… È un falso, non può
essere… San Domenico è una basilica che dal punto di vista
artistico è davvero straordinaria. I due capolavori in assoluto ch’essa
racchiude in se, sono certamente la Cappella del Rosario e quella del Santo,
dove fra l’altro ci sono anche tre statue di Michelangelo.
Ma vi è un’altra opera d’arte sicuramente
straordinaria, tanto da essere considerata al tempo della sua realizzazione “L’ottava Meraviglia del Mondo”, sicuramente
eccessiva come identificazione, ma a ben guardare, non tanto, poi. Stiamo
parlando del coro che accompagna, dietro l’altar maggiore, tutto l’abside. È
una maestosa opera che fra Damiano Zambelli realizzò a metà del ‘500, intagliando
e intarsiando finemente i 7 grandi scranni di fondo, i 102 stalli laterali,
articolati su due ordini, e il bancone centrale. Le tarsie - ogni scranno o
stallo ha la sua sullo schienale – oltre che le oggettistiche in uso al
tempo, specie scientifiche, riportano scene sulle vite dei santi e dei
martiri e del Vecchio e Nuovo Testamento. Sono tarsie tutte di legno, tranne
quando nella scena appaiono le armi (lance, spade, elmi, sostanzialmente in
possesso dei “cattivi”) che invece sono d’argento. Tutto il complesso, come
detto, è davvero sorprendente, perché oltre alle tarsie, sono splendidi anche
gli intagli che ornano ogni sua struttura: sedili, braccioli, colonne,
colonnine divisorie, tettoie, poggiapiedi e inginocchiatoi. Fu appunto fra questi scranni che i tre, verso sera,
si raggomitolarono non visti, per attendere così nascosti la chiusura della
chiesa e il calare della notte. L’uomo… … sentì il cellulare
suonare, guardò il display e rispose: «Ciao,
Monsignore, qual buon vento ti ha suggerito di telefonarmi?» «Col caldo
che fa, non può che essere il vento di Scirocco! A parte gli scherzi volevo
dirti che domattina alle nove, io e alcuni tecnici della curia siamo in San
Domenico a verificare quella benedetta tomba. Se ci vuoi essere mi sembra
giusto, se no, fai come ti pare.» L’uomo non
rispose subito all’invito, poi domandò: «Prima
volevo chiederti una cosa: siete soli tu e i tuoi tecnici, o ci sarà anche
l’avvocato Rosati con i suoi amici?» «Che
curioso che sei… Penso di sì, io l’ ho invitato come ho fatto con te, se poi
verrà, solo o con altri, non lo so.» «Grazie
dell’informazione… Va bene, ci sarò, però, da spettatore anonimo, casuale,
come uno che passa di lì, s’incuriosisce e guarda ciò che sta succedendo.
Poi, se trovate qualcosa, verrò io da te, in arcivescovado, per esaminarla
con più attenzione.» «Se ho ben
capito, se domattina ci sei e se ti vedo, non ti saluto.» «Sì,
proprio così, grazie e ciao.» Rosati, non più giovane e decisamente poco atletico,
resistette a stento nella posizione in cui si trovava, stretto nell’angusto
spazio fra gli antichi scranni di legno, pur tuttavia ce la fece e quando udì
i due amici muoversi e Veronica sussurrare “è ora, avvocato”, si stiracchiò
faticosamente, e riuscì a sollevarsi a fatica. Ànghelos infilandosi uno stranissimo paio
d’occhiali, si raccomandò: «So che in chiesa ci sono una cinquantina di
rilevatori elettronici a raggi infrarossi. Con questi occhiali io li vedo,
voi no. Se non li evitiamo, qui succede un finimondo, per cui seguitemi
vicini, in fila e quasi attaccati l’un l’altro. » «Ma chi me l’ha fatto fare di venir qui? – sussurrò
Rosati a bassissima voce, dopo aver sbattuto una coscia sullo spigolo di uno
scranno – Io non ho più l’età per queste avventure!» Gli altri non poterono fare a meno di sorridere.
Finalmente i tre giunsero davanti alla cappella di San
Michele, chiusa da un elegante cancello in ferro battuto nero. Nella penombra
creata dalla poca luce esterna che entrava dalle finestre, si distingueva a
destra e sufficientemente bene la tomba di Taddeo, alta, imponente, squadrata
e con al centro, ad altezza d’uomo, la scacchiera bianca e nera di undici
caselle per lato. «E adesso come facciamo col cancello?» chiese
Rosati. «Lo scavalchiamo.» rispose semplicemente Ànghelos «Ma voi siete matti… ed io come faccio?» «Tu Uberto stai qui, seduto, fuori dalla cappella, e
anzi ci farai da palo. Però non ti devi assolutamente muovere, perché lì dove
sei, sei fuori portata dei raggi infrarossi. Ne hai però due vicinissimi,
quindi…» «… quindi, se svengo dalla paura, avviso tutti i
frati che siamo qui…» «Esattamente.» Veronica e Ànghelos scavalcarono la cancellata
abbastanza agevolmente e si avvicinarono alla tomba, aiutati da una torcia
elettrica. In silenzio l’uomo cominciò a esaminare la mattonella che
interessava e a lavorarci attorno, mentre Veronica lo aiutava sostenendo la
luce e porgendogli gli attrezzi che richiedeva. «La mattonella è liberata. – disse infine Ànghelos a
bassissima voce – ora vedo che c’è sotto… Nulla, non vedo nulla. La zona
sottostante sembra essere un normale mattonato pieno. Qui non dovrebbero
esserci intercapedini o vuoti sottostanti. Sto provando a scavare, ma è duro,
maledettamente duro e non voglio rovinare nulla…» Incuriosito, Rosati si alzò e sempre restando fuori
dal cancello, fece alcuni passi per avvicinarsi ai due, ma così facendo,
interruppe la traiettoria di un raggio infrarosso: un allarme rimbombò fra le
arcate della chiesa. «E adesso?» disse con tono disperato Veronica. «Ormai è fatta… dobbiamo scappare…» Esclamò Ànghelos Fu a questo punto che Rosati, dimostratosi fino a
quel momento spossato, incapace e praticamente inutile, prese in mano la
situazione e con tono tassativo e voce decisa comandò: «No! Uscite subito da lì con tutta la vostra roba e
nascondetevi da qualche parte. Appena tutto sarà finito, riprendete la
ricerca… svelti, fate quello che vi dico… ci vediamo domani. » Ànghelos e Veronica eseguirono immediatamente
l’ordine ricevuto e in un attimo scavalcarono la cancellata per rientrare nel
presbiterio e scomparire fra gli scranni del coro, mentre Rosati cominciò a vagare
per la chiesa incurante del fatto che a ogni cinque o sei metri un rilevatore
lo individuasse facendo scattare gli allarmi in continuazione. Apparve qualche debole luce ed ecco arrivare alcuni
frati, serissimi in volto, quasi minacciosi. «Chi è lei e cosa fa qui?» Gli chiese uno di essi
che pareva fosse il capo. «Ieri pomeriggio verso sera, – rispose rassegnato
Rosati – sono entrato qui per vedere la tomba dei Pepoli, mi sono seduto e, forse
per la stanchezza o per il caldo, mi sono appisolato sul gradino… Vengano,
vengano pure che vi faccio vedere…» Così dicendo, si incamminò versa la cappella di San
Michele e qui giunto, mostrò dove si era addormentato e si mise a parlare in
fretta, come se non volesse dar tempo e spazio ai frati di interromperlo: «Ecco, ero qui… proprio qui . Quando, qualche minuto
fa mi sono svegliato, al buio, e nel silenzio assoluto, non vi nascondo che
mi sono preso anche paura… poi mi sono ricordato dov’ero e mi sono alzato…
Non l’avessi mai fatto! È scoppiato un casino … scusate… un bailamme che non
vi dico. Ho cercato di trovare una via d’uscita dalla chiesa, ma più mi
muovevo e più il casino aumentava.» Prese fiato e guardò i frati che gli sembrarono
ancora poco convinti: «Chi è lei?» «Sono un avvocato mi chiamo Uberto Rosati, ho lo
studio in via Galliera e come vi ho detto, mi sono travato chiuso qui dentro
senza volerlo. Anzi, domani sarò qui con Monsignor Bolognesi per un
sopralluogo alla Tomba Pepoli…» «Monsignor Bolognesi? Si è vero, ci ha annunciato la
sua venuta, sarà qui domattina… anzi stamattina… e lei ha appuntamento con
lui?»
«E come no! Conosco benissimo Monsignor Bolognesi,
il Segretario della Curia; è da qualche tempo che lavoriamo insieme… Le dirò,
padre, che ieri sera sono venuto qua proprio in relazione all’incontro di
stamane che riguarda la Tomba dei Pepoli! Volevo vedere prima di che cosa si
trattasse…» I frati si guardarono l’un
l’altro un po’ più addolciti nel loro atteggiamento. «Facciamo così – disse il frate che aveva fino a
quel momento parlato – Lei resta qui con noi fino a quando non arriva
Monsignor Bolognesi…» «Cos’è, un sequestro di persona?» «No, è un invito a colazione… Ovviamente nel refettorio
e a pane e caffellatte, come si usa da noi.» L’uomo…
… si fermò
davanti al portale della Chiesa appoggiandosi a una delle colonnine bianche che
ne sostenevano la stretta volta. Mancavano pochi minuti alle nove, l’ora in
cui Bolognesi doveva arrivare per esaminare la tomba, e chiudere così quella
caccia al tesoro, essendo la tomba di Taddeo il punto finale d’arrivo. Vedendo
monsignor Bolognesi in compagnia di tre uomini attraversare piazza San
Domenico, si meravigliò che non ci fossero Rosati e i suoi amici; strano! Ma
forse erano un po’ in ritardo, essendo impensabile che mancassero proprio
loro a quell’appuntamento. Era
ora di entrare in chiesa; cominciava l’epilogo di questo storia. Quando Bolognesi giunse davanti alla Cappella di San
Michele, rimase alquanto perplesso, perché assieme ai domenicani che lo
aspettavano davanti alla cancellata aperta, c’era anche Rosati. Non era tanto
la sua presenza a suscitargli questa perplessità, ma il fatto che sembrasse
quasi in confidenza con i frati, perché stavano parlando con loro tutto
sorridente, come se fossero grandi amici o addirittura si stessero
raccontando storielle piccanti. Appena Rosati vide il prelato, vi andò incontro,
cercando di usare la stessa familiarità che aveva dimostrato con i frati: «Caro Monsignore, come sta? Tutto bene?» Bolognesi gli porse la mano e contraccambiò il
saluto: «Avvocato… Sono davvero contento che sia qui. Come
vede quando si rispettano gli accordi, le cose vanno davvero al meglio, non
crede?» «Sì è vero… ma a pensarci bene, poi, mica tanto!
Sapesse, Monsignore, cosa mi è successo stanotte…» Non ci fu tempo per raccontare i recenti
avvenimenti, perché uno degli accompagnatori di Bolognesi, certamente un
perito della Curia che stava già ispezionando la scacchiera della tomba,
aveva emesso un piccolo sibilo di soddisfazione e, girandosi, stava mostrando
agli altri e a Bolognesi, la mattonella nera ch’era riuscito a togliere. «È venuta via facilmente… non ho neppure scalfito il
cemento che la incollava!» Rosati non poté fare a meno di sorridere fra sé e sé
e pensare che se la mattonella si era staccata tanto agevolmente, era perché,
poche ore prima, Ànghelos l’aveva già tolta e, quindi, riposizionata. «Va bene – si complimentò Bolognesi – e cosa c’è
sotto… o dentro… o dietro…?» «Sto verificando – rispose il perito – per il
momento vedo solo cemento molto indurito dal tempo. Provo a scrostarlo, ma mi
sa che sotto ci sia solo muro…» Rosati non poté fare a meno di ripensare alle ultime
parole di Ànghelos, che quella notte aveva fatto la medesima considerazione.
Ma come si sarebbe aperto quel nuovo nascondiglio? Il perito lavorò ancora per una decina di minuti,
chiedendo e scambiando strumenti con i due colleghi che aveva a fianco, poi
si girò nuovamente verso Bolognesi. «Ci siamo: sotto la mattonella che abbiamo tolto c’è
una parete rigida, ma solo in apparenza, perché spingendola, scorre
orizzontalmente verso l’interno, liberando un vano sottostante.» L’uomo… … era in piedi davanti alla cappella e sembrava completamente
disinteressato a ciò che vi stava accadendo e agli uomini che c’erano.
Sembrava guardare il Crocifisso di Giunta Pisano e ne sembrava anche estasiato.
Ma era solo apparenza, perché in realtà, oltre ad osservare di sottocchio le
operazioni che si svolgevano presso la tomba di Taddeo, stava ben attento ad
ascoltare i discorsi degli uomini che le compivano; e quando udì parlare il
perito, e seppe della scoperta, ebbe una lievissima ma intensa reazione di
soddisfazione. Così – lui ne era certo - si era giunti al termine della partita e
poco importava se materialmente non l’aveva vinto in prima persona,
l’importante era che quello che lui sapeva esserci nel vano segreto di quella
tomba giungesse nelle giuste mani, non necessariamente nelle sue. E
l’arcivescovado di Bologna, per l’uomo, andava benissimo Fece alcuni
passi verso l’altare su cui c’era il Crocefisso, come a volerne ancor meglio
ammirarne i particolari, ma in realtà per meglio vedere e ascoltare. Il perito illuminò il vano che si era creato
togliendo la mattonella e spingendo la parete così scoperta: «Sì, c’è qualcosa – disse – ora guardo meglio di
cosa si tratta, poi la estraggo… Ecco…» La mano usci tenendo stretto una pergamena
arrotolata, che egli passò a uno dei suoi collaboratori. Vedendo quell’oggetto Rosati si rabbuiò… tutto
avrebbe pensato, ma non certo che da quel buco potesse saltar fuori un altro
messaggio. La ricerca del tesoro doveva concludersi in questa tomba con il
ritrovamento del tesoro e non certo con un foglio di carta, qualunque cosa vi
potesse essere scritto sopra. «C’è dell’altro, qui…» Si sentì un lieve tintinnio metallico uscire dal
vano, mentre l’ingegnere cercava di raccoglierle ciò che lo provocava. Erano
monete, sette monete d’argento che Rosati conosceva bene; erano Pepolesi. L’ingegnere si alzo, mentre Bolognesi gli si
avvicinava. «Vediamo quella pergamena,» Sotto
l’orlo delle possenti mura Sentendo quell’enigma, Rosati sembrò quasi
imbestialirsi, come chi si trova davanti un evento non tanto sgradito, quanto
inconcepibile, se non addirittura impossibile. E non macò di esprimere questa
sua sensazione: «È un falso, non può essere. In quel maledetto buco
deve esserci qualcosa! Guardate bene!» «Mi spiace, signore – disse il perito – ma non c’è
altro.» «Perché così turbato, avvocato?» Domandò Bolognesi. «Ma non capisce, monsignore, che questo indovinello,
ci manda al primo messaggio, ci manda al marciapiede sotto il muro di Palazzo
Pepoli, dove l’abbiamo trovato due mesi fa! È un circolo vizioso… Le sembra
possibile?» Bolognesi lo guardò con l’espressione di chi non
comprende, pur sapendo che sarebbe stato molto importante comprendere. L’uomo… … aveva
sentito (e chiaramente) i discorsi di quanti stavano nella cappella e quando
udì Bolognesi leggere l’ennesimo indovinello non poté proferir parola, ma
neppure evitare una smorfia d’inatteso, forte disappunto, accompagnato, quasi
a sottolinearne la sofferenza, dalla gelida stretta a pugno delle due mani. «… questo
indovinello ci manda al primo messaggio, ci manda al marciapiede sotto il
muro di Palazzo Pepoli… è un circolo vizioso…» aveva quasi urlato Rosati, e
quell’affermazione lapidaria, definitiva e inequivocabile dimostrava che
l’avocato aveva avuto la stessa incredula reazione che nello stesso momento
aveva provato lui. L’uomo si
girò e si avviò lento verso l’uscita della chiesa con la convinzione che
uscendovi, usciva anche dall’avventura senza aver trovato ciò che aveva
sempre pensato che avrebbe trovato.
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