tipica bolognese.

Qui, in un tavolo d’angolo, Rosati, Veronica e Ànghelos stavano pranzando; Rosati aveva ordinato dei tortelloni classici conditi con burro e pomodoro e non con quelle stranissime salse alternative (ragù di noci, formaggio di fossa, burro e salvia, sugo di lepre, e chi più ne ha, più ne metta!) in uso in cucine trasformiste che, chissà per quali recondite ragioni, rielaborano piatti già di per sé perfetti e inimitabili, come sono per altro tutte le specialità bolognesi. Ànghelos e Veronica lo avevano imitato molto volentieri, e ora, seduti in un tavolo d’angolo, stavano tutti e tre assaporando lentamente quel primo piatto.

Ovviamente l’argomento di conversazione era la loro recente avventura alla ricerca del tesoro nascosto.

«Quando eravamo nell’ufficio di Bolognesi, – disse Rosati rivolgendosi a Ànghelos – tu non hai risposto alla seconda delle mie domande; ricordi?»

«Qual’era pure?» Domandò Ànghelos, portandosi un tortellone alla bocca.

«Perché hai voluto continuare l’avventura da solo?»

«Vedi, Uberto, forse ti sei dimenticato l’accordo che tu e Veronica avevate con Bolognesi, accordo che era quello di comunicarvi l’un l’altro le scoperte che avreste fatto. Se io vi avessi riferito di essermi ricordato di cercare anche dall’altra parte della tomba, ci saremmo trovati ad aprirla insieme agli “esperti” della Curia e sarebbe così sfumata la soddisfazione di essere noi gli scopritori…»

«Se ne sarebbe andata a bacchetti, “a baccàtt”, come si dice a Bologna!»

«”Baccàtt”? Sembra greco… »

I tre risero, imboccarono un altro tortellone, poi Ànghelos continuò:

«Quando poi ho saputo che non solo noi cercavamo il tesoro, ma anche un Pepoli, beh, allora sono stato ancor più contento di aver agito in solitaria, perché la disputa in essere fra noi e Bolognesi, era all’improvviso diventata ben più sentita e incisiva, essendosi trasformata nell’atavica contesa fra Scacchesi e Maltraversi, fra Pepoli e Gozzadini, ovvero fra il conte Lamberto e me. Davvero affascinante!»

«Tanto più che questa volta – ironizzò Rosati – la faida fra le due famiglie, si è conclusa con la vittoria dei Gozzadini, gli eterni perdenti! Finalmente!»

Al pensiero delle antiche sconfitte subite dalla sua famiglia a causa dei Pepoli, Ànghelos sorrise amaro e ingoiò il suo ultimo tortellone accompagnando il movimento con un gelido sì.

Seguì un qualche momento di silenzio, il tempo necessario al cameriere per ritirare i piatti sporchi e servire i secondi. Veronica aveva scelto verdure grigliate, Ànghelos un fritto alla bolognese («Con molta crema fritta!» Aveva precisato) e Rosati un bel bollito misto servito al carrello.

Fu Veronica a riprendere il discorso:

«Voi che sapete tutto, mi spiegate che strada ha dovuto fare quel “Mandylion” per giungere fin dentro a quella tomba?»

«A questa domanda, è pressoché impossibile rispondere – disse sinceramente dispiaciuto Rosati –. Di sicuro proviene dall’oriente, ma quando e come giunse in Francia non lo si saprà mai. Le immagini sacre del Cristo non sono poche e ognuna, in definitiva, ha una sua storia. Anche la Sacra Sindone di Torino è un “Mandylion”, così come il Volto Santo di Manoppello, il Sudario di Oviedo, la Sindone di Besançon, e chissà quante altre… Nel Medioevo le reliquie erano ricercatissime e considerate veri e propri tesori d’inestimabile valore. Noi sappiamo e possiamo documentare che il nostro Mandylion è giunto qua dalla Francia grazie a Pietro da Bologna, ma come sia poi giunto in Francia e da dove, questo non credo che avrà mai risposta.»

«Un bel mistero! – osservò Veronica – D’altra parte tutta la storia che abbiamo vissuto è in definitiva piena di misteri. Pensate agli indovinelli, alle casualità con cui spesso li abbiamo risolti, alle ricerche che abbiamo fatto per tutta Bologna, agli incontri e scontri che abbiamo avuto per portarle a termine… Misteri, su misteri… Ci sarebbe materia per scrivere un romanzo!»

«Per quanto concerne i misteri di questa storia, Veronica, hai dimenticato di citare quello più straordinario, imprevedibile e, certamente irripetibile!» Disse Ànghelos, suscitando non solo la curiosità di Veronica, ma soprattutto quella di Rosati, che parve essere stato preso in contropiede, non sapendo neppure immaginare a cosa l’amico si riferisse.

«Cosa intendi?» Gli chiese.

«Già, cosa intendi, Ànghelos?»

«Beh, dopo settecento anni rivedere ancora a Bologna, l’un contro l’altro armato, un Pepoli e un Gozzadini, credo sia, se proprio non vogliamo dire una misteriosa coincidenza, certamente un fatto oltremodo bizzarro. Ma il mistero a cui mi riferisco è ben altro… Avete mai pensato al nome del prelato con cui abbiamo avuto a che fare a un certo punto della storia?»

«Chi? Bolognesi?»

«Sì, proprio lui… Monsignor Pietro Bolognesi, in pratica, Pietro da Bologna! Altro personaggio che dopo settecento anni riappare assieme a Pepoli e Gozzadini. Ma non è mica tutto qui…»

«Ancora?»

«Il mistero non è mai un mistero se a esso non si aggiungono altri misteri. Abbiamo parlato del Mandylion, non è vero? Fra le varie possibilità che spiegano cosa sia questa santissima reliquia, c’è anche quella che si tratti del Velo che la Veronica usò per pulire il volto insanguinato di Cristo. Non fate quella faccia! Sì, proprio il Velo della Veronica, come te, Veronica…»

«Così, in questo modo, anch’io entro nel romanzo che nessuno scriverà mai. Mah! Sarà anche vero… – Il tono e l’espressione di Veronica erano improntati a un grande scetticismo – C’è altro?»

Fu Rosati , a questo punto, a interloquire e con ironica incredulità

«A pensarci bene, fra i personaggi di questa storia manco ormai solo io e non credo proprio, di poter essere annoverato fra Pepoli, Gozzadini, Giuristi e Mandylion vari. Come me lo spieghi, Ànghelos, questo mia misteriosa assenza?»

«Non è per nulla un’assenza, caro il mio “Avvocato Uberto”… Ti dice nulla questo nome?»

«Sì sono il mio titolo di studio e il mio nome proprio… Che c’è di strano?»

«Si vede che di Bologna, caro il mio Uberto, conosci proprio poco! Sai chi era vescovo per tutto il tempo in cui Romeo Pepoli fu Signore della città?»

«Non ne ho la più pallida idea!»

«Era un certo Uberto Avvocati, il quale, oltre ad essere un principe della Chiesa, era anche un giurista, tanto che fu lui a dettare l’ordinamento che per secoli regolò il rapporto fra il potere di Roma e l’autonomia amministrativa di Bologna. Come vedi ci sei anche tu in questa storia di misteri, eccome, se ci sei!»

Rosati non ebbe tempo né di esprimere la sua indubbia perplessità, né per replicare qualcosa a Ànghelos, perché proprio in quel momento fu servito il dessert: la famosa e insuperabile zuppa inglese di Bertino, per gustare la quale i tre cessarono anche di parlare dei loro misteri.

Quando sui piatti rimasero solo lievissime tracce di crema, cioccolato e alchermes, Rosati esclamò:

«Straordinaria!»

«Sì, davvero straordinaria, questa zuppa inglese.» Confermò Veronica.

«Sì, Veronica – ribadì Rosati – la zuppa inglese di Bertino è davvero straordinaria, solo che io mi riferivo alla vita di Pietro da Bologna! Ma ci pensate? È un templare ed è il difensore ufficiale e riconosciuto dei templari in Francia, mentre è in corso la caccia ai templari. Un bel coraggio! È stato detto che fuggì quando si accorse del pericolo che correva continuando a patrocinare i Templari, ma io non ci credo. Io credo invece che sia tornato a Bologna, non per scappare, ma proprio perché incaricato di salvare il loro tesoro e nasconderlo in un posto sicuro: a Bologna, per esempio, dove non c’era persecuzione nei confronti dell’Ordine.»

«Detta così, potrebbe anche essere – osservò Veronica – Anzi, mi piace… Il romanzo si sta sviluppando in modo molto intrigante… Vada avanti, Avvocato.»

«Pietro viene a Bologna, per nascondere il tesoro e siccome Signore della città è Romeo Pepoli, quasi sicuramente un templare che ha raggiunto il potere grazie ai templari, è facile che abbia concordato con lui il luogo dove nasconderlo.»

«Mi sembra, Uberto, che stai fantasticando parecchio. – Disse Ànghelos – Non è che lo vuoi scrivere davvero il romanzo?»

«Ne fossi capace! Ma continuiamo. Il vero problema però, si presenta quando, nel 1322, Romeo è cacciato da Bologna, tanto più che, dopo pochi anni, a governare la città arriva proprio un francese, il Cardinale Beltrando del Poggetto, mandato da Giovanni XXII, Papa in Avignone. Visto come giunse a Bologna, si può anche pensare che Beltrando vi sia stato mandato anche con lo scopo di ritrovare proprio il tesoro dei Templari.»

Veronica si stava entusiasmando sempre più al racconto che Rosati andava elaborando, mentre Ànghelos scuoteva nuovamente la testa, ravvisando in esso soltanto grandi fantasie e nulla più.

«Comunque sia – proseguì Rosati – Pietro riesce a tenere nascosto il tesoro dalle mira del Cardinale, però, quando costui viene cacciato e il potere ritorna ai Pepoli, con Taddeo, gli si presenta lo stesso problema. Ci si può fidare di Taddeo? Domanda che, forse, tutti i bolognesi allora si posero.»

«E cosa rispose Pietro a questa domanda?» Chiese con tono molto ironico Ànghelos

«Si era fidato di Romeo e, quindi, poteva fidarsi anche di Taddeo, che, fra parentesi, era come lui un giurista laureatosi a Bologna. Ma non finisce mica qui. Passano dieci anni e Taddeo muore di peste. Immagino che Pietro sia corso subito a ritirare il tesoro dal nascondiglio a suo tempo convenuto con Taddeo e che si sia dato da fare per cercarne un altro.»

«E perché mai?» Domandò ancora Ànghelos, curioso di sapere come andasse a finire quella storia più che improbabile, del tutto fantasiosa.

«Semplice, non si fidava dei due figli di Taddeo, Giovanni e Giacomo, e aveva ragione, perché subito dopo la morte di Taddeo, essi cominciarono a trattare la vendita di Bologna ai Visconti. E fu in quest’occasione che la genialità di Pietro raggiunge il culmine: mise il tesoro nella tomba di Taddeo. Nessuno avrebbe mai potuto pensare che per nascondere qualcosa ai Pepoli, si usasse proprio il loro monumento più sacro e inviolabile. Avrebbero cercato ovunque, a Bologna, per trovare il tesoro, ma mai in quella tomba.»

«E qui finisce la tua favola?» Domandò Ànghelos.

«No, qui è finita la zuppa inglese ed io ne ordino un altro piatto! Per quanto riguarda la favola, potrà essere anche una fantasia, ma Pietro da Bologna quel tesoro l’ha proprio nascosto lì ed è lì che l’abbiamo trovato dopo settecento anni.»

«A questo punto – s’intromise Veronica – c’è un’altra bella coincidenza da rilevare: il tesoro dei Pepoli, la preziosa Veronica, che fu in mano a Pietro da Bologna, dopo settecento anni è ritornata in suo possesso… ovvero in possesso di Pietro Bolognesi! E chissà che il nostro monsignore non sia anche un templare!»

 

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