Capitolo 20 |
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La Questura di Bologna
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Mara all’esterno del Bunker era alle prese con una decina di giornalisti che la stavano tempestando di domande, le più disparate: «Come mai quest’incursione?»; «E’ un’azione antiterroristica?»; «Perché c’è stata un’esplosione? »; «Cosa c’è dentro quelle cantine?»… «Vi prego, signori, un po’ di silenzio… Posso solo dirvi che abbiamo recuperato proprio ora la preziosissima lapide rubata alcuni giorni fa dal Museo Civico.» «Quale lapide?» La interruppe un giornalista. «Si vede che lei non legge i giornali… Al momento la lapide è visionata da due esperti che stanno verificandone lo stato. Appena usciranno, credo ci vogliano ancora una decina di minuti, potrete entrare e scattare tutte le foto che vorrete. Per una relazione completa, però, sull’azione svolta e sulle modalità adottate per il recupero, vi invito tutti ad una conferenza stampa fra un paio d’ore in Questura. Vi ringrazio.» Fra il vocio dei giornalisti che insistevano per avere più ragguagli, Mara ordinò il loro allontanamento fuori dalla zona d’azione della polizia e rientrò nel bunker. Mancavano pochi minuti allo scadere dell’ora e voleva intercettare Sergio e Roby prima che uscissero. Mara incontrò i due nel cunicolo che portava al bunker. «Rientrate un attimo.» Impose ma con una certa cortesia e quando furono soli, fu sempre Mara a parlare. «Un momento – fece presente Roby – Qui fuori dovrebbero esserci più o meno appostati due incaricati da chi ha rubato la lapide e credo che il loro scopo sia quello di mirare a Sergio, non so se per rapirlo e conoscere quello che sa sulla lapide, o se addirittura eliminarlo perché non lo divulghi.» «Debbo ritenere questa una denuncia formale di reato in corso?» «No, deve ritenerla un’informazione data ad un’amica di Sergio, alla quale chiedo protezione per lui, almeno finchè non trova un posto sicuro.» «Non ne ho la possibilità, se non sono autorizzata dall’autorità superiore..» Mara guardò Sergio chiedendogli con gli occhi se era vero ch’era in grave pericolo e Sergio assentì con un lieve cenno del capo. Mara non ne poteva vedere il viso, essendo nascosto dal casco integrale, e per lo stesso motivo non vedeva quello di Roby, ma i pochi istanti, in cui volse lo sguardo dall’uno all’altro, gli permisero di pensare ed improvvisare una soluzione. Prima però si rivolse di nuovo a Roby: «E lei, Signor James, com’è messo in quanto a pericoli di attentati?» «Non meglio di Sergio, ma io mi arrangio da solo.» «Bene… - Mara guardò Sergio – Allora tu adesso ci segui nel furgone e quando il Signor James avrà fatto la sua deposizione e se ne sarà andato, verrai con me in Questura. Il tempo perché io tenga la conferenza stampa con i giornalisti, poi ti porterò al sicuro, dove tu vorrai.» «Può essere. - Assentì Roby - Tu cosa dici, Sergio?» «Un tempo, quando avevo l’agenzia ero più abituato ad inseguire che ad essere inseguito, per cui non ho molte alternative. Mi adeguo…, anche se da un po’ di tempo a questa parte, sembra proprio che tutti decidano per me…» «Bene! – concluse Mara – Ora toglietevi i caschi e seguitemi!» «Sarebbe meglio di no – Si oppose Roby – meglio mantenere una certa riservatezza e non sbattere le nostre facce sui giornali e in primo piano.» «Non sarà facile spiegare ai giornalisti perché due tipi mascherati da caschi sono entrati soli nel bunker, ma troverò una scusa… Va bene, tenete pure i caschi.» Sulla porta del bunker, prima che anche Roby e Sergio uscissero, Mara chiamò a sé il subalterno più vicino. «Possibile presenza di cecchini, nei dintorni. Proteggere i due testimoni nel loro trasferimento al furgone.» Passò meno di un minuto e sei o sette poliziotti seguirono Mara, scortando Sergio e Roby a cui facevano muro, mentre altri si erano sparsi intorno in un raggio di una decina di metri, con le armi spianate e spalle al gruppetto che si avviava al furgone. Qui giunti i due, ancora circondati dal manipolo di uomini in divisa vi entrarono, e vi si isolarono dentro con Mara che li aveva preceduti. L’ispettore compì le procedure di ritrovamento di Roby James, stese un verbale sulle modalità di riconoscimento e vi aggiunse le dichiarazioni dell’interessato richiedendone la firma sulle tante copie di modelli previsti in simili casi. «Abbiamo finito?» Chiese Roby dopo aver firmato. «Allora vado… prima, però, vorrei chiederle di informare il Consolato americano di Firenze, che è inutile che si avvalga della polizia italiana per ricercare chi non è scomparso o si è reso irreperibile. Dica tranquillamente che un’altra volta si arrangino da soli a ritrovarlo.» «Il consolato americano?» La domanda di Sergio era più per chiedersi se aveva sentito bene, che per avere una conferma da Roby. Roby non stette a ripetere la sua affermazione e si alzò «Allora io posso andare. Sergio, in bocca al lupo. Ero sicuro che te la saresti anche cavata da solo, ma ho preferito farti proteggere da un’amica. Ciao.» «Ciao e a presto.» Roby si rimise il casco, e prima di uscire guardò il proprio palmare, constando che il segnale dell’auto dei killer la localizzava in allontanamento dalla zona. Si avviò quindi con una certa tranquillità verso la sua Ducati e scomparve. Contemporaneamente il furgone si mosse, seguito da due vetture della polizia diretto verso la Questura, dove Sergio si ritrovò relegato in un ufficio abbastanza spoglio, ma per lo meno dotato di una comoda poltroncina, su cui si sedette tenendo sempre ben stretta la valigetta di Roby. Guardò il poliziotto silenzioso ed imperterrito che, spalle alla porta, lo stava proteggendo, o sorvegliando, difficile dirsi. Accese una sigaretta anche se era esposto e ben visibile il cartello rosso del divieto di fumo. «Lei fuma?» Chiese al poliziotto. «No?» Fu la sua laconica risposta. Date due boccate, Sergio si accorse che non aveva nulla in cui far cadere la cenere e guardò quasi supplichevole il suo sorvegliante. Questo si mosse verso la scrivania, aprì un cassetto, estrasse una ciotola in metallo e gliela porse. «Sarà lunga?» Domandò Sergio. «Dipende dai giornalisti e dall’interesse che vogliono dare alla notizia. Direi un’ora al massimo.» «Sapevate – domandò un giornalista – che all’interno della cantina c’era la lapide o pensavate ad altro?» «Terroristi?» «Poteva anche essere, ed è per questo che l’azione è stata preparata ed eseguito dal corpo speciale da me comandato.» «Ispettore Lucchini – domandò un altro giornalista – Non appena fatta l’irruzione, abbiamo notato che sono entrate due persone mascherate da caschi integrali e all’apparenza non appartenenti al corpo, che si sono isolate all’interno della cantina. Si può sapere chi erano e perché sono entrate da sole là dov’era la lapide?» «Al riguardo debbo mantenere il massimo riserbo, essendo le indagini ancora in corso. Posso solo rendervi noto che trattasi di persone di fiducia del Corpo, esperti d’arte e, casualmente, anche a conoscenza dei fatti. Proprio per celare la loro identità si è pensato di far loro indossare un casco integrale. Assicuro la stampa che non appena le indagini saranno concluse, si spera con la cattura di chi ha sottratto la lapide, ogni aspetto ancora riservato verrà divulgato e chiarito.»
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