Capitolo 27

La fine dell’avventura

 

Dopo il racconto di Roby, Sergio si chiuse in un mutismo pressoché assoluto. Ripensava a tutte le complesse vicende che gli avevano movimentata la vita nelle ultime settimane. Ma soprattutto ripercorreva le storie raccontate dall’amico: tutto giusto, troppo giusto per essere credibile… eppure cominciava davvero a crederci. Per un’oretta stette chiuso in se stesso, poi si decise a salire al piano di sopra dove Roby si era intanto ritirato per dedicarsi alla sua centrale telematica. Non sapeva come riprendere il discorso, poi si decise e quasi come fosse un’imposizione, disse:

«Bisogna vedere cosa c’è dentro quel finestrone. E’ l’unica cosa da fare perché io possa credere a quello che mi ha raccontato.»

«Impossibile – osservò quasi in modo definitivo Roby – Quelle pietre scolpite non possono essere aperte se non divulgando il loro segreto. E questo non può essere fatto, non posso farlo, per non tradire l’ordine di cui sono priore. D’altra parte, e scusami se te lo dico, non ha alcuna importanza se tu ci creda o meno… Comprendo la tua situazione, so che meriteresti di avere questa prova definitiva, so che ne hai passate troppe per giungere a questo punto, mi sei stato indispensabile nelle indagini e negli sviluppi della mia ricerca, senza di te sarei ancora al punto di partenza e, forse, non avrei mai concluso nulla… ma quel finestrone resterà chiuso in eterno.»

«Capisco. Quello che però non capisco e che cosa farai tu, caro il mio Priore dei Frati Gaudenti. Da anni cerchi di svelare il mistero di “Aelia Laelia” per ritrovare il Sacro Graal e, se ho ben capito, per usarlo a fin di bene dove le sue magiche virtù sono essenziali. Ora che l’hai quasi raggiunto e che è a tua portata di mano, ti ritiri così, senza neppure provare a raggiungere il tuo scopo. Mancano due gradini alla cima della torre Asinelli e tu ritorni indietro. Posso anche credere a tutte le storie che mi hai raccontato, ma non potrai mai convincermi che questa soluzione sia giusta. No, so che non rinuncerai a completare la tua opera.»

Roby si prese la testa fra mani, quasi non volesse sentire quello che Sergio gli stava dicendo.

«E’ vero – disse poi assentendo – ma recuperare il Santo Graal era solo una delle due possibilità che m’erano state date. L’altra era assicurarsi che nessuno lo potesse trovare. E questo è accaduto. Fine della storia.»

«Forse per te, ma per me? Hanno cercato due volte di ammazzarmi, forse te lo sei scordato?»

«No, figurati… Dammi tempo fino a domattina. Poi sarai libero di riprendere la tua vita tranquillamente. Devi stare nascosto qui ancora per un giorno.»

«Prima di tutto la mia vita non potrà più essere come prima. Dopo quello che ho passato, o avrò degli incubi o avrò dei rimpianti… e, forse, tutti e due! E poi, io qui, un giorno da solo non ci resto di sicuro.»

«Se non vuoi stare qui, dove vuoi andare?»

«Portami in via Rivareno, dove mi hai raccolto dopo il secondo attentato. Poi fai quello che vuoi. Posso fare una telefonata?»

Roby gli allungò il telefonino schermato, quello che avevano sempre usato per le comunicazioni esterne alla torre. Sergio lo prese in mano e compose un numero.

«Pronto, Marisa?… Sì, sono io… no, sto benissimo, ma ho ancora bisogno di te. Se ti ricordi, mi hai dato le tue chiavi di casa se mai avessi voluto ritornarvi… Ricordi? Bene! Tra poco sarò lì da te. Tu fai come niente, torna come al solito stasera, e mi troverai…. No, non posso dirti nulla per adesso…. D’accordo… Ah, dimenticavo, non sarò infangato!»

Poi, chiudendo la telefonata, si rivolse di nuovo a Roby:

«Ne faccio un’altra.»

«Come vuoi.»

Altro numero ed altro “Pronto?”. Questa volta rispose l’ispettore Mara Lucchini.

«Ciao, Mara, tutto bene?… No, non posso dirti dove sono, ma te lo dirò domani… Come vanno le indagini sugli esecutori del furto della lapide… No, davvero, non so neppure io chi potrebbero essere… Neppure Roby James lo sa o, se lo sa, non me l’ha detto... Si, stai tranquilla, non sono in pericolo… Adesso chiudo… ti ho telefonato per rassicurarti e per dirti che ho voglia di vederti… Anche tu?… Lo speravo proprio. Abbi pazienza fino a domani… Ciao.»

Sergio allungò il telefonino a Roby, ma questo non lo prese.

«Adesso fa una telefonata per me.»

«Per te? E a chi?»

«A Balduzzi.»

«E che c’entra lui in tutta questa storia?»

«Se non ti mandava a fotografare lo stemma dell’Archiginnasio, non ci saremmo conosciuti. Se ci pensi bene è da lì che è cominciato tutto. Chiamalo.»

«Cosa devo dirgli?»

«Digli semplicemente che hai trovato una foto dello stemma di Don Didaco molto più bella delle altre.»

«Ma non è vero! E poi perché?»

«Debbo fare un controllo. Digli che gliela porti oggi pomeriggio alle sei.»

«Io? Ma quella foto non c’è! Cosa gli porto.»

«Tu non gli porti niente, non ci vai neppure. Tu stai da Marisa.»

Il tono di Roby era sì pacato, come se stesse parlando di una cosa di nessuna importanza, ma nello stesso tempo era deciso, risolutivo, come se non ci fosse più nulla d’aggiungere, se non obbedire ed eseguire la telefonata. Sergio stette un attimo in silenzio poi parlò con irritata rassegnazione:

«Come vuoi. Ma sarà l’ultima cosa che farò per te a comando.»

Fece il numero di Balduzzi, e gli disse quello che Roby aveva detto di dire:

«Ciao Marco, sono Sergio… Stai calmo, ho preso qualche giorno di vacanza, poi ti racconto…. Lascia stare Roby James… no, non l’ho visto né sentito. Ti ho telefonato per un’altra cosa: t’interessa la foto dello stemma dello Spagnolo, come lo chiami tu?… Sì, lo so che te le ho già consegnate, ma ho a disposizione quella più bella… Ricordi? Quella che non ho potuto fotografare perché la sala dov’era non era accessibile. Ricordi?… Sì, t’interessa? Bene, te la porto oggi alle sei, d’accordo… Va bene, ci vediamo alla sei, poi ti racconto. Ciao…»

Sergio allungò il cellulare a Roby che alzandosi gli disse quasi in modo definitivo:.

«E’ ora di andare da Marisa.»

Dopo pochi minuti, i due sfrecciavano sulla rombante Ducati fuori dalla torre dei Catalani. Sergio si girò un attimo per guardarla, ed ebbe l’impressione che dentro quell’edificio non avrebbe più messo piede.

Non capì, però, se quella sensazione gli dispiacesse, oppure s’era da considerare come una gradevole liberazione.

ääääää

Erano le sette di sera. In casa di Marisa, Sergio, stravaccato sul divano, annoiato, con un bicchiere di vodka pieno ancora a metà (segno che anche il suo liquore preferito non era in quel momento gradito), accese la televisione. Stavano trasmettendo un telegiornale, ma a lui non interessava su che canale fosse, tanto le notizie erano più o meno le stesse, né gli importava nulla della politica, l’unico aspetto che differenziava le varie reti televisive, almeno dal punto di vista dei commenti.

In quel momento entrò Marisa:

«Ciao, Sergio, ben tornato a casa… si fa per dire.»

Sergio si alzò avvicinandosi a Marisa e baciandola amichevolmente sulle guance.

«Grazie – le disse, mentre lei si toglieva il soprabito – non saprò mai come contraccambiare l’aiuto che mi stai dando. Tornassi indietro a quando avevamo vent’anni, ti farei una corte ossessiva.»

«Tempo perso allora come adesso… Meglio averti come amico, almeno fino ad oggi, che come amante, come non sei stato e non sarai mai..»

Marisa si sedette sul divano guardando fissamente Sergio negli occhi.

«Non è che mi dispiaccia che casa mia sia diventata il ricovero di un cane randagio, ma sarebbe ora che tu mi dicessi che cosa sono tutti questi misteri e perché stai fuggendo da qualcosa o da qualcuno. Hai messo incinta una minorenne?»

«Magari…»

Marisa s’inquietò:

«Allora spiegami. Appari a casa mia in piena notte e tutto infangato e chiedi di nasconderti. Poi leggo sul Carlino che sei caduto, o ti sei buttato o ti hanno buttato nel canale, poi scompari di nuovo dopo essere andato in via Goito dove c’è un “re” che ti aspetta. Intanto, mentre mi sto recando a casa tua mi telefoni per dire di non andarci assolutamente… E come facevi a sapere che ci stavo andando? E ora, dopo qualche giorno, ti rifugi ancora qui, invocandomi di non dir nulla a nessuno. Credo che una spiegazione me la dovresti dare, almeno approssimata.»

Sergio si sedette anche lui sul divano vicino a Marisa e le prese delicatamente un a mano.

«Sono in un ginepraio da cui non uscirò più. Oddio, domani non dovrei più correre pericoli, ma poi l’avventura in cui mi sono trovato senza volerlo mi perseguiterà per tutta la vita. Solo che non posso ancora parlarne a nessuno per noi coinvolgere altri e, soprattutto tu. Posso dirti che non sono caduto nel canale e che non mi hanno buttato. Mi sono buttato per salvarmi e qui ho trovato il nascondiglio più idoneo per sopravvivere.»

Lo sconforto di Sergio rese Marisa improvvisamente silenziosa anche se la sua curiosità crebbe, ma crebbe anche la volontà di non esprimerla e di non pretendere spiegazioni:

«Bene, pazienterò. E’ ora di mangiare, hai fame?»

«No, grazie, Devo aspettare qui fino a domani a mezzogiorno, poi toglierò il disturbo.»

«Sapessi tu!… Domattina allo studio non ho molto da fare. Potrei rimanere per tenerti compagnia fino all’”Ora X”.»

Sul viso di Sergio apparve un sorriso, non liberatorio, ma almeno distensivo:

«Ribadisco, se potessi tornare indietro…»

«Stronzate… Indietro non si torna.»

 

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