Capitolo 23 |
|||||||
Il Misterioso messaggio di Aelia Laelia
|
|||||||
Roby iniziò il suo nuovo racconto:
«Se ricordi, dei Frati Gaudenti ne abbiamo già parlato: Loderingo degli Andalò, Catalano dei Malavolti, Papa Urbano IV, i Dalla Volta, Papa Clemente VII, la tenuta di Casaralta… Quattro secoli di esistenza, poi cala il sipario su questo Ordine, ma esso non scompare affatto. Ha un compito da svolgere che non ha fine, se non alla fine del mondo…» «Vale a dire?» Roby non dette peso alla curiosità di Sergio.
«L’ultimo dei Priori conosciuti è Camillo Della Volta, che viene decapitato nel 1589 per tradimento, avendo complottato con lo scomunicato ugonotto Enrico di Navarra. In realtà non fece alcun atto di tradimento, voleva soltanto riunificare la Chiesa di Roma con quello che da lì a poco sarebbe diventato Enrico IV re di Francia. Cosa che poi fece lo stesso Papato, proprio a cominciare da quel Sisto V che aveva scomunicato gli Ugonotti e sotto il cui regno era stato giustiziato Camillo.» «Dobbiamo stare qui tutta la notte – lo interruppe Sergio – oppure vuoi venire al dunque. Chi sei e cosa stai facendo qui?» Nuovo disinteresse di Roby per l’interruzione di Sergio. «Prima di morire, però, Camillo ebbe il buon senso di nominare Gran Maestro dell’Ordine un suo parente, Francesco Alessandro, che non a caso era Cavaliere di Malta e Priore d’Inghilterra. Lo fece in gran segreto, per evitare che anche lui venisse in un modo o l’altro ucciso, come i suoi antenati Alessandro e Achille e come da lì a poco, sarebbe successo anche a lui. Francesco Alessandro capì subito che il Priorato di Casaralta non poteva più sussistere: troppo interferenze da parte della Chiesa, scollegamenti con gli altri Ordini “fratelli”, forte calo della risorse economiche, diminuzione degli adepti… insomma occorreva portare altrove e molto lontano i Frati Gaudenti… e così la carica di Gran Maestro ed il nome dei Della Volta furono ceduti a… Don Didaco di Leon Garavita, per essere trasferito nel Nuovo Mondo.» «Il peruviano dell’Archiginnasio? No, è incredibile!» «Posso documentarlo con tutti gli atti dal 1506 ad oggi. Ne ho il completo possesso! Te l’ho detto che l’attuale Gran Maestro sono io.» Sergio si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza, scotendo in modo quasi forsennato la testa e gridando ad alta voce l’inattendibilità del racconto di Roby: «Impossibile, impossibile, impossibile…» «Qui e negli Stati Uniti, io mi chiamo Roby James, ma il mio nome originale è Roberto Jago Don Didaco de Leon Garavita y de la Vuelta.» «Impossibile, impossibile, impossibile…» «Sono peruviano, ma sono andato negli Usa per approfondire i miei studi umanistici, prima di partire per venire qui. A Bologna Francesco Alessandro Della Volta, volle però conservare l’elemento fondamentale per l’esistenza dell’Ordine e per realizzare lo scopo principale per il quale esso fu istituito: portare pace là dove la pace non c’è.» «E questo elemento fondamentale è “Aelia Laelia”?» «In un certo senso, ma non la lapide in sé. La lapide ed il suo contenuto esterno e interno… Ma questo lo vedremo domani quando esamineremo cosa c’è in quello scrigno… T’ho detto chi sono e cosa faccio qui. Per questa sera accontentati e, soprattutto, credici. Adesso andiamo a dormire, la giornata non è stata leggera, soprattutto per te, e domani ci aspettano nuove fatiche.» «Un momento – lo interruppe Sergio – non mi hai detto chi sono “i cattivi!”» «Qui le cose si complicano alquanto. Ti ho parlato di un’organizzazione, ma non so chi sia qui a Bologna a dirigerla. Ho solo una idea, ma è da verificare. Ti posso solo dire che l’intento è quello d’impedire ai Frati Gaudenti di compiere il loro dovere. Sappi, però, che se il mistero sarà svelato e resterà in possesso dell’Ordine, la sua soluzione porterà immensi benefici alle miserie delle popolazioni del Sudamerica; se sono gli altri ad impossessarsene, lo sfruttamento in atto nei loro confronti continuerà e, anzi, sarà ancora più intenso.» «Non mi basta, voglio saperne di più.» «Va bene, ti accontento! I cattivi sono delle multinazionali… Per il momento basta!» Roby si alzò e mostrò il letto posto nel sottoscala: «Tu dormirai qui. Se vuoi cambiare lenzuoli, ce ne sono in quell’armadio. Io andrò all’ultimo piano. Hai preferenza per la sveglia?» «Prima che puoi … Difficile che io stanotte riesca a dormire.»
ââââââ
Erano le 9,30 del giorno dopo e, fatta colazione, Sergio e Roby erano saliti nel laboratorio del secondo piano. Roby, aveva in mano il piccolo scrigno d’argento ancora ben chiuso e lo stava osservando da vicino con una lente. Accanto, Sergio lo stava seguendo attentissimo ad ogni suo movimento. «Questo cos’è?» chiese Sergio indicando un piccolo scudo ovale in argento smaltato al centro del coperchio «Il marchio/sigillo del Priore dell’Ordine.» Chiarì Roby, intento a scrutare la situazione dei cardini dello scrigno che erano incrostati dal tempo, come anche il piccolo catenaccio d’argento che lo chiudeva. Non c’era lucchetto, né serratura. In un’altra situazione sarebbe bastato forzarlo un po’ per aprirlo, ma evidentemente la cautela suggeriva a Roby di operare altrimenti. Si avvicinò, infatti, ad un contenitore di vetro grande come un acquario appoggiato sul piano lavoro del laboratorio e, sollevatone la chiusura superiore, anch’essa di vetro, vi depositò il cofanetto. Richiuse e girò una manopola laterale. «Svuoto d’aria il contenitore, così potrò aprire in sicurezza il nostro piccolo scrigno.» Introdusse le mani in due fori laterali a cui erano agganciati due guanti di gomma, tramite i quali poteva lavorare all’interno del contenitore di vetro, senza intaccare il vuoto d’aria e fece leva sul catenaccio che chiudeva il cofanetto. Non vi furono resistenze ed il piccolo coperchio fu sollevato. All’interno, foderato di stoffa blu, c’era un rotolo che parve a Sergio di pergamena, ma che poteva essere anche carta. Lo chiudeva un nastrino anch’esso blu, sigillato da una colata rossa di ceralacca su cui era impresso il marchio del Priore. Da una cassettina porta-attrezzi che si trovava dentro al contenitore di vetro, Roby estrasse un paio di forbicine e tagliò un angolo del rotolo, stando ben attento di non intaccare eventuali scritte sottostanti. Raccolto con un paio di pinze il triangolino di documento che aveva tagliato, lo depositò con molta attenzione in un piccolo vano rettangolare che si apriva sul piano interno dell’”acquario”. «Ho messo il lembo di carta dentro un cassetto estraibile dall’esterno. Una volta fuori potremo verificare di che materia è e se subirà danni dagli esami che farò.» Girò quindi una levetta per chiudere ermeticamente il vano, poi sfilò le mani dai guanti e aprì dall’esterno un piccolo cassetto dov’era depositato l’angolo di documento. Lo raccolse con un’altra pinzetta, mostrandolo a Sergio.
«Sembra carta bambagina ed ora sappiamo che all’aria non si deteriora. Ora proviamo a vedere la sua resistenza alla luce e al calore.» Depositò il pezzettino di carta nella fotocopiatrice e premette il tasto di funzionamento. Il foglio bianco che ne uscì riportava l’immagine dell’angolo fotocopiato. Ma non era questo che interessava a Roby, il quale, ripreso con le pinzette l’originale, fece notare all’amico come anche la luce ed il calore emanato dalla macchina non ne aveva deteriorato la consistenza. «Ci manca la verifica dello scritto. Dovrò procedere nel vuoto d’aria all’interno del contenitore.» Dopo aver posto accuratamente il pezzettino di carta su di un vetrino, Roby inserì nuovamente le mani nei due guanti ed estrasse dallo scrigno il foglio arrotolato e con un bisturi tagliò il nastro che lo chiudeva. Il rotolo di carta si disunì di pochissimi millimetri quasi facesse un timido respiro, ma rimase pressoché immobile e completamente avvolto su se stesso, come se avesse ancora il nastro legato attorno. Evidentemente, secoli e secoli in quella posizione ne aveva fatto perdere qualsivoglia minima elasticità. Roby srotolò il foglio lentamente e con grande delicatezza gli fece scivolare sopra un vetro per tenerlo disteso. «Sembra al momento che sia tutto OK. – disse – Adesso lasciamo per un po’ di tempo le cose come stanno e beviamoci sopra qualche cosa. Ci facciamo un caffè?» «Un caffè qui? – ironizzò Sergio – Figurati la brodaglia… Dammi un po’ di vodka, almeno non ha niente a che vedere col Priore americano! Piuttosto, posso guardare cosa c’è scritto su quel foglio?» «È lì a tua disposizione. Si distingue benissimo attraverso i vetri. Ma non toccare nulla, io vado a prepararmi il caffè di sotto.» Sergio si avvicinò all’”acquario. Era emozionantissimo. Un documento di non si sa quale epoca era lì a sua disposizione, pronto a rivelargli un segreto nascosto da secoli. Forse neppure chi aveva posto per primo i piedi sulla luna sarebbe stato così emozionato. In quel momento scomparvero tutte le ansie e le paure che aveva avuto nei giorni precedenti e che anche durante quella notte non gli avevano permesso di chiudere occhio. Guardò il documento attraverso il vetro. La scena che ne seguì fu decisamente buffa. Sergio era chinato, mani dietro la schiena, con la faccia quasi attaccata ad un coperchio di vetro, parlando a sé stesso ad alta voce e scotendo la testa: «E questo che cos’è? Non ha senso! È peggio dell’enigma di “Aelia Laelia”! Siamo al punto di partenza!» ///TU//OVA//D/AE/END/L’A//A//VE/EN/O//SCE Roby, salendo dalla zona cucina della torre, con in mano il caffè ed il bicchierino di vodka, si mise a ridere, mentre Sergio continuava nella sua pantomima, avvicinando il viso al vetro, per poi allontanarlo e, scotendo la testa, riavvicinarlo di nuovo. «Ma stai tranquillo, Sergio. Se fai così adesso che il documento è ancora sotto vetro, cosa succederà quando l’avrai in mano.» «Ma l’hai visto? Questa è una presa in giro!» «Certamente! Nel Cinquecento questi giochetti enigmatici erano all’ordine del giorno… Non c’erano mica Mike Buongiorno coi suoi telequiz! Mettiti a sedere, bevi tranquillo la tua vodka e non pensarci più!» Sergio si allontanò dal contenitore di vetro con una smorfia di disgusto in viso e prese il bicchierino di liquore. Ma anche quando l’aveva in mano e lo sorseggiava, non poteva fare a meno di sbirciare il foglio e di scuotere la testa. In un certo senso, l’atteggiamento di Roby, che sembrava proprio disinteressarsi di quel pezzo di carta steso sotto vetro, come se non esistesse, invece di calmarlo lo aveva irritato ancora di più. Per lui, quella dell’amico, era evidentemente una disinvoltura studiata, non vera; non era possibile starsene tranquilli a trangugiare una brodaglia di caffè che nessuno avrebbe bevuto, con a portata di mano un antico documento di cui si era entrati in possesso dopo inseguimenti, sparatorie, indagini di polizia e… l’intervento di multinazionali. Comunque non disse nulla e, forse per cercare di imitare il “menefreghismo” dell’amico, si mise a guardare la grande mappa di Bologna e tutte le lucine che su di essa si spostavano o lampeggiavano fermo. «Se questo sono io – Disse indicando il led azzurro che si muoveva sulla mappa – qualcuno sta portando la mia macchina fotografica in giro per la città.» «Bene, così quando la vuoi indietro sappiamo dov’è.» Sergio non si entusiasmò dell’ironica osservazione di Roby e pensò che Marisa l’avesse presa con sé per vedere di restituirgliela, magari portandogliela a casa. Sarebbe stato opportuno fermarla, perché il sua appartamento era senza dubbio controllato da qualcuno che così avrebbe potuto individuare l’amica e, collegandola a lui, porre anch’essa in pericolo. Senza indicare chi fosse a portare la macchina fotografica, espresse questa sua preoccupazione a Roby, che assentì: «Hai ragione. Ma da qui non possiamo ancora uscire. Hai modo di prendere contatti con chi sta andando per la città con la tua macchina fotografica?» A Sergio venne in mente di avere ancora il telefonino che Marisa le aveva dato in caso di bisogno. Le ultime stressanti vicende glielo avevano fatto dimenticare. «Telefona. – lo autorizzò Roby – ma con il mio cellulare, non con quello.» Sergiò chiamò e la risposta venne immediata. Disse a Marisa di non preoccuparsi di lui che stava bene. Si raccomandò di non andare per nessuna ragione a casa sua, tanto non l’avrebbe trovato e di comportarsi come se non lo avesse incontrato da mesi. Le avrebbe raccontato tutto appena possibile, si scusava del trambusto creatole e la salutò. Poi si rivolse a Roby: «E adesso pensiamo seriamente a quel maledetto documento che “Aelia Laelia” ci ha rifilato… Pensa come sta ridendo di noi quella puttana! » I bicchieri che contenevano la brodaglia bevuta da Roby e la vodka centellinata da Sergio erano ormai vuoti e i due ritornarono presso l’”acquario”. Roby infilò di nuovo le mani nei guanti e, tolto il vetro che schiacciava il foglio, ne fissò gli angoli con delle clip, in modo che rimanesse steso. Estrasse quindi dal cassettino portatrezzi una fiala ed un minuscolo pennellino. «La carta è risultata essere resistente all’aria, alla luce ed al calore. Adesso provo la reazione dell’inchiostro agli stessi elementi e poi vedo.» Intinse il pennello nel liquido contenuto nella fiala e lo spalmò con grande attenzione su di una lettera del documento, senza sbordare da esso. Non si ebbero immediate reazioni: la lettera umida e lucida rimase chiarissima senza subire sbavature o schiarimenti. «Lasciamo riposare la lettera per vedere se ci sono reazioni successive all’asciugamento del liquido. Intanto facciamo un altro piccolo esperimento sull’angolino che abbiamo prima tagliato.» L’angolo, ch’era stato posto su di un vetrino, fu cosparso da Roby con un altro liquido e posto sotto un microscopio. Lui guardò attentamente l’ingrandimento e spinse un bottone alla base dell’apparecchio. Uscì una strisciata da un piccola stampante ad esso collegata e lui, esaminandola attentamente, ne chiarì a Roby le risultanze: «Alla prova del carbonio, la carta risulta essere della prima metà del Cinquecento, in pratica coeva all’epoca in cui dovrebbe essere stata incisa la lapide originale. E pertanto presumibile che lo scrigno era già contenuto in essa e che fu trasferito in quella rifatta e ricopiata il secolo dopo.» «Sai, Roby, che sei davvero straordinario! Sei un esperto archeologo, conosci la chimica, sai usare gli strumenti tecnologicamente più avanzati, dimostri di essere uno storico di ottima levatura, hai forti capacità investigative e sei armato come “Rambo”. E, come se non bastasse, ti sei creato un pied-a-terre modernissimo e inaccessibile in una torre del XIII secolo. A te Indiana Jones non ti fa neanche un baffo!» «Te l’ho detto già cento volte: sono semplicemente il Gran Maestro dei Frati Gaudenti ed il compito che mi sono assunto richiede questo ed altro.» «Questo ed altro? Ma cosa mi debbo aspettare ancora?» «Vedrai! Ma bando alle ciance, è ora di estrarre il documento dal suo limbo di vetro ed esaminarlo accuratamente dal vivo.» Roby esaminò attentamente la lettera che aveva spalmato di liquido per controllarne la resistenza dell’inchiostro e aprì decisamente il coperchio del contenitore. Tolse le clip che tenevano fermo il foglio di bambagina e lo sollevò. Finalmente anche lui ebbe un breve brivido di tensione, un misto fra emozione e liberazione che veniva espresso da un quasi impercettibile fremito delle mani. Allora anche Roby è un essere umano, pensò Sergio, avvicinandosi per vedere il foglio finalmente libero dalla sua prigione, una prigione, che per secoli era stata di argento smaltato ed ora e per pochi minuti, di trasparentissimo vetro. «Che dici, Roby?» «Per il momento, niente. Sarà bene fare una fotocopia del documento e lavorare su di essa, per non rovinare l’originale.» Roby fece una decina di fotocopie del documento che poi inserì in una cartella di cartone riciclato riponendolo in cassaforte assieme allo scrigno. «Ora possiamo cominciare a lavorare. – disse porgendo una copia a Sergio e guardandone un’altra che aveva tenuto per se.» «Buffo, – osservò Sergio – dopo la “Pietra del Mistero”, ora dobbiamo risolvere il “Mistero della Pietra”.»
|
|||||||
|