Capitolo 23 |
||||||||||||||||||||||
“Ove sono colli e Leoni e Aquile”
|
||||||||||||||||||||||
Nella Torre dei Catalani, a causa di quei “colli”, di quei “leoni” e di quelle “aquile” che non si sapeva cosa fossero in concreto e soprattutto dove fossero, si respirava un’aria fra il nervosismo e lo stress. «Qualche idea, Sergio?» «Ne avevo una che mi era sembrata fantastica. San Giovanni in Monte. È l’unica altura del centro storico di Bologna, quindi un piccolo colle, e in quanto ad aquile ne è piena, fuori e dentro.» «Per forza, l’aquila è l’emblema di S. Giovanni Evangelista!» Precisò Roby.
«Figurati te, se non aggiungevi qualcosa a quello che dicevo io! Avevo pensato anche a quella splendida aquila di Nicolò dell’Arca, posta sul protilo dell’entrata, ma è stato bombardato durante la guerra e poi ricostruito. Se c’era qualcosa, o sarebbe sicuramente andata perduta, oppure la si sarebbe trovata. Alloro mi sono immaginato l’aquila sul leggìo al centro del coro absidale, che mi sembrava anche più adatta, così posizionata in alto… Colle su colle! Ma il leone? Io non ricordo leoni in S. Giovanni in Monte!»
«Per forza! – fu Sergio, ora a spiegare l’affermazione di Roby – Oltre agli Ercolani, non c’era a Bologna famiglia senatoria che non avesse qualcuno che si chiamasse Ercole!» « Figurati te, se non aggiungevi qualcosa a quello che dicevo io! …» Lo scimmiottò Roby. Sergio sorrise: «Se avessi qui il mio computer, potrei ricercare su di esso i tre elementi, e verificare se fossero compresi in uno stesso ambiente. Purtroppo però…» «Il computer è a casa tua e non qui!» Sembrò confermare con rassegnazione Roby, mentre Sergio scuoteva mestamente la testa. Roby si diresse al suo computer, si mise alla tastiera e l’accese. «Dammi la tua e-mail.» Sergio gliela dettò, avvicinando la sua sedia a Roby e mettendosi a guardare cosa stesse combinando col computer. «Sarai protetto da virus e da intromissioni estranee?» «Ho fatto del mio meglio. Oddio, io non c’entro, ma chi mi ha venduto e predisposto il computer mi ha assicurato che c’è tutto.» Da quel momento, come in tanti altri momenti, nella torre calò il silenzio più assoluto e Roby si concentrò con atteggiamento quasi maniacale sulla tastiera, sul mouse e sul monitor del computer. Sembrava proprio che si fosse dimenticato di ogni altra cosa e, soprattutto, della presenza di Sergio, il quale per altro, stava ad ammirare quelle miriadi di lettere e numerini bianchi che scorrevano sul monitor diventato completamente azzurro. Che cosa stava facendo l’americano? Sergio aveva intuito, ma non ci poteva credere. Roby stava cercando di entrare nella memoria del suo computer e carpirne il contenuto. Gli venne in mente la domanda che aveva posto a Roby il giorno prima, “Cosa mi debbo aspettare ancora da te?” e la sua risposta “Questo ed altro! Lo sai, sono il Gran Maestro dei Frati Gaudenti”. Ora lo stava dimostrando: oltre al resto, era anche un pirata telematico. Dovette passare oltre un’ora di quel silenzio assoluto, prima che qualcuno parlasse e fu Sergio, alzandosi: «Vuoi un caffè?» «No, una vodka.» Fu la laconica risposta di Roby. «Vado a prendertela.» Lo stesso, brevissimo dialogo si ripetè un’ora dopo, senza che Roby si muovesse da quella tastiera e pronunciasse una parola in più. Così andarono avanti fino a metà pomeriggio, quando finalmente Roby sollevò le mani dalla tastiera e se le sfregò, non tanto per esprimere la propria soddisfazione, quanto per sgranocchiarsi le dita e, finalmente, riposarle. «E’ tutto tuo, Sergio.» Gli disse alzandosi con una smorfia e, contorcendosi, massaggiandosi i lombi della schiena. «Tuo cosa?» «Il computer. Tutta la tua roba e ora anche qui dentro. Mettiti a cercare.» «Speriamo bene!» «Io intanto vado a preparare qualcosa da mangiare.» «Speriamo bene…» Quando, dopo una mezz’oretta Roby tornò nel laboratorio con un gran vassoio pieno di roba, Sergio era intento a “navigare” all’interno di quelli che erano stati i suoi archivi fotografici, e che ora erano lì, nel computer dell’amico. Quando si accorse della presenza di Roby e che il pranzo era servito, girò la sedia a ruote su cui si era seduto: «Con cosa mi avveleni?» «Panini con tonno, mozzarella e marmellata… Ottimi!» «Non c’è il gelato al ragù?» «Dai, che scherzavo – sorrise Roby – la marmellata non c’è!» «E allora proviamo.» Si misero a mangiare i panini e, stranamente, questa volta a Sergio non parvero niente male, tanto che in pochi attimi ne aveva ingurgitati tre. Anche Roby sembrò soddisfatto della sua arte culinaria e fece altrettanto innaffiando tutto con Coca Cola. Non parlavano. Sergio temeva che Roby gli chiedesse come andasse la sua ricerca; Roby aveva timore di chiederglielo, ma poi il colloquio fu ripreso. Necessariamente.
«Credevo che fosse più facile – si rammaricò Sergio – Ho cercato anche gli stemmi nobiliari dei Bolognesi, e di aquile né ho trovate molte: Cospi, Volta, Graffi, Bianchini, Campeggi, Ghisileri e chissà quanti altri. Sono meno i leoni: Bargellini, Casali, Legnani, ma solo i Malvasia hanno nello stemma l’aquila, il leone, e anche i colli. Forse…» «Fai vedere?» Sergio aprì la cartella “Stemmi delle famiglie bolognesi” e ingrandì quello dei Malvasia; Roby scosse la testa:
«No, sembra un leone, ma è un drago…» «Peccato! E allora non c’entrano neppure i Malvasia… ci avevo sperato! Dobbiamo trovare qualcosa di più tangibile che contenga tutte e tre le cose insieme. Ho provato anche in questa direzione, e su aquile e leoni ho trovato diverse possibilità, anche che li raggruppano, ma per quanto riguarda i colli, praticamente nulla. D’altra parte su questo termine ho solo indicazioni di tipo geografico: il colle della Guardia, di San Michele in Bosco, dell’Osservanza, di Ronzano…» «Bè, continua, io guarderò qualcuno dei miei libri su Bologna. Chissà mai…» Così dicendo Roby si alzò e si avvicinò all’unico armadio del laboratorio che occupava quasi tutta una parete. L’aprì. Erano sei ripiani di circa cinque metri di lunghezza, completamente pieni di libri e, vedendoli, Sergio non potè fare a meno di dimenticarsi della sua ricerca e avvicinarsi per osservarli meglio. Anche lui aveva una raccolta di libri su Bologna, ma era davvero una miseria confronto a quella e non potè non esternare all’amico la propria sorpresa: «Fantastico! E sono tutti tuoi?» «No, sono dell’Ordine dei Gaudenti. A parte quelli recenti, ve ne sono circa duecento veramente preziosi, dal XIII Secolo a tutto il Settecento.» «Senti, chiudi quell’armadio, se no io non lavoro più. Promettimi che se tutto finisce bene, mi lasci qui dentro da solo per almeno una settimana. Voglio sfogarmi la vista.» «Promesso. Ne prendo alcuni e poi lo chiudo… così non ti distrai!»
Ora i due si stavano dando le spalle: Sergio era tornato al computer e Roby consultava su di un’altra scrivania i libri che aveva scelto. Il silenzio che aveva immerso il locale dalla mattina fino al momento di mangiare, ritornò assoluto. I due sembravano quasi in gara, per vedere, ciascuno secondo i propri mezzi di ricerca, chi avesse rinvenuto prima quell’insieme di “Colli, Aquile e Leoni” che “Aelia Laelia” aveva ordinato loro di trovare. Era notte inoltrata, quando Sergio, quasi con timidezza, come se fosse impaurito di ciò che aveva visualizzato sul computer, chiamò sommessamente Roby: Roby si avvicinò, guardò il monitor e confermò: «Sì, sono loro! Tutto quadra: emblemi, epoca, tipologia del manufatto e, soprattutto, possibilità di nascondervi qualcosa.» L’immagine era quella del grande finestrone che si affaccia dal Palazzo Comunale su piazza Nettuno, una specie di “trionfo” scenografico in macigno, realizzato nel ‘500, dall’architetto perugino Galeazzo Alessi. Due colonne ed un timpano di linea classicheggiante sostenevano, ad una decina di metri d’altezza, un balcone con balaustra in arenaria, corrosa dal tempo e, a sua volta, sovrastato da una della grandi e preziose bifore disegnate dal Fioravanti a meta del Quattrocento. Né Sergio né Roby, però, guardavano quell’imponente parte dell’opera, ma avevano fissi gli occhi al grande ornato che si sviluppava sotto le colonne e che divideva la finestra dal suo basamento di macigno scarno e disadorno. Si distinguevano benissimo i due leoni ruggenti al lati come sostegno ed ornamento alle colonne e, accanto, verso l’interno, le due splendide aquile in cotto che entrambi sapevano benissimo essere opere l’una di Michelangelo e l’altra di Nicolò dell’Arca. Infine, proprio al centro del basamento, i tre colli stilizzati, scolpiti nella forma usata abitudinariamente dall’araldica per sintetizzare i monti. Se prima c’era fra i due solo silenzio, ora era calato un mutismo assoluto, ma si respirava anche un’ atmosfera mista di sorpresa, soddisfazione e sfinimento. Tutti e due continuavano a guardare quei tre colli, quelle due aquile e quei due leoni, ed entrambi stavano ponendosi la medesima domanda, consapevoli che non esisteva alcuna risposta possibile. Rimasero lì muti e assorti perchè nessuno aveva il coraggio di esporsi per primo sul nuovo dilemma che inesorabilmente “Aelia Lelia” poneva loro. Fu Sergio il primo a parlare: «E allora?» Erano due brevissime parole ed un punto interrogativo che assumevano in sé due sentimenti contrastanti ed opposti: la soddisfazione per aver individuato la risposta giusta ad un enigma complesso, e la consapevolezza di essersi arenati in un nuovo ed altrettanto complesso dilemma. Roby sembrò non voler rispondere. «E allora?» Ripeté Sergio. La voce di Roby era sconsolata e sottolineata da un breve scuotimento della testa. «Allora c’è un problema: come tirar fuori da lì ciò che c’è nascosto.» Si alzò, riguardò da in piedi l’immagine e si allontanò da Sergio sussurrando: |
||||||||||||||||||||||
|
||||||||||||||||||||||
|