Capitolo 24

Un nuovo enigma

 

I due si sedettero affiancati alla scrivania con la loro copia in mano e così passarono alcuni minuti in silenzio, ciascuno con gli occhi fissi sul proprio foglio per vedere come affrontare la traduzione di quello strano crittogramma fatto di lettere e barrette.

Fu Sergio ha interrompere il silenzio:

«Non mi viene in mente nulla.» Disse sconsolato a Roby, che attese un attimo prima di esprimere il suo parere:

«Mi sembra – disse – che sia un gioco d’incastro. Se inseriamo al posto delle barrette le lettere giuste, vedrai che qualche cosa salterà fuori.»

«Dici poco… Proviamo con la prima riga.»

///TU//OVA//D/AE/END/LA//A//VE/EN/O//SCE

«Diamo un senso a quello che abbiamo. – disse Roby – Tre barrette poi “TU” poi ancora due barre. Si potrebbe formare la parola “venTUra”, ma anche “culTUra”, “fatTUra”, “catTUra” “misTUra” e chissà quante altre combinazioni.»

«Esatto e ci sta anche “fotTUti”, parola che starebbe molto bene in bocca a “Aelia Laelia”, per farci sapere che ci ha bellamente fregati un’altra volta e ancor prima di cominciare.»

Roby sorrise ma non accolse l’invito a rendere meno attento il lavoro, così Sergio continuò:

«Due sole lettere, le prime che abbiamo, e già siamo ad almeno una decina di possibilità d’inserimento per ottenere parole compiute. Se questo è l’inizio, figuriamoci dopo, quando ad ogni termine individuato se ne collegano altrettanti e così via! Siamo in proiezione geometrica, una catena di Sant’Antonio da cui non usciremo mai… O sbaglio?»

«No, fai bene a rilevarlo, ma solo se hai un’alternativa valida che ci semplifichi le cose.»

«Non ce l’ho e quindi starò zitto e proverò anch’io a dare qualche soluzione migliore di “Fottuti”… anche se questa parola mi sembra appropriatissima! Sarà bene prendere dei fogli e scrivere quello che ci inventeremo per confrontare ogni possibile soluzione.»

Roby assentì e prese una risma di carta e delle penne da un cassetto laterale. I due si misero silenziosi a meditare su quella prima riga dell’enigmatico messaggio, scrivendo le risultanze possibili. Passò più di un quarto d’ora, prima che Sergio, osservasse:

«Su quel “///TU//” iniziale, ho trovato due alternative che mi sembrano interessanti: “virTÙ//” e “se sTUdi”. Cosa ti sembrano?»

«Sì, possibili entrambe e, anzi, molto più coerenti all’antica tipologia del messaggio. Io, invece, non ho trovato nulla di particolare interesse e ho tralasciato l’inizio per passare al successivo “OVA//D/AE/”, ma mi sono del tutto arenato.»

Nell’arco dell’ora successiva, il cestino si riempì di carte stracciate, tutte piene di righe scritte corrette o cancellate, segno dei numerosi tentativi fatti per risolvere l’enigma. Ma quella prima riga,

///TU//OVA//D/AE/END/LA//A/VE/EN/O//SCE

rimaneva irrisolvibile, e se i due si fossero trovati in un labirinto di specchi che nel moltiplicare le profondità dei corridoi e le possibilità di falsi passaggi, allontanava sempre più l’unica uscita esistente. Sergio continuava nei suoi tentativi d’inserimento di lettere fra quelle già scritte sull’enigmatico messaggio e trovava numerosi termini che autonomamente potevano avere anche un senso, ma che insieme nulla dicevano ed anzi, complicavano ancor più qualsivoglia soluzione. Gli era anche venuto fuori una frase se non altro “possibile”:

lo sTUdiO VAno DiA E tENDa L’AlmA OVE sENsO diSCEnde…
lo studio vano dia e tenda l’alma ove senso discende

Nel leggere la frase a Roby, Sergio commentò:

«Ma non ha alcun significato, a meno che nel prosieguo degli inserimenti, non si trovino lettere e parole che ne specificano il significato… Ma è praticamente impossibile.»

Anche quello scritto fu quindi cancellato, prima con un segno di penna, poi accartocciando il foglio e gettandolo via.

Fu a quel punto che anche Roby decise di arrendersi, gettando anch’egli alcuni fogli accartocciati nel cestino ed alzandosi.


Lapide di Aelia Laelia
Tratto da “Aelia Laelia” a cura di Nicola Muschitello
Il Mulino  Bologna 2000

«È un’impresa impossibile, Sergio, meglio lascia stare. Perdiamo tempo e non ricaviamo un ragno dal buco. Se ne vogliamo venir fuori, dobbiamo cercare la “chiave”, il meccanismo nascosto che ci permetterà di risolverà l’enigma.»

«Come la “T” della lapide di “Aelia Laelia”, che era sì una lettera, ma anche una leva per aprire il cassetto segreto.»

«Esattamente.»

«Insomma, torniamo sempre a quella puttana!… Scusa se uso continuamente questo termine, ma mi sembra molto adatto.»

«Figurati… »

«E allora riprendiamo in mano il testo della lapide e riesaminiamola, chissà che non vi sia un’altra chiavetta nascosta.»

Roby estrasse da un cassetto un foglio e andò a fotocopiarlo. Era una foto di “Aelia Laelia” in bianco e nero. La ingrandì e ne fece due copie dandone una a Sergio:

«Allora lavoriamoci sopra. – gli disse - Non è l’originale, ma credo che ci serva solo lo scritto così com’è e non meccanismi speciali atti ad aprire nuovi cassetti.»

Se prima i due avevano in mano foglio e penna, ora aveva la fotocopia della lapide affiancata a quella del messaggio dello scrigno, e le stavano scrutando e confrontando. Ma l’atmosfere non era cambiata. Stavano entrambi uno accanto all’altro senza proferir parola. Sergio sembrava più agitato, non stava mai fermo, come se cercasse la posizione giusta per meglio riflettere su di un’arida ricerca che non stava portando alcun risultato. Roby invece era immobile, concentratissimo, non muoveva neppure un muscolo: gli occhi erano fissi sui due documenti ed anche le mani che li tenevano sollevati, non avevano alcun fremito, alcun cenno di tensione, sia essa emotiva o liberatoria.

Ad un certo punto, era forse passata un’ora, Sergio si alzò e lascio cadere le sue due fotocopie che planarono sulla scrivania, inutili come foglie morte su di un viale d’autunno.

«Niente da fare, mi dichiaro impotente. Aelia, per me ha vinto!»

«No – dichiarò Roby – ha perso!»

«Come sarebbe dire “ha perso”?.»

«Ho trovato la chiave per tradurre il messaggio dello scrigno.»

Roby spiegò all’allibito amico com’era giunto a scoprire la chiave:

«La prima intuizione è quasi sempre quella valida e tu l’hai avuta appena scrutato il messaggio, quando hai detto che quel “///TU” iniziale poteva trasformarsi in “vir”. Avevi fatto centro subito. Non solo, ma in quella parola hai indicato, senza volerlo, ma con grande preveggenza, il criterio per tradurre l’intero messaggio.»

«Stringi, stringi…»

«Le tre barrette, quindi, stanno per “VIR” e VIR è la prima parola incisa nella lapide, se si escludono il “D.M.” iniziale e la “AELIA LAELIA CRISPIS” della prima riga. Ho immaginato di eliminare dalla lapide i nomi personali, i verbi, le congiunzioni e le preposizioni. Insomma le lettere da inserire al posto delle barre sono i sostantivi contenuti nella lapide, ovvero:

VIR, MULIER, ANDROGYNA,

PUELLA, IUVENIS, ANUS,

CASTA, MERETRIX, PUDICA,

FAME, FERRO, VENENO,

COELO, AQUIS, TERRIS,

MARITUS, AMATOR, MARITUS,

AMATOR, NECESSARIUS,

MOERENS, GAUDENS, FLENS,

MOLEM, PYRAMIDEM, SEPULCHRUM »

Ho quindi provato a inserire i prime tre sostantivi della lapide (VIR, MULIER, ANDROGYNA) sulla prima riga del messaggio, così l’incomprensibile

///TU//OVA//D/A E/END/LA//A//VE/EN/O//SCE

si è trasformato in

VIRTÙ MUOVA L’IDEA E RENDA L’ANDAR OVE GENYO NASCE. »

«Incredibile!»

«Andiamo avanti insieme. Prendi foglio e matita e diamo una bella sberla ad “Aelia Laelia”, che Dio l’abbia in gloria, anche se puttana!»

Sergio obbedì immediatamente ed insieme a Roby cominciò ad inserire le lettere al posto delle barrette. Aelia finalmente parlava e, finalmente chiariva il suo misterioso enigma, e lui ne era partecipe:

VIRTÙ MUOVA L’IDEA E RENDA L’ANDAR OVE GENYO NASCE.

PUR NELLA GIUSTA VENUTA I SANTI OFFUSCANO STRADE AMPIE.

ARRETRA DI XV IL PIÙ DIR SI CELA.

FA MENTE E AFFERRA OVE INTERI SONO COLLI E LEONI E AQUILE.

STERRA IL SEME SACRO DI TUTTO

SIA MISURA D’ARTO TIRANDONE ONCE SESSANTA

PER GIUSTA DIMORA.

SE RENDI SAGGIA, CRUDA TENSION E

FLETTI ANSIE D’AMOR AGLI EMPY, RIANIMI L’IDEA DI ME SE PULSA.

CRISTO UOMO

Non era un epitaffio, non era un indovinello, non era una cosa astrusa fine a se stessa, non era lo scherzo di un retore del XVI secolo per meravigliare. No! Era il modo usato chissà da chi per comunicare, a nome dello stesso Cristo, qualche cosa ai posteri, era come la serratura di un forziere che chiedeva di essere aperta e che, oltretutto, offriva immodestamente la chiave.

«Mi sembra che abbia un senso. – Concluse Sergio, lasciando la matita e alzando con tutte due le mani il foglio dal tavolo - Anche lo stile, per quanto ne sappia io, può essere coerente col Cinquecento. Sembra anche a te?»

«Decisamente! È ampolloso, retorico e magniloquente come si addice ai retori del ‘500, anche se i periodi sono molto brevi, di solo quattro o cinque battute. Allora ci si esprimeva in forma e stile ben più elaborati e sintatticamente più complessi, ma è un particolare di poco conto. L’interessante è il simbolismo usato sia nelle parti etiche, che in quelle ben più importanti, che indicano dove, come e cosa cercare. »

«Scusa ma non ho capito nulla di quello che mi hai detto. Mi sembri anche tu un signore del Cinquecento… Ma, già, tu lo sei, caro il mio Cavaliere Robertos Jago de don Didaco de Leon Garavita y de La Vuelta… ho detto bene?»

Era un’ironia per nascondere la grande soddisfazione del momento, e proprio per questo Roby l’apprezzò moltissimo, aprendosi finalmente ad una risata liberatoria.

«Senta un po’ – disse – Nobil Homo, eccelso messer Sergio Silvani, duca del terzo millennio, uso a computer ed alla ragion pura, alto prodotto dell’era dei lumi, vorrà lei meco libare con calici ricolmi di ambrosia divina, laonde si possa in modo acconcio celebrare codesto momento d’aulica gaiezza?»

«Non posso che assentire a cotal proposito, illustrissimo don Didaco, ma per il resto… va fa’ un culo!»

I due scesero al piano di sotto e Roby fece apparire un bottiglia di Berlucchi e due calici di cristallo che ben presto spumeggiarono di “ambrosia divina”.

«Finalmente qualcosa di buono, in questa torre medioevale! – proclamò Sergio alzando il suo bicchiere – Brindo a “Aelia Laelia” che è tornata ad essere dama gentile e di buoni costumi.»

«Ed io brindo al mio amico bolognese, senza il quale non sarei qui a brindare.»

I due fecero tintinnare festosamente i bicchieri e bevvero lo spumante quasi traccanandolo, e se ne versarono di nuovo fino a scolare completamente la bottiglia. Poi si sedettero quasi esausti, come fossero due facchini dopo aver scaricato un autocarro di elettrodomestici. Ma erano felici di aver fatto tanta fatica.

«Ora però mi dici cosa significa quel messaggio… Sono curiosissimo!» disse Sergio stravaccato sulla sedia e con gli occhi chiusi verso il soffitto, come in attesa di una rivelazione divina.

«Non lo so!» Fu la risposta secca di Roby.

Sergio raddrizzò la schiena e spalancò gli occhi verso di lui. Non credeva a quel “non lo so” ch’era risuonato nel silenzio della torre come se ne fosse improvvisamente crollata la sommità.

«Come sarebbe a dire “non lo so”?» La voce di Sergio era ora nello stesso tempo irritata ed indignata.

«Vuol dire quello che ho detto. Non lo so! Cioè, so che indica qualche cosa di nascosto da qualche parte. Cosa sia, posso solo immaginarlo, ma dove sia, proprio non lo so.»

«Ma tu che cavolo sei venuto a fare in Italia? Me lo sai dire?»

«A trovare qualche cosa che debbo ancora sapere dove sia. So solo che è a Bologna e che sta sotto “ove sono colli e leoni e aquile, come mi ha detto or ora l’amata “Aelia Laelia”. »

«Sì, i colli sono dietro ai Giardini Margherita, dove una volta c’erano i leoni e, forse, qualche aquilotto vola ancora fra gli alberi… Ma fammi un piacere.»

  
Il laghetto dei Giardini Margherita e i resti dell’antica gabbia dove erano i leoni

Roby sorrise pur trasformando il sarcasmo di Sergio in una cosa seria.

«Proprio così! Vedo che hai capito. Dobbiamo trovare un qualche cosa dove ci siano dei colli, dei leoni e delle aquile e scavarci sotto (“sterra”), per trovare “il seme sacro di tutto“.»

«Insomma la caccia non è finita, si ricomincia. La lapide non è stata sconfitta definitivamente.»

«No, la lapide non è mai stata sconfitta, né lo sarà mai. Ha solo portato a termine il suo compito e perciò essa ha vinto. Ha trasferito il suo segreto a chi doveva trasferirlo, cioè all’Ordine dei Frati Gaudenti, quello stesso che secoli e secoli fa l’aveva a tal fine creata.»

«E qual è questo “segreto”? »

«Permettimi di svelartelo quando avrò la conferma che quel che penso è giusto. Accontentati di quello che ora sai che non è poco, anzi è molto di più di quello che un non componente dell’Ordine può sapere. Pensa al messaggio che abbiamo tradotto e unisci “ARRETRA DI XV“ a “IL SEME SACRO DI TUTTO”, dovresti se non capire, certamente pensare che si tratta di qualcosa di fondamentale per l’umanità.»

«”Arretra di XV”, forse sono secoli. Il Messaggio è del 1500 e quindi per sapere a cosa si riferisce, occorre risalire all’anno “0”, all’epoca di Cristo… e se ciò è vero, “il Seme sacro di tutto” è Cristo stesso. Mi sbaglio?»

«Ci sei quasi… Non è proprio così del tutto, ma la sostanza è quella. Ora però basta. Il problema non è il “cos’è”, ma il “dov’è”.»

Sergio guardò l’ora. Era già l’una e chiuso in quella torre gli sembrava non di essere un ospite protetto e utile a chi l’ospitava, ma un vero e proprio prigioniero, ingabbiato non per espiare, ma per impedirgli di divulgare ciò che sapeva. Era, in fondo, ritornato in pieno medioevo, sia per l’ambiente (l’antica Torre dei Catalani), sia per chi gli stava vicino (nientemeno che il Gran Maestro d’un Ordine del XIII secolo), sia, infine, per le vicende che aveva affrontato e che non erano ancora concluse (enigmi, attentati, complotti, scritti misteriosi). Da lì non sarebbe uscito se non per trovare il posto segreto indicato dalla lapide e questo fatto lo intrigava al punto da fargli preferire quella coinvolgente prigionia all’inconcludente libertà.

«Mangiamo qualcosa?» gli chiese Roby.

«D’accordo, proverò, ma non ti assicuro che quello scatolame di cui ti sei fornito mi potrà soddisfare. E poi, sto anche finendo le sigarette.»

Roby si alzò e aprì un cassetto del tavolo.

«Tieni – gli disse ponendo sul tavolo una stecca di MS – fumatene una, mentre io preparo qualcosa da mangiare.»

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