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… Le porte di Bologna sono dodici …

L’avvocato Uberto Rosati aveva una sessantina d’anni ed era noto come uno dei migliori penalisti del Foro bolognese, tanto da potersi ormai permettere di selezionare chi patrocinare o no e, talvolta, anche di farlo gratuitamente. Se sorrideva appariva quanto mai amabile, come appariva subito scostante se trasformava quel sorriso in una smorfia pensierosa. Erano ovviamente atteggiamenti d’ordine “professionale”, che rendevano il personaggio se non curioso, certamente interessante.

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Casa delle Tuate e il capitello con Giovani II Bentivoglio

Aveva lo studio in via Galliera, una delle più belle e sontuose strade di Bologna, dove non c’è muro, portico o facciata che non si possa classificare come monumento storico. Ne è un esempio la cosiddetta Casa della Tuate che tutto ha fuorché le caratteristiche di una semplice casa, trattandosi un elegante palazzo del primo ‘500; il suo portico, fra l’altro, ha la particolarità di avere alcuni capitelli riciclati dalla “Domus Aurea” dei Bentivoglio che fu completamente distrutta nel 1507; in uno di questi capitelli, quello d’angolo con via San Giorgio, è scolpito il profilo di Giovanni II, che fu signore di Bologna fino a quando le truppe di Papa Giulio II lo spodestarono e lo cacciarono da Bologna.

Rosati aveva il suo sontuoso ufficio proprio al piano nobile di Casa delle Tuate, e in quel momento era solo, chino sulla scrivania, a rileggere per l’ennesima volta il foglio consegnatogli da Veronica e a ripensare all’incredibile storia di come e dove era stato ritrovato, oltretutto da un greco.

Guardò l’ora: le dodici e mezzo; alzò il capo verso la porta del suo ufficio, certo che di lì a pochi istanti avrebbero bussato, cosa che puntualmente avvenne. La porta si aprì e la donna entrò, accompagnata da Ànghelos.

«Avvocato – disse Veronica – le presento Ànghelos Kuotzaidènis. Ànghelos, questo è l’avvocato Uberto Rosati.»

I due si guardarono, fecero entrambi un cenno d’assenso reciproco, si sorrisero formalmente e si strinsero la mano.

Dopo che i tre si furono accomodati, Rosati si rivolse a Ànghelos:

«Signor Kuotzaidènis, lo sa che sono arrabbiato con lei?»

Ànghelos guardò Veronica imbarazzato. L’avvocato spiegò:

«Questa mattina, appena giunta in ufficio, Veronica mi ha raccontato la sua storia e mi ha consegnato questo foglio. Lei, signor Kuotzaidènis non ci crederà, ma oggi avevo due udienze in tribunale e mi sono andate tutte due a buca. E dire che sono un ottimo avvocato e che quelle cause non potevo che vincerle. Mi sono distratto, ecco tutto, e sa di chi è la colpa? Sua, Signor Kuotzaidènis, solo sua… della sua scoperta, di questo suo foglio che lei ha dato a Veronica per mostrarmelo, e dell’appuntamento che avrei avuto con lei…»

Ànghelos non nascose il suo imbarazzo: quell’avvocato stava scherzando o diceva davvero?

«Avvocato – riuscì a dire – non capisco…»

«Capirà… Capirà…, Signor Kuotzaidènis … Però, la devo anche ringraziare e di cuore.»

Nuovo imbarazzo di Ànghelos e nuova pausa dell’avvocato, che poi precisò serioso:

«Vede, signor Kuotzaidènis, la devo ringraziare perché, nonostante le cause perse (e non è un modo di dire!), la mia distrazione è stata ampiamente ricompensata dalla soluzione del messaggio contenuto in questo foglio.»

«Come? – il tono di voce di Ànghelos, oltre che imbarazzato, era ora incredulo – Davvero lei sa cosa significano quei versi?»

La voce dell’avvocato era diventata improvvisamente allegra ed entusiasta

«Sì, ma il punto è un altro: la sua storia, gli oggetti che ha trovato, il mistero che da essi è emerso, tutto, insomma, mi porta a credere a una splendida avventura che io, lei e Veronica dobbiamo intraprendere. Da questo momento noi tre lavoreremo assieme per affrontare e risolvere ciò che il caso o forse, la preveggenza di un Pepoli, ci ebbe ad affidare ben settecento anni fa. Nulla in contrario?

«Detta così, non avrei nulla da ribattere!» rispose Ànghelos sommessamente, ma convinto.

«Ottimo, e lei Veronica?»

«Io sono comunque alle sue dipendenze e quindi non ho problemi.»

«Splendido! Ovviamente, Signor Kuotzaidènis, le rifonderò con una congrua aggiunta quello che lei, col suo lavoro, perderà.»

Ànghelos riuscì a dire solo grazie, perché gli sembrò che Rosati non avrebbe accettato alcuna obiezione.

«Dovere. – rispose al grazie l’avvocato – Io pago per i miei divertimenti e penso che da oggi in poi ci divertiremo e non poco, per merito suo…. Ora però veniamo al foglio e alle monete…»

«Sono Pepolesi.» Interloquì Ànghelos quasi a voler anticipare il dire dell’avvocato e non passare per un semplice ascoltatore.

L’avvocato lo fissò intensamente senza nascondere la delusione per non aver potuto esibirsi con un colpo di scena degno di lui, principe del foro.

«Esatto! Complimenti… Ma lasciamo stare le monete che per ora servono soltanto a documentare la presenza dei Pepoli in questa vicenda, e torniamo all’indovinello.»

Rosati lo lesse ad alta voce:

 

«Porta Giulia là dove scorre
vita, timore e artistica tensione.
Nei pressi del fortissimo torrione
l’occhio attento bisogna porre»

 

Poi  proclamò con sicurezza, quasi con tracotanza:

«Si deve cercare lungo il corso del canale del Savena, all’altezza di Porta Castiglione.»

Rosati fece una studiata pausa per dare più “suspense” alla spiegazione che ne seguì:

«Le porte di Bologna sono dodici, tre a Nord, tre a Est, tre a Sud e Tre a Ovest. Sono dodici come le ore del giorno, le punte della rosa dei venti, i segni zodiacali e gli Apostoli; ma sono dodici anche e soprattutto come i mesi dell’anno. Ho fatto questo disegno per meglio chiarire il concetto, partendo dal presupposto che a Nord ci sono i tre mesi invernali e, ovviamente a sud, a mezzogiorno, quelli estivi.»

Rosati mostrò ai due il foglio che aveva in mano.

Mentre Ànghelos e Veronica guardavano il disegno/mappa, l’avvocato proseguì nella sua spiegazione:

«Porta Giulia, come dice il nome datole dall’indovinello, è la porta di Giulio (ovviamente, Cesare) e quindi del mese di Luglio; insomma, sulla base dello schema che state guardando, si tratta di Porta Castiglione. Veniamo ora a “là dove scorre vita, timore e artistica tensione”. Si tratta ovviamente di un canale e, se ci riferiamo a Porta Castiglione, questo canale è di certo il Savena che anche oggi, dopo aver formato il laghetto dei Giardini Margherita, s’interra, esce dai giardini e passando per Santa Maria della Misericordia, rasenta Porta Castiglione e s’inoltra verso il centro della città.»

«Perché un canale, avvocato?» Domandò timidamente Veronica.

«Perché sono le acque che “scorrono” e che danno alla città la “vita”… parlo ovviamente all’epoca dei Pepoli … Erano le acque, cioè che rendevano possibili le vie di comunicazione, l’igiene pubblica e la difesa delle mura; non solo, ma erano sempre le acque che davano “timore”, paura, come documentano le cronache del passato, in occasione di straripamenti e alluvioni.»

«E “l’artistica tensione”, avvocato che cos’è?»

Sorriso di soddisfazione di Rosati, come se avesse previsto la domanda e sapesse già la risposta da dare, ma non fece a tempo perché fu Ànghelos a parlare:

«Vedi, Veronica, ai tempi dei Pepoli, ma anche dopo fino all’Ottocento, le acque dei canali che attraversavano Bologna, erano l’unica fonte di energia. “Tensione”, quindi col significato di forza, spinta, per i laboratori gli opifici e le fabbriche artigianali (per questo definita “artistica”) che operavano al suo interno.»

Ànghelos si rivolse quindi a Rosati:

«Sì, avvocato, credo proprio che la sua interpretazione, sia correttissima e mi convince. Ma quale Porta Castiglione? Se non sbaglio, ce ne sono due, una dell’XI secolo e una, più a monte, del 1300 e il Savena passa accanto a tutte e due.»

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Le due Porta Castiglione: quella della seconda
Cerchia (a sinistra) e quello della terza.

Rosati si sentì risollevato dalla domanda di Ànghelos, che un attimo prima si era permesso di dare una spiegazione che competeva a lui:

«Vedo che conosce bene Bologna, ancora complimenti! Bella domanda! Me la sono posta anch’io. Ma chi ha scritto l’indovinello è stato chiaro anche in questo caso: si tratta certamente della Porta del Trecento, quella dell’ultima cerchia di mura e per due motivi: primo, perché è citata come “porta”. Se fosse quella di due secoli precedenti, l’avrebbe chiamata o “serraglio” o “torresotto”; secondo, perché la cinta del Mille aveva quantomeno diciotto porte o, meglio, serragli, e in questo caso non avrebbe senso il collegamento con i dodici mesi dell’anno e quindi con luglio.»

Ànghelos assentì convinto e anche Veronica si mostrò persuasa dell’esauriente spiegazione del suo avvocato, al quale rivolse un’altra domanda apparentemente conclusiva:

«E allora, che si fa adesso che sappiamo dove cercare?»

«Allora ci troviamo al bar dei Giardini Margherita domani alle sei e trenta. Vi offro il gelato e vediamo insieme il da farsi.»

«E fino a quell’ora, io cosa faccio?»

«Lei, signor Kuotzaidènis, leggerà…»

Rosati si alzò, si diresse verso la libreria, cercò in una scaffalatura un libro e, trovatolo, lo estrasse, porgendolo a Ànghelos.

«Lo legga… è la storia dei Pepoli come scritta da Tiziano Costa e Antonio Rosati Pepoli. Forse le tornerà utile per avere notizie su ciò che stiamo cercando.»

«Se sapevo così non l’avrei comprato questa mattina. Grazie, l’avevo appena finito di leggere quando mi sono mosso per venire da lei… Molto interessante.»

Rosati lo guardò con occhi sbarrati e altrettanto fece Veronica, ma mentre l’avvocato era decisamente stupefatto, in Veronica prevaleva l’ammirazione… una dolcissima ammirazione.

 

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L’uomo…

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Palazzo Conforti

… era appoggiato a una colonna di Palazzo Conforti che si erge con tutta la sua maestosità di fronte a Casa delle Tuate, dove Rosati aveva lo studio.

Era giunto lì seguendo Ànghelos, che prima si era incontrato sotto la Garisenda con Veronica, poi con lei, era giunto in via Galliera, dov’erano infine entrati nel portone di quella grande casa.

La ragazza aveva aperto con una sua chiave, segno che vi abitava, o che vi lavorava; nella sfilza dei campanelli, i nomi nei cartellini non gli avevano fatto venire in mente nulla; poi, però, l’uomo si era soffermato su quello che indicava “Studio Legale Rosati”, nome evidenziato anche da una lucida  targa d’ottone affissa al muro.

Gli venne in mente che, mentre Ànghelos e la ragazza parlavano al bar, aveva sentito pronunciare nitidamente la parola “avvocato” e quindi, reputò che i due fossero ora lì in quello studio e che, di conseguenza, stessero esaminando il contenuto dell’indovinello per darne la dovuta interpretazione.

Decise quindi che sarebbe potuto andar via e che avrebbe continuato il pedinamento di Ànghelos l’indomani; d'altronde questo era l’unico modo per sapere o meno se vi sarebbe stato uno sviluppo dell’impresa.

 

 

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