Capitolo 17

Alla ricerca di “Aelia Laelia”

 


La sommità della Torre dei Catalani

Uscendo dall’ascensore, Sergio e Roby si trovarono in un vano molto simile a quello del secondo piano, solo che non vi era traccia di apparecchiature ed i mobili erano ridotti a pochi armadi e armadietti ben chiusi, su cui non c’era traccia di serratura o chiavi. Anche le pareti di questo locale erano completamente ricoperte in laminato d’acciaio che non lasciava spazio neppure alle finestre che la torre certamente aveva a quell’altezza. Completavano l’arredamento un angolo adibito a salotto con divano e poltrone ed un tavolo con alcune sedie.

Roby si avvicinò al più grande degli armadi e l’aprì, questa volta componendo un codice su di una tastiera. Le ante scivolarono lateralmente, mostrando all’interno una serie incredibili di armi modernissime. Se Sergio era rimasto allibito in ogni istante in cui scopriva com’era stata trasformato l’interno della Torre, ora non credeva proprio a suoi occhi. “Ma questo è matto!”, pensò movendo sconsolato il capo.

«Non possiamo più uscire disarmati – constatò Roby con tono normalissimo, come se per lui fosse abituale maneggiare armi – io prendo una Berretta, tu hai preferenze?»

«Eh no, Roby, lasciamo stare tutto quest’armamentario. Sì, ho portato la pistola, quand’ero un investigatore privato, ma era per darmi un tono, non per altro. Avrei avuto paura d’usarla. Dai, chiudi quell’armadio e studiamo a tavolino la situazione.»

Roby non chiuse l’armadio ma si sedette al tavolo, portando con se la pistola. Anche Sergio si sedette.

«Allora – chiese Roby – hai qualche idea?»

«Sì, ma prima voglio sapere una cosa. Perché t’interessa fisicamente la lapide? L’hai già vista al museo, il testo lo conosci a memoria, certamente hai anche della riproduzioni… Cosa ti serve di più? È questo che non riesco a capire.»

«Devo restare solo con la lapide per almeno un’ora, ma la ragione non te la posso ancora dire.»

«Stare con “Aelia Lelia” per un’oretta? È proprio una puttana, quella pietra!»

Sergio sorrise ed anche Roby non potè farne a meno, ma la sua voce era estremamente seria.

«Davvero, Sergio, è un segreto che non posso rivelare a nessuno e che non intendo rivelare. Ma se ciò che debbo fare mi riesce, tu ne sarai partecipe in tutto… Anzi, credo proprio che senza di te non riuscirò mai nel mio intento. Abbi fiducia.»

«Quindi entrare in possesso fisicamente della lapide non t’interessa?»

«No, te l’ho detto, devo soltanto esaminarla per un’ora o, forse, meno.»

«Allora è decisamente inutile “armarsi e partire”. Vediamo invece come entrare nel bunker e restarci per il tempo che ti occorre.»

«Facile a dirsi. Come faresti, tu, ad eludere o tenere a bada i suoi guardiani, perchè di guardiani ce ne saranno di certo? Credimi, io non vedo alternative all’azione di forza. Se non te la senti, agirò da solo.»

«E magari ammazzi qualcuno o sei tu ad essere ammazzato. Bella soddisfazione! Io un’idea ce l’avrei: informare la polizia.»

«Escluso.»

Sergio fece un lungo sospiro, si alzò e si mise a camminare per la stanza. Prima di parlare cercò le parole giuste.

«I poliziotti mi hanno fatto visita e mi hanno chiesto di te. Sono stato anche convocato in Questura per ulteriori informazioni. D’altra parte tu sei un ricercato ed io in un modo o nell’altro, risultavo aver avuto contatti con te prima della sparizione. So che ti debbono trovare perché qualcuno ha denunciato la tua scomparsa, ma non ho capito (e non mi hanno voluto dire) chi sia questo qualcuno. Non mi risulta che tu abbia commesso un qualche reato perseguibile. Anche “Aelia Laelia” è una ricercata, dal momento che è stata sottratta al Museo. La polizia pensa che sia stato tu, ma io so che non è vero. Tutto chiaro fin qui?»

«Sì, vai avanti.»

«Ora, io sono in contatto con l’ispettore che ha l’incarico di questa inchiesta. E’ una donna e m’ispira una grande fiducia. Mi è simpatica e credo che anch’io sia simpatico a lei… ma questa è un’altra storia. Pensavo di comunicarle dov’è la lapide. Sarà la polizia a prenderla dal bunker e a riportarla là da dove è stata asportata. Dopo potremo trovare un modo per esaminarla con tutta tranquillità. Se telefono adesso a Mara…, volevo dire all’ispettore, in un paio d’ore tutto sarà risolto e senza problemi.»

Sergio guardò fisso negli occhi Roby:

«Roby, vai a chiudere quell’armadio… mi fa paura solo il vedere quello che c’è dentro!»

Roby si alzò e lentamente andò a chiudere l’armadio, riponendovi la pistola. Poi aprì un altro contenitore, da cui estrasse un cellulare.

«Con questo puoi telefonare. – disse ponendo il cellulare sul tavolo – È un apparecchio schermato di alta tecnologia e le telefonate non possono essere rintracciate. La telefonata sarà in viva voce in modo che possa conoscere anch’io questa… come l’hai chiamata pure?… ah, sì, Mara e rendermi conto se mi posso fidare o meno di lei. Devi però porle un paio di condizioni. La tua ispettrice non deve informare nessuno, prima e durante l’azione di recupero. E quando dico nessuno, intendo superiori, politici, giudici, giornalisti o chicchessia. Quando recupereranno la lapide e prima di asportarla dal bunker, dovrò averla a disposizione per un’ora e senza nessun’altro presente.»

«Posso provarci. Ma se vuoi vedere la lapide al momento del recupero, dovrò parlare anche di te e di dove sei. Come la mettiamo?»

«Se mi stanno cercando, dille pure che sarò a loro disposizione subito dopo aver visto la lapide. Dovrebbe essere contenta di queste proposte. In un colpo solo questa Mara risolve due difficili incarichi: trova “Aelia Laelia” e trova Roby James. Pratiche chiuse con successo. Ma, mi raccomando, non dire dov’è la lapide, se non accetta le mie condizioni.»

Sergio prese il portafoglio dalla giacca, cercò il biglietti da visita di Mara e compose un numero di cellulare.

«Pronto, Mara? Sono io, Sergio Silvani…»

La telefonata con Mara durò diversi minuti. Soliti iniziali convenevoli, poi Sergio la informò di sapere dove fossero sia la lapide rubata che Roby James. Sì, gliel’avrebbe detto, certamente, ma non subito. Prima voleva avere un’assicurazione, sia come amica che come poliziotto. Quale? Appena recuperata la lapide, Roby doveva averla a disposizione per almeno un’ora prima che fosse riportata al museo. Impossibile? No, non c’era nulla di impossibile per lei, dopo aver recuperato un cimelio così prezioso in appena un paio di giorni. E Roby? Lei doveva solo rintracciarlo! Non aveva commesso alcun reato e avendolo trovato, il caso era risolto ed il denunciante soddisfatto. Roby sarebbe stato libero d’andare dove voleva. A proposito chi ne aveva denunciato la scomparsa? Già, informazione riservata… Va bene, non era il caso d’insistere. Allora, d’accordo? Un’ora soltanto? Non di più! Va bene. Un’altra piccola condizione… Quale? Assoluta riservatezza sull’azione di recupero che andava immediatamente effettuata. I superiori? Non servono adesso… saranno quelli che alla fine riceveranno tutti i pubblici encomi per il ritrovamento della lapide… saranno tanto soddisfatti da dimenticarsi subito dell’iniziativa presa da un sottoposto senza averli informati. D’accordo su tutto? D’accordo! Un attimo…

Sergio guardò Roby come per chiedergli se poteva concludere e lui assentì con un silenzioso cenno del capo.

La telefonata riprese. Allora la lapide è in un bunker tedesco posizionato nell’isolato posto fra via Sabotino e via Pasubio… Un bunker? Incredibile ma è così…. Non chiedere come ci è finita, perché lui non lo sapeva. Era nel bunker, non sapeva di preciso dove, ma era nel bunker.…. Sergio salutò Mara, si raccomandò ancora di procedere immediatamente e di non informare nessuno, poi, spento il cellulare, guardò Roby come per chiedergli la sua impressione sulla telefonata.

«Sì, credo che ci si possa fidare di questa Mara. Ha detto che si muove subito; sarà meglio affrettarci.»

Roby riaprì l’armadio delle armi e riprese in mano la Berretta, che s’infilò nella cintura, riempiendosi di caricatori una tasca della giacca.

«Tu, proprio no?» domandò a Sergio, indicando il contenuto dell’armadio.

«No, lascia stare. Sto meglio senza.»

«Come vuoi… Ma indossa questo.» e gli porse un giubbotto antiproiettile, indossandone uno anche lui. Poi aprì un altro armadietto da dove prese una ventiquattrore rigida in pelle nera.

Sergio e Roby scesero con l’ascensore al laboratorio del secondo piano dove Roby prese da un cassettino posto sotto la grande pianta di Bologna, una piccola scatolina ancora sigillata. L’aprì ed inserì una specie di minuscola pallina in un apposito contenitore collegato ad un computer. Poi battè sulla tastiera un codice, attese un secondo e riestratta la pallina, la diede a Sergio.

«È un nuovo radiotrasmettitore. Attaccatelo dove vuoi e non perderlo. Se dobbiamo dividerci, sarà bene ch’io ti possa ritrovare all’istante.»

Aprì un nuovo cassetto e prese un palmare che collegò allo stesso computer.

«Da questo momento la piante elettronica di Bologna aggiornata è qui dentro. Dovunque siamo possiamo fare le nostre ricerche.»

Seguito da Sergio, Roby scese al piano terra, prima con l’ascensore, poi con le scale e si avvicinò al grande bancone di metallo posto a ridosso di una parete. Come sempre, premette un interruttore. Il bancone si aprì raccogliendo verso il muro a mo’ di fisarmonica le pareti visibili. Man mano che lo scatolone si apriva, apparve una Ducati 1250 , posizionata proprio davanti ad una delle porta medioevali della Torre, anch’essa coperta da una lastra d’acciaio.

Roby porse a Sergio un casco integrale invitandolo ad indossarlo e infilandosene un altro in testa, salì sulla moto, non senza aver posto la ventiquattrore nera nel grosso bauletto portaoggetti.

«Sali, Sergio che andiamo.»


La seconda porta della Torre

Abituato al sua “cinquantino” scassato, Sergio si mostrò molto impacciato sia a posizionarsi sul sedile posteriore che a trovare gli appigli necessari per tenersi in equilibrio, e quando Roby gli chiese se era pronto, la sua risposta affermativa, più che insicura, era come rassegnata.

Roby premette il bottone d’avviamento ed il rombo della motocicletta esplose all’interno della torre quasi minaccioso; ma l’incredibile fu che contemporaneamente, la vecchia porta medioevale, ricoperta d’acciaio si abbassò verso l’esterno, posizionandosi sul selciato della strada come uno scivolo per agevolare l’uscita del bolide. Un breve filo di gas, e la moto con i suoi due occupanti era già in vicolo Santo Spirito.

Appena attraversata la porta questa ritornò automaticamente al suo posto, avvolgendo di nuovo la vecchia Torre dei Catalani nel suo secolare silenzio.

 

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