Capitolo 22 |
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Da via Castiglione a via Marconi, prendendola alla larga
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Marisa Aldrovandi entrò in casa convinta di trovarvi ancora Sergio. Ma non c’era. La cosa, in fondo in fondo, le dispiacque, anche se in effetti il misterioso comportamento dell’amico oltre a sorprenderla, l’aveva anche preoccupata. D’altra parte ospitare un uomo, seppure un amico, non era stato facile per lei, che l’uomo l’aveva ed era anche geloso. Anzi, quella sera stessa sarebbe venuto a casa sua e se ci fosse stato Sergio, probabilmente non avrebbe capito, né avrebbe potuto dargli torto. Dopo una doccia e dopo essersi preparata con un vestitino fra il succinto ed il romantico, si mise a preparare una cenetta intima, molto semplice, ma con la candela sul tavolino tondo della sala e con i tovaglioli in pizzo. Mancava un’oretta alla venuta del fidanzato e allora si mise comoda in poltrona prendendo il giornale. Anche se letto alla sera, preferiva il quotidiano scritto alle più aggiornate notizie dei TG, perché permetteva un panorama più vasto dell’informazione ed una scelta più consona ai suoi gusti. Di solito la Cronaca non la interessava, ma proprio nello sfogliarne le pagine, notò casualmente un titolo che attirò la sua attenzione. “EX INVESTIGATORE PRIVATO SCOMPARE NEL CANALE RENO” Nel breve servizio era detto che “l’altra notte, attorno all’una e mezza, c’è stato un notevole trambusto attorno ai nuovi giardini di via della Certosa” e che alcuni cittadini avevano avvertito il 113, perché “erano stati uditi anche diversi botti ch’erano sembrati ai più degli spari.” Giunti sul posto, i Carabinieri “avevano rilevato sulle aiuole solchi inconfondibili di pneumatici e presso l’alveo del vecchio canale, poco prima dell’imbocco dove s’interrava, la presenza di un vecchio motorino abbandonato intestato ad un certo Sergio Silvani, ex investigatore privato ed attualmente fotografo”. La dinamica dell’accaduto non era definibile con precisione, ma “non era da escludere che, dopo una notte brava, il Silvani fosse caduto nel canale, non si sa se accidentalmente o se obbligato da terzi”. L’articolo si chiudeva informando che “Il Silvani, non era stato ancora rintracciato e si stava indagando sull’eventuale sua scomparsa”.» La Notizia non scosse Marisa più di tanto, per il semplice fatto che spiegava esaurientemente come mai Sergio si fosse presentato a casa sua in piena notte e in quelle condizioni. Se era caduto nel canale, ne era anche uscito illeso. In quanto alla “notte brava”, non poteva che essere una semplice deduzione del giornalista per spiegare come mai qualcuno si buttasse o cadesse in un canale. Sergio non era mai stato alterato dall’alcol, e non lo era di certo quella notte, stando a come le era apparso quando si era presentato a lei. No, non era una caduta accidentale, ma volontaria e quel fatto le spiegava anche il motivo per cui lui le avesse chiesto di non dire a nessuno della sua presenza da lei. Sergio stava fuggendo da qualcuno e si stava nascondendo. Ora le subentrò anche una certa angoscia per l’amico. Rilesse l’articolo: inseguimenti, presunti spari, segni di gomme sulle aiuole… Se le voci raccolte dagli abitanti della zona fossero state vere, allora Sergio era davvero in grave pericolo. Ma per quale motivo? Pensò che sarebbe stato un suo dovere andare a denunciare quanto sapeva, ma così avrebbe tradito Sergio, cosa che non avrebbe mai fatto, anche perché se lui voleva tenere nascosto quanto gli era capitato, evidentemente aveva le sue buone ragioni. Si avvicinò alla sua macchina fotografica abbandonata sul tavolino del salotto e la prese in mano. Domani – pensò – gliela riporterò a casa. In quel momento suonò il campanello di casa. Chiese dal citofono chi avesse suonato, e si sentì rispondere: «Chi vuoi chi sia – le rispese una voce che ben conosceva – sono io!» Un’ora prima, Sergio era appena uscito dallo scantinato di via Castiglione e stava pensando a come raggiungere inosservato la casa di Marisa. Passare per il centro sarebbe stata una stupidaggine, perché sarebbe dovuto tornare indietro avvicinandosi così di nuovo a Vicolo S. Damiano…
Poteva invece prendere un autobus, magari facendo il giro della città sui viali di circonvallazione. Optò per questa soluzione e quindi si avviò su per vicolo Monticelli, passò davanti a San Giovanni in Monte, ridiscendendo verso via Santo Stefano. Qui davanti al loggione laterale della chiesa che si affacciava sulla strada c’era la fermata dell’autobus che l’avrebbe poi portato a Porta Santo Stefano.
Attese pochi minuti, stando nascosto dietro ad una colonna del portico, finchè l’autobus non arrivò. Salì e se ne fregò di non avere il biglietto. Stette in piedi e dopo cinque minuti si trovò a Porta Santo Stefano dove scese per attendere un altro bus e raggiungere la stazione. Cominciava a farsi buio e, soprattutto, la gente attorno si stava diradando. Dalla Stazione poteva andare da Marisa a piedi, ma ritenne più opportuno salire su di un altro bus diretto al centro, per via Marconi, anche perché si accorse che era sufficientemente pieno per nasconderlo.
Pochissimi minuti ed il mezzo s’arrestò alla fermata di via Riva Reno, dove Sergio scese, avviandosi verso il portone d’ingresso del palazzo dove abitava Marisa e che distava pochi passi dalla fermata. Ma giunto sulla soglia, si sentì chiamare. «Ciao, Sergio, complimenti! Ce l’hai fatta anche sta volta.» Era Roby. «Sì, ma senza di te… Come hai fatto a essere nel punto giusto al momento giusto.» «Ma tu pensi che ti avrei lasciato solo, anche se protetto da Mara ed i suoi sbirri? Stai portando un mio radiotrasmettitore addosso… te lo sei dimenticato, forse? Sapevo i tuoi spostamenti e sapevo quelli di Conolly e Twain… loro seguivano te, ed io seguivo loro. Tutto bene?» «Ho un dolore non da poco sul fianco, ma è sopportabile, credo mi abbiano colpito. » «Il giubbotto antiproiettile avrà senza dubbio resistito, se no non saresti certo qui.» «Sinceramente m’ero scordato di essere protetto dal giubbotto. Ho sentito una sferzata e pensavo proprio di essere stato ferito, magari di striscio.» Mentre i due parlavano erano davanti al portone d’ingresso della casa di Marisa per cui non poterono mancare di notare un uomo che vi entrava dopo aver suonato un campanello che a Sergio parve quello di Marisa. L’uomo, rispondendo al citofono, sembrò dire in modo un po’ brusco: «Chi vuoi chi sia, sono io!» Fu solo un attimo di distrazione, poi Sergio si rivolse a Roby: «Cosa si fa ora?» «Si torna alla torre in moto.» Sergio fu sorpreso dalla laconicità di Roby, ma gradì quella risposta anche se sembrava più un ordine, perché risolveva del tutto il problema di non veder coinvolta Marisa nella vicenda. «Come faccio ad andare in moto? Ho dimenticato il casco nel furgone di Mara?» Roby sorrise scuotendo la testo: «Tu mi piaci, Sergio! Riesci sempre a far dell’ironia anche in frangenti che la rendono impossibile. Ma va bene così… Ne ho un altro di casco… - Glielo porse, estraendolo dal baule - Sali, che andiamo.» «Un po’ mi dispiace. Si mangia meglio dove mi stavo recando adesso che a casa tua.» La Ducati partì e nel giro di pochi minuti giunse alla torre dei Catalani, dove la porta medioevale si abbassò a comando come un ponte levatoio, per agevolarne l’entrata. Quando i due, all’intero, scesero dalla moto, Roby spinse il solito interruttore e il piano su cui la moto era appoggiato girò, per porla in posizione d’uscita, mentre sopra, le pareti del box la ricoprivano completamente per nasconderla alla vista. Roby si fece dare la valigetta nera da Sergio, l’aprì ed estrasse il cofanetto: «Questo lo verificheremo domattina. Per ora poniamolo al sicuro e prepariamo da mangiare… Non ti preoccupare, oggi ho fatto la spesa… Vedi tu nel frigo, cosa ti va.» Mentre Roby saliva al piano superiore per riporre lo scrigno in cassaforte, Sergio si tolse di dosso quel pesante giubbotto antiproiettile ch’era stato così positivamente “spianato”. Poi si avvicinò all’angolo cottura e aprì il frigo. Era pieno di scatolame ben poco invitante, ma c’erano anche due pizze precotte che gli parvero appetitose. Le mise nel microonde. Dopo alcuni minuti le pizze erano pronte e le pose sulla tavola apparecchiata alla bella meglio. Roby, scendendo, approvò la cena preparata. «Bene! Stasera pizza.» Da quando erano entrati nella torre, Sergio non aveva ancora aperto bocca ed ora stava mangiando quella pizza con l’amaro in bocca. Era stanco di essere una specie di marionetta manovrata da un burattinaio. Non è che il burattinaio fosse incapace o antipatico, ma era soltanto un burattinaio e lui voleva in un qualche modo tagliare i fili e tornare a recitare la sua vita in piena autonomia. E glielo disse: «Roby, non ce la faccio più a sopportare quello che mi sta accadendo da quando ti ho conosciuto. È una storia più grande di me. Trova un modo per farmi uscire da questo giro pazzesco e di riprendere tranquillamente la mia vita.» «Ho paura che non sia più possibile. L’unica soluzione sta nel cofanetto che abbiamo recuperato. Se sveliamo il mistero di “Aelia Laelia” è quasi certo che noi ci libereremo, anzi, tu ti libererai da ciò che sta accadendo.» «Perché?» L’interrogativo sembrò esplodere nella torre ed in effetti, Sergio parve gridare nel dirlo. «Perché siamo in due a cercare la soluzione, io e un altro e se io sono il “buono”, l’altro è il “cattivo”…» «Buoni, cattivi, ma cosa significa? E, soprattutto, chi sei tu, per essere il buono?» «Te l’ho già detto una volta e non mi hai creduto: sono il Gran Maestro dell’Ordine di Maria Gloriosa, il Priore dei Frati Gaudenti!» «Ma fammi un piacere…» Sergio allontanò da se il piatto con mezza pizza, come schifato, ma non era chiaro se dal cibo o dall’asserzione di Roby. «Padrone di non crederci, ma è così.» Disse Roby arrotolandosi un trancio di pizza e mordendolo con gran gusto. Sergio appoggiò i gomiti sul tavolo e congiunse le mani davanti al viso: «Se tu riesci a mangiare quella schifezza, io posso anche credere a questa panzana. Ma ora me la spieghi.»
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