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Capitolo 5 Il Sole
Il Dott. Prof. Soverino Legacci, grande maestro dell’ortopedia internazionale, era considerato nell’ambiente chirurgico e dai pazienti che erano stati sotto i suoi ferri, il “Re dell’anca”, perché questa era la sua specializzazione: rimuovere la cosiddetta palla del femore e sostituirla con una protesi artificiale. Il suo campo di battaglia era l’Istituto Rizzoli, un ospedale ortopedico di altissimo livello, ma tanto prestigioso nel mondo quanto poco apprezzato dai bolognesi. Già, “nemo propheta in patria”! Fu inaugurato nel 1892, grazie ai fondi lasciati a Bologna da un famoso ortopedico bolognese, Francesco Rizzoli, con un testamento davvero straordinario nel quale aveva lasciato ben 2 milioni di lire affinché potesse essere realizzato. Nel testamento Rizzoli specificava che con quel lascito intendeva far tornare ai suoi pazienti il denaro da lui guadagnato nell’espletare la sua missione di medico. Va anche detto ch’egli, in vita, era stato ben poco amato dai suoi concittadini i quali, lo ritenevano gretto, altero e scostante…. Poi, però, aperto il testamento, tutti cambiarono immediatamente idea e gli intestarono l’Istituto eretto coi suoi soldi e la strada principale di Bologna. Il chirurgo Soverino Legacci aveva appena finito di operare e mentre si faceva togliere dai suoi assistenti cuffia, mascherina e guanti, stava brontolando irritato: «Quegl’imbecilli di americani! Mi mandano protesi sbagliate e così, invece del chirurgo, mi debbo mettere a fare il fabbro per adattarle.» Mentre si dirigeva al lavabo per lavarsi le mani, si rivolse con grinta ad un assistente: «Tieni da parte il numero di matricola di questa protasi e di’ in amministrazione di non pagarla.» Si aprì il camice verde addosso come volesse respirare meglio e, guardando l’orologio – quasi mezzogiorno – uscì dalla sala operatoria senza smettere di sbuffare. Adesso si meritava i soliti suoi due passi in solitudine.
L’Istituto Ortopedico Rizzoli ora ha un’ampia e moderna struttura ospedaliera costruita tenendo conto della sua specializzazione chirurgica alla quale ricorrono migliaia di persone l’anno provenienti da tutto il mondo. L’edificio è moderno e recente, ma per quasi un secolo ci si dovette adattare agli spazi dell’antico convento di San Michele in Bosco, un complesso monumentale fra i più belli ed armoniosi di Bologna. In pratica, fuori i frati che curavano l’anima e dentro i medici che curano le ossa. La parte moderna e quella conventuale dell’Istituto sono rimaste collegate dall’interno, anche se ormai, quella “antica” ha mantenuto solo una minima parte delle funzioni ospedaliere, destinata com’è a sede di rappresentanza, ad aule per convegni, a zone museali e ad ambulatori di ricevimento per i medici dell’Istituto. Legacci era un tipo abitudinario, e al termine dei propri interventi in sala operatoria, si recava sempre nel vecchio convento dove il suo studio esponeva una bella targhetta identificativa sulla porta. Ma prima, però, passava sempre a piano terra, dove c’è il bar, la tabaccheria e l’edicola, per prendere il caffè e comprarsi sigaretta e giornale. Era ovviamente un susseguirsi di saluti, sorrisi, piccole chiacchiere giornaliere che continuavano fino a quando, passato sotto le volte del primo chiostro a piano terra, cominciava a salire sullo sfarzoso scalone. Da qui cessavano quasi completamente il chiacchierìo della gente ed i rumori dell’operatività ospedaliera. Il Complesso conventuale di San Michele in Bosco è davvero imponente, non tanto per la splendida posizione panoramica da cui domina Bologna e tutta la pianura verso Ferrara, quanto per l’ampiezza e l’ariosità dei numerosi ambienti che lo costituiscono, specie il luminoso refettorio, la ricca e decoratissima biblioteca e, soprattutto, i due chiostri, in uno dei quali, quello detto “Ottagonale”, per la sua forma inusitata, sopravvivono affreschi di Ludovico Carracci, Alessandro Tiarini e Lionello Spada.
Forse, però, lo spazio più suggestivo, anche se sostanzialmente spoglio, è l’ampio, altissimo corridoio, lungo ben 167 metri che unisce ed attraversa praticamente tutto il piano superiore dell’antico convento.
Non c’era quasi mai nessuno, in questo corridoio e a quell’ora, ed il chirurgo ne respirava l’aria silenziosa quasi si volesse rifocillare dopo lo stress della sala operatoria. Non vedeva l’ora di entrare nel suo studio che si apriva proprio lungo il corridoio, accomodarsi sulla sua lisa poltroncina d’ufficio, accendersi finalmente la sigaretta per fumarsela beatamente leggendo il giornale e, fra una pagina e l’altra, mirare dalla finestra il panorama di Bologna, seminascosta dal bosco che dava il nome al Convento. Ma quel giorno non arrivò a sedersi. Era appena entrato nel suo studio e stava richiudendone la porta, quando sentì un colpo fortissimo alla testa ed il brevissimo attimo in cui passava dalla vita alla morte, non gli dette nessuna possibilità di pensare a cosa gli stesse capitando. Cadde al suolo in una pozza di sangue che cominciò a spargersi sulla lucida palladiana del pavimento, né poté accorgersi che un paio di mani strette alle sue caviglie lo trascinavano fuori nel corridoio. Fu ritrovato così, a due passi dal suo studio da un’infermiera che passava di lì per andare anch’essa a fumare. |
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Nel suo studiolo, un vano ricavato da una piccola stanza di casa dove aveva ammassato tutti i libri su mensole a muro che a malapena ne sorreggevano il peso, Stefano era intento con Susanna ad organizzarsi per la relazione sui tarocchi. «Non avrei mai immaginato, papà – stava dicendo Susanna dopo aver aperto il note-book ed averlo acceso – che per scoprire un assassino mi sarei trovata ad investigare assieme a te e su delle carte da gioco. A raccontarlo non ci crederebbe nessuno.» Lui non ribatté nulla alle sue osservazioni, perché la stava guardando perplesso, mentre accendeva il portatile e scuoteva la testa per ribadire la convinzione dell’inutilità di quell’apparecchio. Meglio scrivere all’antica, con foglio e penna, magari stilografica come la sua. «Bene – disse impaziente – visto che sei pronta col tuo aggeggio infernale, che non capirò mai a cosa possa servire, possiamo cominciare.» «Sì, cominciamo. Vedo che hai in mano il mazzo dei tarocchi: andiamo con ordine, oppure li esaminiamo, carta per carta, così come vengono?» «Non importa. L’omicida non sembra stia seguendo un ordine prestabilito; è passato dall’alto dell’“Angelo” al basso dei “Quattro Moretti” e poi al centro con la “Morte”. Credo che stia andando a caso e quindi la prossima carta potrebbe essere una qualsiasi delle altre.» «Dai, che partiamo: tu comincia a dettare, che io scrivo.» Stefano estrasse una carta dal mazzo e la depose sulla scrivania. Ma il cellulare di Susanna cominciò a squillare. «Pronto? Sì, sono il Maresciallo Simoni, mi dica, Appuntato.» La telefonata durò alcuni minuti, ma Susanna praticamente non proferì mai parola, limitandosi ad ascoltare quello che le era detto dall’altra parte e prendendo appunti questa volta non sul computer, ma a penna e sulla carta. Dopo avere assicurato il collega che sarebbe arrivata subito, spense il cellulare e guardò il padre. «C’è il quarto omicidio!» «Dove?» «Su al Rizzoli.» «Dove, al Rizzoli?» «Mi hanno parlato del vecchio convento e di un corridoio poco utilizzato…» «Questo è il “Sole”! Porca la miseria, ieri ho sbagliato tutto.» «Non capisco, che stai dicendo?»
«Ieri ho individuato col tarocco “Sole”, la meridiana di San Petronio, ma m’ero dimenticato che a Bologna, c’è anche un’altra grande meridiana ed è proprio su al Rizzoli, nel lungo corridoio del convento di San Michele in Bosco. Cretino che sono! Questa meridiana è la gemella di quella di San Petronio, uguale praticamente in tutto per tutto, solo che è in scala ridotta, circa la metà. Era ovvio che un morto non poteva essere portato in San Petronio… ma a San Michele in Bosco, e sotto quella meridiana, sì! È possibile…» La voce di Stefano era alterata dallo sconforto, quasi disperata, come mai la figlia l’aveva sentita. Lei sarebbe voluto intervenire, ma lui non smetteva di parlare: «Lo sapevo… lo sapevo ch’era un’idiozia interpretare i tarocchi per individuare dove l’assassino avrebbe colpito! Ed io, come un cretino, mi sono fatto coinvolgere lo stesso. I tarocchi non hanno mai previsto nulla! Non dovevo, non dovevo…» «Tranquillo, papà, – Susanna riuscì ad interrompere il soliloquio del padre cercando di consolarlo – Fra ieri e oggi non sarebbe cambiato niente. Non avremmo comunque fatto a tempo a predisporre un servizio di piantonamento. Anche la meridiana di San Petronio non era sorvegliata stamattina. Quindi, calmati, tu non c’entri con tutto questo… Beh, ora io debbo proprio andare, ci sentiamo più tardi… mi faccio viva io.» Susanna diede un piccolo bacio consolatorio al padre come se volesse ripetergli ancora “tranquillo, papà” e uscì dallo studiolo. Stefano rimase lì in piedi, con i pugni appoggiati sulla scrivania, sopra una risma di fogli bianchi ed una stilografica di fianco. Vicino al note-book di Susanna rimasto acceso, c’era la carta su cui avrebbero cominciato la loro analisi. Era il “Matto”; la trombetta che la figura ha in bocca gli sembrò in quel momento che stesse emettendo un suono molto simile ad una pernacchia. Infine si smosse, scuotendo la testa e portandosi le mani al viso, per sfregarselo, quasi a voler cancellare dal suo pensiero i tarocchi, le meridiane, gli omicidi e tutto il resto. Ma non poté farlo, né, forse, l’avrebbe voluto. Si stava invece convincendo che l’assassino non stava “sfidando il mondo” come aveva detto quel cretino del criminologo, ma stava sfidando proprio lui, Stefano Simoni. Stavano giocando una partita a tarocchi, un gioco in cui alla lunga, vince sempre il più bravo. Ma chi, fra lui e l’assassino, lo era? E chi aveva le carte migliori in mano? E allora si decise: si sedette, posizionò sulla scrivania un foglio bianco, prese in mano la stilografica, fissò con decisione quasi minacciosa il “Matto” e cominciò a scrivere. «Ora parla, maledetto, dimmi chi sei e dove ti posso trovare!» |
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Quando nel tardo pomeriggio Susanna tornò da Stefano, era certa che il padre gli avrebbe chiesto dei dettagli sul nuovo omicidio e, invece, lui si limitò a passarle una serie di fogli ordinatamente scritti a mano e con la stilografica. «Lavoro completato, papà?» «Non del tutto… Mi mancano due carte, “la Luna” e “l’Appeso per i piedi”. Per quanto io abbia pensato e scartabellato, per questi due trionfi non ho trovato alcun riferimento a Bologna. Ma se mi viene in mente qualcosa te lo comunico subito. Comunque è un lavoro che non servirà a niente. Ci vorrebbe un esercito per coprire tutti i luoghi che ho indicato nella lista.» «Questo spetta a noi…» «Fammi un piacere, spegni quel computer che è acceso da stamattina e portatelo via!» Susanna eseguì l’ordine e dopo aver riposto il note-book nell’apposita borsa si sedette, mentre Stefano si accendeva una sigaretta: «Ho sentito il telegiornale – le disse. – Ormai la notizia è passata da quelli locali alle reti nazionali. Vedrai che se ne parlerà a breve anche a “Porta a Porta”. Ma nessun accenno ai Tarocchi. Si ipotizza genericamente un serial killer, ma solo per l’uguale tipologia usata nell’esecuzione degli omicidi.» «Sì, è così, è la linea che la commissione inquirente ha adottato: non divulgare il rapporto fra gli omicidi ed i tarocchi.» Stefano guardò Susanna con occhi quasi compassionevoli: non era più, in quel momento, sua figlia, ma un carabiniere come tutti se l’immaginano. E allora sbottò in malo modo. «Ma bravi! E intanto quello continua ad uccidere. L’assassino sa benissimo che voi siete a conoscenza dei suoi tarocchi. Vi ha inviato anche il mazzo di carte prima di cominciare. A questo punto, forse, solo la divulgazione del meccanismo che ispira i suoi omicidi può creargli delle difficoltà.» «Hai ragione e questa considerazione l’abbiamo fatta anche noi… Ma oggi pomeriggio, mentre vagliavamo i verbali degli omicidi, mi sono accorta di un’altra cosa a cui nessuno di noi aveva pensato. Ed è pazzesca.» «Qui, Susanna, tutto è pazzesco e non a caso fra i trionfi dei tarocchi c’è anche il “Matto”, l’unica carta che non prende le altre e che non è mai presa.» «Sì, papà, ma quello che ho scoperto supera ogni limite d’immaginazione. Siamo davvero fuori della realtà.» «E allora non farmi stare sulle spine, parla e dimmi cosa hai scoperto di nuovo!» Proprio in quel momento, entrò nello studio Laura: «Ho pensato che i miei due investigatori gradissero un buon caffè e così sono venuta a portarvelo e a tenervi compagnia, bevendo il mio con voi. Mamma mia, che fumo che c’è qui! Aspetta che do un po’ d’aria! Tutto bene, Susanna?» «Tutto bene, un po’ affaticata dal lavoro, ma tutto bene, grazie, mamma.» Lasciando socchiusa la finestra, Laura si sedette vicino a Susanna e si mise a rimescolare il suo caffè. «Resti a cena, stasera?» «Penso di sì. Vediamo quanto tempo ci vuole qui.» «Hai del brodo in frigo?» domandò Stefano. «Sì l’ho fatto proprio stamattina.» «E allora perché non vai a fare due passatelli per Susanna? Tirano su e le farebbero bene.» «Sai che è una bella idea!» confermò Laura con entusiasmo. Poi si alzò, raccolse le tazzine sporche del caffé e si avviò alla porta, ma prima di uscire commentò fra l’acido e il sorridente: «Lo so, Stefano, che i passatelli sono una scusa per mandarmi via e lasciarvi lavorare in pace. Non sono così stupida come credi,… l’ho capito, sai!» Mentre usciva, padre e figlia si guardarono con un sorrisino che, però, scomparve subito. «Stavi dicendo che quello che hai scoperto oggi è incredibile, vero?» disse Stefano, riprendendo il discorso interrotto dal caffé. «Sì, mettiti comodo perché alla tua età non si sa mai! Dunque, quattro omicidi di quattro persone diversissime fra loro; scrivi con la tua stilografica nomi e cognomi: Antonio Gelosi, impiegato, trovato morto il 16 giugno, sotto l’Angelo di via San Mamolo; Ivano Morini, operaio, trovato il 21 giugno sotto il voltone del Podestà, cioè al centro dei Quattro Mori; Maurizio Ortelli, commesso, trovato il 26 giugno sotto il Portico della Morte; e infine, Soverino Legacci, il grande chirurgo, ucciso oggi 4 luglio sotto la meridiana di San Michele in Bosco. Hai scritto?» «Sì, sì, ho scritto – proruppe spazientito Stefano. – Sono tutte cose che so già a memoria! Non fare tanti preamboli, vai avanti.» «Non è un preambolo, questo, è la sostanza stessa della scoperta che ho fatto! Noti niente in quei nomi?» «No! Non mi sembra… » «Antonio Gelosi, nota bene: ANtonio GELOsi…l’ANGELO!» «Per la miseria, è vero! IVano MORIni, i 4 MORI…; Maurizio ORTElli, la MORTE… e, infine, SOverino LEgacci, il SOLE! Quello sarà anche un assassino, ma che genio! Per i “4 Mori” ha ricavato il numero usando cifre romane!» «A parte l’ammirazione per un serial killer – chiese Susanna – ti fa venire in mente qualcos’altro questa scoperta?» «Hai ragione, scusa. Sì, è facile, questi omicidi sono stati premeditati da tempo. Già l’individuazione dei luoghi ove far rinvenire i cadaveri rapportandoli ai trionfi dei tarocchi richiede parecchio tempo, Ma individuare anche persone che abbiano i nomi che richiamano anch’essi i tarocchi è un lavoro immane.» «Anche per studiare le vittime – aggiunse Susanna - ci vuole molto tempo: seguirle, conoscerne le abitudini, e verificare il punto più idoneo per ucciderli e attender il giorno e l’ora più opportuni per agire.» Stefano non fece alcun commento, limitandosi ad assentire pensieroso. «Ho anche fatto un’indagine stupidissima. – proseguì Susanna - Ho controllato sull’elenco telefonico i nomi delle vittime, Antonio Gelosi, Ivano Morini, Maurizio Ortelli e Soverino Legacci. I primi due ci sono, gli altri no: Ortelli non ha telefono in casa e il chirurgo ha il suo numero secretato.» «Se fossi stato in te – suggerì Stefano – avrei anche fatto un altro piccolo esperimento: scomporre il nome di un qualsiasi altro trionfo per cercare sull’elenco telefonico qualcosa di corrispondente.» «Fatto anche questo, papà, col “Bègato”, ma non ho trovato nulla. Allora ho usato il termine “Begatto”, alcuni lo chiamano così, verificando “BE” e “GATTO” e ho controllato sotto Gatto, Gattolini, Gattoni. Di “Gatto” ce ne sono una decina ed un solo “Gattoni”, ma nessuno che porti un nome che inizi con “Be”.» «Ma va benissimo! E’ quello che cerchiamo, Susanna.» «Mi prendi in giro, papà?» «Che pazienza, mi ci vuole, con voi dell’Arma!... Pensa se il tuo semplice esperimento fosse proprio il criterio seguito dall’omicida per individuare chi uccidere. Dobbiamo cercare quindici vittime da abbinare alle quindici carte non ancora “giocate” e non c’è nessun nome di persona che si confaccia ad una di esse, nel caso il “Begatto” o “Bègato” che dir si voglia. La carta non è in gioco, viene scartata: ne rimangono quattordici, il cerchio si stringe.» «Giusto, papà, ma chi ti dice che il “Begatto” abbia invece il telefono, e che non ha dato autorizzazione a pubblicare il suo nome sull’elenco?» «Possibilissimo, lo so, ma allora cercate in altri elenchi… che so… l’anagrafe comunale, le liste clienti delle banche o, meglio ancora, i nominativi in possesso delle agenzie pubblicitarie che non ne sgarrano uno, visto la carta inutile che mi trovo ogni giorno in buchetta.» «Stiamo accedendo un po’ ovunque, anche tramite internet.» «Per quel che serve quell’affare! Comunque, se vuoi un suggerimento che possa davvero aiutarti a trovare l’assassino divulga subito alla stampa il collegamento fra tarocchi, omicidi e nomi delle vittime. È la ricerca più facile per conoscere immediatamente le prossime probabili vittime. Tutti quelli che saranno a conoscenza di queste notizie controlleranno subito se il proprio nome si inquadra in quello dei trionfi e chi vi scoprirà una qualsivoglia assonanza, vedrai che ne informerà lui direttamente l’Arma.»
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