… «Scusi, ma Lei chi è?» ...… Rosati e Veronica erano nello studio di via
Galliera, e dopo aver messo a posto alcune pratiche che attendevano di essere
evase fin dalla mattina, si erano seduti uno davanti all’altra, come se
volessero fare quattro chiacchiere qualsiasi. E fu Veronica a parlare per
prima: «Stanotte è stato bravissimo, avvocato, che
prontezza di spirito quando sono arrivati i frati. Poi, mi dica, cos’è
successo?» «Non ci crederà, Veronica, ma abbiamo fatto
colazione in refettorio. Le dirò, Veronica, che è stata anche una
piacevolissima esperienza… ho anche riscoperto la bontà di pane e
caffellatte; altroché brioche e cappuccino… I frati sì che si sanno trattare
bene!» «E, poi, dopo colazione?» Rosati raccontò tutto quello che era capitato nella
cappella di San Michele e concluse: «Ero molto preoccupato dal fatto che tu e Ànghelos
avevate già fatto prima quello che gli esperti della curia stavano facendo,
ma non sapevo il risultato, per cui quando hanno estratto la nuova pergamena
e i Pepolesi – addirittura sette! – sono rimasto
come stralunato e subito dopo mi sono anche irritato. Credo di essermi anche
troppo esposto con Bolognesi, affermando che quel nuovo messaggio ci
riportava all’inizio, a Palazzo Pepoli…» «E il pretonzolo come ha reagito?» «Bolognesi ha taciuto, ma se aveva qualche dubbio su
tutto il mio comportamento, certamente la mia uscita l’ha ampiamente
avvalorato.» «Per quello che c’importa di Bolognesi!» «Non è detto…» Rosati si mosse dalla sua poltrona come per mettersi
più comodo, poi domandò con un tono fra l’ironico e l’interessato: «Piuttosto, voi cos’avete fatto, mentre io ero
impegnato con i frati?» Veronica raccontò che erano usciti dal nascondiglio
dopo che i frati se n’erano andati con Rosati e che avevano finalmente aperto
il vano segreto nascosto dalla mattonella, trovandovi anch’essi l’inutile
messaggio e i sette pepolesi. «E li avete lasciati lì, a quanto sembra.» Domandò
Rosati. «Ànghelos ha ritenuto, ed io ho convenuto con lui,
che non c’era ragione di asportare messaggio e monete, proprio perché da lì a
qualche ora vi sarebbe stato il sopralluogo di Bolognesi e company. D’altra
parte il messaggio a noi non serve a nulla e anche le monete sono di fatto
inutili, perché la loro finalità è quella di confermare che il ciclo si era
riaperto rimandando tutto all’inizio: sette, nella tomba, poi sei a Palazzo
Pepoli, quindi cinque a porta Castiglione, e via via, quattro, tre, due… ecc.
ecc. La sequenza a scalare era ripartita…» «… oppure è finita… e con essa, la nostra
avventura.» «Ànghelos mi ha detto che non è così, che è finita
l’avventura degli altri, non la nostra.» «Strano, ma sentiremo anche Ànghelos. Sai nulla di
quando ci dobbiamo vedere?» «No, mi ha detto che andava a casa a riposarsi…
Beato lui, che l’ha potuto fare. Io è da ieri che non dormo… sa, avvocato, io
lavoro in uno studio legale come precaria …» «Ed io come titolare! E anch’io non ho dormito
questa notte, anzi, mi è venuto anche male alla schiena a star sdraiato fra
quei maledetti scranni! Come vedi, siamo pari.» L’uomo… … era
davvero di malumore, un malumore inquieto, quasi rabbioso. Ma come poteva
essere che nella tomba di Taddeo ci fosse un altro indovinello e non quel
tesoro a cui ormai molti tendevano anche se tutti, tranne lui, non sapevano
di che tesoro si trattasse? A meno che
il tesoro non fosse mai esistito! Ma se fosse stato davvero così, il tutto diventava
per forza un’antica burla architettata non certo per prendere in giro i
posteri, ma per ingannare eventuali contemporanei in cerca del tesoro. Questo
sì, poteva essere credibile. D’altra
parte, quali altre eventualità potevano giustificare il rinvenimento di un nuovo
messaggio? Gli venne in mente che, forse, la soluzione data all’indovinello
trovato nel campanile, quella che indicava la scacchiera, fosse sbagliata, ma
fu un pensiero subito cancellato perché impossibile; in tal caso, infatti,
nella tomba di Taddeo e sotto quella mattonella, non si sarebbe dovuto
trovare nulla, anzi non doveva esserci neppure il nascondiglio che si apriva
con un meccanismo segreto. Il
messaggio era originale, la soluzione esatta, il punto dove cercare era
quello…. E allora? Andò a
verificare quelle “carte” che lo avevano fino a quel momento edotto, e si
pose alla scrivania aprendo il cofanetto in cui erano rinchiuse. Forse
vagliandole per l’ennesima volta avrebbe scoperto qualcosa di nuovo. Ma ne
dubitava alquanto. «Allora, cari amici, dobbiamo ritenere finita la
nostra avventura?» La domanda era posta da Rosati, in casa di Ànghelos,
presente, come sempre, Veronica. «No, non è per niente finita, tutt’altro!» Asserì
con grande convinzione il greco. L’assolutezza della risposta colse tanto di sorpresa
i due amici che su di essi cadde un silenzioso sbigottimento, che sembrò
essere una vera e propria richiesta a Ànghelos di spiegare la secca
affermazione. E il greco spiegò: «L’indovinello che ci ha indirizzato alla tomba di Taddeo
è corretto ed è corretta anche la sua interpretazione. Bisogna cercare nella
tomba, e sotto la mattonella nera a cui essa indirizza.» «È quello che abbiamo fatto – intervenne Rosati –
trovando quello che abbiamo trovato: un inutile messaggio. E allora come fai
a dire che la nostra avventura continua?» «Il posto dove cercare è la tomba di Taddeo. Il
nuovo messaggio è semplicemente un depistaggio... e ti dirò di più, Uberto,
meno male che il depistaggio ha funzionato perché così ci siamo liberati in
un colpo solo di monsignor Bolognesi e, soprattutto, di chi ci sta spiando
nell’ombra, fin dall’inizio.» Veronica prima guardò entusiasta Ànghelos, poi gli
si rivolse con un tono che, volendo essere di rimprovero, ma non riuscendo a
esserlo, si trasformò in una smorfietta involontariamente ironica. «Adesso, però, caro il mio Ànghelos, la smetti con
tutti questi giri di parole e ci dici chiaramente cosa pensi di aver scoperto
e che programmi hai.» «Sei un bel tipo, Veronica ,– disse Ànghelos,
contraccambiando la comica smorfietta – quando è il tuo avvocato a tirarla
per le lunghe, a creare tensione con le pause e a cercare il colpo di scena,
va tutto bene, se invece lo faccio io, sono guai… E fammi togliere una
soddisfazione ogni tanto, per la miseria!» «Scusa, scusa… Non volevo mica offenderti… Tirala
pure lunga quanto vuoi!» Ànghelos le sorrise, contraccambiando il sorriso di
lei, mentre Rosati, guardandoli, non capiva come, in un momento
particolarmente importante per la vicenda che volevano portare avanti, quei
due facessero gli innamoratini litigiosi rimbeccandosi e sorridendosi senza
alcun ritegno. Ma fu solo un attimo; Ànghelos tornò serio e spiegò:
«Semplicemente, abbiamo sbagliato scacchiera! Strano
che a te, Uberto, non sia venuto in mente. La tomba di Taddeo è posta fra due
cappelle a cui fa da muro divisorio: la facciata della tomba dà sulla
cappella di San Michele, il retro, invece, dà su quella del Santissimo
Sacramento. Noi abbiamo operato sul davanti della tomba, che è la parte più
esposta, direi appariscente e, in un certo senso, più logica per
intervenire.» «Sì… e allora?» «Il punto è che il davanti e il retro della tomba
sono identici per struttura, forme e ornati…» «E quindi sul retro della tomba c’è la stessa scacchiera
che c’è sul davanti!» «Bravo, Uberto, sette più!» «Andiamo subito in quella chiesa.» Propose Veronica
alzandosi tutta eccitata. «Sono d’accordo.» Assentì Rosati, alzandosi anche
lui. «E allora andiamo!» concluse Ànghelos. L’uomo… … leggeva:
“Onde onorare colui lo quale vita,
ricchezze et maximo decoro affidò alla famiglia, in
Santo Domenico, con permesso de’ superiori e di essi sanctissima
benevolenza, vuolsi noi grande cappella per memoria
sua e in mezzo ad essa erigersi con prestigio il sepolcro, quale alcuno in Bononia giammai potèa vantare, sicchè in maxima dignitate aeterna sue spoglie
mortali abbino riposo in Dio ed infra li homi…”
L’antico
documento, nel proseguire la descrizione della cappella e della tomba, non
mancava di riprodurre il testo delle due lapidi che gli eredi avevano voluto
affiggere sul davanti e sul retro della tomba, per ricordare l’una,
l’elezione di Taddeo a Signore da parte del popolo bolognese, l’altra il
riconoscimento di Papa Benedetto XII della sua carica di Conservatore di
giustizia della città. Stava
appunto affrontando la traduzione dal latino dei testi di queste due lapidi
quando improvvisamente interruppe la lettura per tornare indietro di qualche
riga: “…grande cappella per memoria
sua e in mezzo ad essa erigersi con prestigio il sepolcro…” Secondo questo testo, pensò, la tomba è in
mezzo alla cappella, non di lato. Non sarà mica… Ripose in
fretta i fogli del manoscritto nel suo antico contenitore e uscì di casa
quasi si corsa. I tre entrarono in San Domenico dirigendosi
immediatamente verso la Cappella di San Michele. Ànghelos guidava la
missione: «L’altro giorno – diceva mentre camminava – abbiamo
corso inutili pericoli, venendo qua di notte, nascondendoci, facendo scattare
gli antifurti e svegliando l’intera comunità domenicana. Quella che abbiamo
fatto quella notte, lo si poteva fare in piena tranquillità e alla luce del
sole…» Erano giunti quasi alla Cappella di San Michele,
quando Ànghelos si fermò, annunciando: «Cari amici, vi presento la Cappella del Santissimo
Sacramento!» Rosati e Veronica non poterono fare a meno di
sorprendersi. Una cappella la s’immagina aperta e visibile, quasi come una
scenografia teatrale, e invece, in questo caso, c’era sola una piccola
porticina, talmente contenuta che pareva essere fatta non per permettere di
entrare in un qualche locale, ma per nasconderlo alla vista e renderlo meno
accessibile.
Ànghelos, quasi fosse un anfitrione che fa
accomodare gli ospiti, appena oltrepassata la porta si girò verso gli altri
due: «Et voilà
– proclamò indicando col braccio la parete sinistra della cappella – vi presento
il retro della tomba di Taddeo.» Il retro è identico alla parte anteriore, come una
vera e propria riproduzione speculare: stesso basamento a rettangoli bianchi
e neri, stessa sovrastante scacchiera centrale con due edicole laterali a cupola
a fasce bianche e nere, stesso archetto superiore a ornamento e copertura del
sarcofago. Anche il sarcofago ripropone due scene affiancate e in concreto
speculari a quelle dell’altro lato con il ritratto scolpito di Taddeo che le
domina. Ànghelos si avvicinò alla tomba passando attraverso
la fila di panche e inginocchiatoi di cui la cappella è piena e indicò col
dito la quinta mattonella dell’ultima fila della scacchiera. «Possiamo provare ad aprirla subito – propose –
tanto qui non ci vede nessuno. Siamo sicuramente al coperto e ben nascosti.» «In effetti – concordò l’avvocato – senza contare
che anche turisticamente questa cappella ha ben poco da offrire… e quindi è
difficile, in effetti, che vi entri qualcuno. Comunque, mentre voi vi date da
fare, io farò da palo.» «Il palo migliore che un ladro può avere!» Si
complimentò con una risata Veronica. «Allora io sarei un ladro?» Intervenne Ànghelos,
avvicinandosi ulteriormente alla tomba e cominciando a tastare nel punto
della scacchiera dove sarebbe dovuto intervenire: la quinta mattonella
dell’ultima riga. «Non lo so – gli rispose di rimando Veronica – ma a
vederti lavorare qualche dubbio viene.» Ànghelos sorrise, ma non ribatté nulla preferendo
concentrarsi sulla sua mattonella. Aveva con sé una piccola borsa, piena degli
attrezzi usuali già usati tante volte per lo stesso scopo e incominciò a
scalfire la malta di congiunzione dei marmi, lentamente e con grande
attenzione. Veronica gli era vicina e ne stava seguendo ansiosa
i movimenti, sperando di poter essergli in un qualche modo d’aiuto, pur non
sapendo come. Rosati era accanto alla porta d’accesso della cappella per
vedere, non visto, se arrivava qualcuno, ma anche lui era più spinto a
guardare Ànghelos e il suo daffare. Nel silenzio assoluto si udiva solo il
lieve gracidare d’uno strumento sul cemento. L’uomo…
… entrò in
San Domenico dal bel portale laterale, e cominciò a camminare a passo spedito
lungo la navata sinistra. Era possibile
che la tomba avesse due facciate uguali? Ci aveva pensato per tutto il
tragitto da casa alla chiesa, poi giunto in piazza San Domenico aveva fatto
spallucce concludendo che era da stupidi continuare a pensarci, giacché da lì
a qualche secondo avrebbe visto com’era fatta quella “benedetta”
tomba (avrebbe potuto dire anche “maledetta” ma glielo impediva un arcaico e doveroso rispetto nei confronti
dell’antico Signore di Bologna e i suoi resti mortali). Per la
seconda volta, fece spallucce e affrettando ancor più il passo, si diresse
verso la Cappella del Santissimo Sacramento, ma prima di entrare, svoltò a destra,
si appoggio alla cancellata della Cappella di San Michele, guardò per
l’ennesima volta la Tomba di Taddeo. «Come sei
fatta dietro?» Sembrò domandarle malignamente con gli occhi. E la tomba
sembrò rispondergli: «Sono fatta
come davanti… Perché? Hai dei dubbi?» L’uomo si
staccò dal cancello, si girò, fece alcuni passi, poi entrò deciso nella porticina
che permetteva l’accesso alla Cappella del Santissimo Sacramento. Rosati si trovò davanti, all’improvviso, una persona
che stava entrando risoluta nella cappella, e lo scontro fra i due non fu
evitabile. «Mi scusi!» Poté solo dire, anche se convinto che
l’urto non era stato causato da lui. L’uomo lo guardò: «Scusi lei…» Poi si girò verso la tomba davanti alla quale
stavano ancora armeggiando Ànghelos e Veronica. Rosati si affrettò a trovare
una scusa per quella strana presenza: «Siamo della sovrintendenza delle belle arti … Siamo
qui per ripristinare un danno alla Tomba di Taddeo Pepoli… Sa, oggi, i
vandalismi!» «State “ripristinando
la tomba”?... – ribatté lo sconosciuto – Davvero? Non sarebbe meglio dire
che state “cercando nella tomba”, avvocato Rosati.» Per la prima volta in vita sua Rosati si trovò senza
parole. Ma ci pensò Veronica: «Scusi, ma Lei chi è?» Non fu lo sconosciuto a rispondere, ma Ànghelos: «È quello che mi ha parlato di notte in Santo
Stefano… Ne ho riconosciuto la voce.» Finalmente anche Rosati si risvegliò dal suo
improvviso intontimento: «È così?» «Non posso negarlo, ero io.» «E allora si presenti… almeno avremo il piacere di
conoscerla.» «Mi chiamo Lorenzo Pepoli.»
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