… Quando di notte, da
solo,
aprii il retro della Tomba di Taddeo …
L’ambiente era davvero incredibile, tutto ammantato
da due soli colori: il bianco e l’azzurro, che sembravano giocare assieme in un’armoniosa
e luminosa alternanza: il cielo limpidissimo e terso si mutava all’improvviso
nel bianco attenuato, quasi ialino, delle nuvole stratificate e queste, a
loro volta, erano tagliate di netto dall’orizzonte del mare il cui intenso
turchino subito contrastava col bianco della spiaggia, a sua volta tempestata
dal celeste degli ombrelloni e dei lettini; anche il nitidissimo intonaco bianco
delle case era sottolineato dal blu intenso delle porte, delle finestre,
delle balaustre, e dei recinti che ne cingevano i giardini.
«Non credevo che Folegandros
fosse così bella.» Esclamò Veronica.
Era seduta sulla sabbia in pieno sole a pochi metri
dal bagnasciuga e il nero intenso del suo bikini, dei suoi capelli sciolti e
dei grandi occhiali da sole sembrava più che risaltare, stonare in mezzo a
tutto quel bianco e azzurro. Vicino a lei, sotto l’ombrellone, su di una
sedia a sdraio, Ànghelos alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo e la
guardò:
«Te lo avevo detto che la mia isola era splendida,
ma se devo dirti la verità, ora che ci sei tu, è diventata ancora più bella…»
Lei si girò e gli sorrise scuotendo lentamente il
capo; lui sembrò subito schernirsi:
«So che è un complimento stupido, ma non ho trovato
nulla di meglio per apprezzare la tua presenza qui con me.»
«Ancora per poco… purtroppo! Domattina si parte per
Bologna. A me aspetta lo studio Rosati e a te la Curia… A proposito, non mi
sono ancora complimentata con te per l’incarico ricevuto come esperto
d’arte.»
Ànghelos si alzò dalla sua sedia e si raggomitolò
accanto a lei sulla sabbia, abbracciandola e baciandola – contraccambiato –
con grande trasporto.
«Non so se tornerò. Amo troppo quest’isola, questo
mare…»
«Ma ami anche me e Bologna!»
«Tu sei già qui e se vuoi, puoi rimanere con me per
sempre.»
«Non ti sembra di chiedermi troppo?»
«No, se mi ami!»
«Io ti amo, – sembrò concludere Veronica – ma se
anche tu mi ami, torna con me a Bologna.»
«Sì, potrei, ma diventare un impiegato della Curia
non mi entusiasma più di tanto… Oltretutto sono ortodosso!»
«Meglio forse fare il muratore?»
«Forse no, ma questo mi ha permesso di trovare il
tesoro dei Pepoli.»
«Errore! Il tesoro dei Templari!»
«Nessun errore, i tesori erano due.»
Veronica staccò il viso dalla guancia dell’uomo e si
girò guardandolo negli occhi, sempre con grande tenerezza, ma anticipandola
con un brevissimo lampo di titubante sorpresa.
«Cosa vuoi dire Ànghelos? Non capisco.»
«Quello che ho detto!»
«Scusa sai, ma m’è sembrato che tu abbia detto… no,
ho capito male!»
Ànghelos la guardò sorridendo e scuotendo il capo
come a dirle che no, non aveva capito male, aveva capito benissimo: lui aveva
trovato sia il tesoro dei Templari sia quello dei Pepoli!
La ragazza si scostò lentamente e completamente da
lui frapponendo fra se e lui il braccio teso quasi a volerlo tenere distante.
Lui cominciò a parlare pacatamente, come se quello che stava dicendo fosse la
cosa più naturale del mondo:
«Quando ho aperto la tomba, non c’era solo il “Mandylion”, ma
anche una caterva di fiorini d’oro, non li ho mai contati, ma erano davvero
tanti.»
«Il tesoro dei Pepoli!»
«Sì!»
L’occhiata che Veronica gli lanciò era di profonda
delusione.
Ànghelos continuò:
«La ricostruzione che Rosati ha fatto dell’antica
vicenda è sicuramente giusta. Pietro da Bologna dopo tante vicissitudini ha
nascosto il “Mandylion”
nella tomba, ma non all’oscuro dei figli di Taddeo Pepoli, Giovanni e
Giacomo, ma con il loro pieno consenso. Quando poi i due fratelli vendettero
la Signoria della Città ai Visconti di Milano e incassarono 180.000 fiorini
d’oro, sapevano già in anticipo che difficilmente avrebbero potuto tenerseli
quando i Visconti, con i loro governanti e i loro eserciti fossero entrati in
Bologna. E allora ne nascosero almeno una gran parte. E quale posto più sicuro
di una tomba, all’interno della chiesa di San Domenico, sede, fra l’altro
della Santa Inquisizione?»
A Veronica tutta quella storia interessava ben poco,
anzi assolutamente nulla, perché nulla poteva giustificare il comportamento
di Ànghelos;
«In definitiva, non sei che un ladro – gli disse con
vero rancore – un ladro di bassa lega, uno che ha carpito la buonafede di
tutti unicamente per rubare!»
Ànghelos sembrò non averla sentita, tanto da non
dare nessuna importanza a ciò che aveva detto, e proseguì nel suo racconto.
«Quando di notte, da solo, aprii il retro della
Tomba di Taddeo, al centro del vano c’erano il “Mandylion” e attorno cinque
pesantissimi sacchetti. Raccolsi il “Mandylion” e lo guardai davvero estasiato. Capii subito
che quello era una reliquia templare e che, quindi, quel nascondiglio non era
servito solo ai Pepoli. Poi ho aperto uno dei cinque sacchetti e vidi che era
pieno di monete d’oro; anche i contenuti degli altri erano identici: era il “tesoro” che stavamo cercando da mesi.»
«Sei uno spudorato! – urlò Veronica – Non capisci
che non m’importa nulla di quello che hai trovato nella tomba!»
Completo disinteresse da parte di Ànghelos
all’astiosa e secca reazione di Veronica.
«Il problema era come riuscire a portar fuori tutta
quella roba, a cominciare dal “Mandylion”, preziosissimo ed estremamente delicato. Lo
slegai e riuscì a inserirlo di piatto nella mia borsa degli attrezzi
proteggendolo con i guanti da lavoro. Per i cinque sacchetti non sapevo
davvero come fare. Troppo pesanti e ingombranti, per portarli fuori dalla
Basilica la mattina dopo, quando si sarebbe riaperta. E allora ho pensato di
toglierli dalla tomba e di nasconderli qui o là nella chiesa: dietro un
altare di una cappella secondaria, fra le pile di sedie accatastate in un
angolo, sotto la statua di non so quale santo, ecc.»
«Ma perché mi racconti tutto questo… Non
m’interessa, non m’interessa più…»
«Te lo racconto per dimostrarti che non sono un
ladro…»
«Non mi convinci! Non mi convincerai mai!»
«La mattina dopo, sono uscito di nascosto dalla
Chiesa con la borsa, il Mandylion e un sacchetto,
mi sono recato a casa, ho preso uno zainetto, quello che usano i turisti nei
loro viaggi, e sono ritornato in San Domenico, da dove sono entrato e uscito
quattro volte, ciascuna delle quali con un sacchetto. Quando raccolsi quello
che avevo nascosto nella cappella di San Raimondo da Paňaford,
mi accorsi ch’ero osservato da Lorenzo Pepoli e non ti nascondo che ebbi
timore che il mio piano fosse stato scoperto. Non era così! Era una semplice
combinazione. Insomma, alla fine, sacchetto per sacchetto, ho recuperato
l’intero tesoro…»
«Non recuperato, no! Rubato e in modo indegno!»
«Uno dei sacchetti l’ho portato a monsignor
Bolognesi, assieme al “Mandylion”;
siamo rimasti d’accordo che non avremmo fatto menzione a nessuno del
sacchetto. Le monete sarebbero state inserite e inventariate nel tesoro
dell’arcivescovado. Quando gliele ho consegnate, lui mi ha anche guardato,
come per dirmi che non era sicuro che gli avessi consegnato tutte le monete
trovate, ma non ha detto nulla, forse gli andava bene così. Un altro
sacchetto l’ho dato a Rosati, dopo la riunione in Curia, e l’ho anche
avvertito della distribuzione in corso e che avrei tenuto due sacchetti, uno
per me e uno per te, Veronica. Ovviamente, essendo un avvocato, Rosati è
stato molto restio ad accettare, perché legalmente si trattava di
associazione per delinquere o, quanto meno, di appropriazione indebita; ma
poi ha detto che andava bene così e che avrebbe tenuto la sua parte di monete
come ricordo dell’avventura.»
Ora Veronica si era fatto un po’ più attenta e se
non aveva ancora del tutto placato la sua ira, di certo stava rivalutando
l’idea completamente negativa che all’improvviso si era fatta di Ànghelos.
Lui continuò:
«Un altro sacchetto è a tuo nome nella cassaforte
dell’albergo, lo puoi ritirare quando ti pare, sia che tu decida di rimanere
qui a Folegandros con me, sia che torni a Bologna.
Come vedi non ho rubato nulla, ho destinato quello che ho trovato a tutti
quelli che hanno partecipato alla ricerca.»
L’espressione seria, anzi irritata, del viso di
Veronica, si era ora andata rasserenando, tanto ch’essa si riavvicinò a lui e
appena ebbe finito di parlare, lo baciò con lo stesso trasporto usata prima
ch’egli cominciasse il racconto.
«Non sono un ladro…» Le sussurrò Ànghelos dopo il
bacio.
«No, non sei un ladro, scusa se ti ho giudicato
male… Un momento! Hai detto che i sacchi di monete erano cinque: uno a
Bolognesi, uno a Rosati, uno a te e uno a me… Sono quattro; il quinto dov’è
finito?»
«Il quinto spetta a Pepoli.» Dichiarò candidamente
Ànghelos.
«E quando glielo hai dato?»
«Non gliel’ho mica dato, né glielo darò mai!»
«Mi fai arrabbiare quando parli così senza in fondo
dire nulla! Cosa significa che non glielo darai mai?»
«Semplicemente che la sua parte di tesoro se la deve
cercare! Anzi, fammi un piacere: quando torni a Bologna, consegnagli questo.»
Ànghelos aprì il portafoglio, ne trasse un biglietto
piegato in due e lo porse a Veronica che con voce falsamente irritata lo
apostrofò
«E chi ti dice che io torno a Bologna?»
Ànghelos sorrise come se quella di Veronica, più che
una dubbiosa domanda, fosse stata un’assicurazione… no, non torno più a
Bologna…
«Allora, nel caso che resti con me su quest’isola,
glielo spediremo.»
Veronica prese il biglietto e lo aprì:
(Per
conoscere la soluzione dell’indovinello clicca sopra l’immagine – N.d.A.)
Lo lesse:
«”Ad una nuova
caccia prendi parte
andando là dove ho appena detto:
Nell’ala Sud dell’alto sottotetto,
iniziar potrai trovando altre carte.
A.G.”»
Poi esclamò:
«Un altro indovinello! E questo dove l’hai trovato?»
«È mio. L’ho fatto io. Come vedi ho messo anche lo
stemma dei Gozzadini e le mie iniziali. Se Lorenzo
Pepoli vuole entrare in possesso della sua parte di tesoro, dovrà risolvere
un po’ d’indovinelli e correre per Bologna, né più né meno di come ho fatto
io, anzi, noi.»
«Per la verità – tenne a precisare Veronica – anche
lui ha cercato e corso e, in qualche caso, ci ha anche aiutati a risolverli,
i quesiti.»
«Sì, è vero, ma è sempre un Pepoli, ed io sono un Gozzadini… non posso mica aiutarlo!»
FINE
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