Capitolo 16 |
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La Pianta di Bologna
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Quando Sergio, seguendo Roby, giunse al primo piano della Torre dei Catalani, gli sembrò d’essere entrato in uno di quei film di fantascienza dove il protagonista, passando attraverso una raggiera di luce abbagliante, esce dalla propria epoca e viene proiettato in un mondo di mille anni dopo. La torre del XIII secolo era diventata, all’improvviso un ambiente di indescri vibile modernità. L’antico mattonato era completamente ricoperto da bianchi laminati d’acciaio a cui si appoggiava un lunghissimo piano di lavoro che si estendeva su tutti i quattro lati del locale. Sotto il piano cassettiere, scaffalature, armadietti, sopra una serie impressionante di attrezzature tecnologiche. Modernissimi monitor erano collegati a numerosissimi impianti che Sergio non sapeva cosa mai potessero essere e, men che meno, a cosa potessero servire. Decine e decine di piccole luci blu, arancioni, rosse e verdi, indicavano che le installazioni erano tutte in funzione, o in attesa di esserlo.
Appeso ad una parete, un grande schermo a cristalli liquidi riportava la luminosissima mappa di Bologna dettagliata in ogni strada e viottolo, su cui lampeggiavano moltissimi leds, alcuni fissi ed altri in movimento. Sergio rimase tanto allibito da quella specie d’ogiva di astronave, da non accorgersi che Roby premendo un interruttore, aveva fatto scorrere un’altra lastra d’acciaio, questa volta però in orizzontale, che scivolando silenziosa sul pavimento, aveva chiuso ermeticamente la botola da cui erano entrati dopo aver salita la scala. Roby invitò Sergio a sedersi su d’una poltroncina a ruote posizionata davanti alla luminescente mappa di Bologna, poi spiegò: «Questa luce blu è la tua macchina fotografica ferma in via Riva Reno, all’altezza di via Marconi. Qui sei arrivato la notte scorsa per nasconderti come t’avevo detto. Ora ti stampo il tracciato dei tuoi movimenti negli ultimi giorni.» Roby spinse un bottone della tastiera posta davanti alla mappa, e la stampante cominciò a scorrere silenziosamente fino a spegnersi e a deporre un foglio sul vassoio di raccolta. Sergio lo prese e lo guardò: era la pianta di Bologna su cui un tratteggio in blu zigzagava da un punto all’altro della città. In coincidenza dei vertici della linea spezzata c’erano data e ora. Distinse benissimo lungo la linea tratteggiata i luoghi in cui era stato e si era fermato: «Ma guarda! – esclamò esterrefatto ad alta voce e col dito puntato sulla carta – Questa è casa mia… Qui, qui e qui mi sono recato per fare i servizi fotografici per Balduzzi e questo è il suo stabilimento… Straordinario! La macchina mi ha registrato quando ho portato le foto fatte allo stemma di Don Didaco. C’era anche un certo professor Belforte che mi ha rinfacciato che lo stemma era malridotto… come se fosse colpa mia, se l’unico stemma ben restaurato non era raggiungibile! Ecco via del Pratello e il giardino dei Vigili del Fuoco. La linea qui si interrompe… la mia fuga nel canale?» «Per forza – spiegò Roby – lì il trasmettitore era “coperto” e non inviava alcun segnale.» «Insomma, se fossi andato a votare, con quest’apparecchiatura avresti potuto vedere a chi davo il voto.» «Non esageriamo, l’apparecchio non è tanto preciso. Come vedi i vertici della linea sono molto larghi rispetto al punto preciso in cui ti trovavi. Il computer ricevente individua sì e con precisione il trasmettitore, ma in un ambito di trenta, quaranta metri. Lo vedi benissimo dall’ultimo contatto, quando ti sei nascosto, che pone la tua localizzazione nell’ambito di un paio di isolati. Fra via Riva Reno e via Marconi. A proposito, chi ti ha aiutato offrendoti ospitalità?» «Visto che c’è ancora un po’ della mia vita che tu non hai denudato, lasciami almeno questa foglia di fico.» Roby sorrise e non insistette. Poi indicò sulla mappa un altro led lampeggiante di verde e in continuo movimento. «Questa è la macchina dei due killer che ben conosci. Sono fermi davanti a casa tua. Che stupidi!» «E tutte le altre lucine?» Domandò Sergio. «Diciamo che sono altri appostamenti delle mie radiotrasmittenti che riguardano gente e posti che non ti interessano, almeno al momento. Questo, invece, di colore rosso e che è un po’ più luminoso degli altri è il luogo dove è stata portata la lapide. Riconosci il posto?» «E’ un’area fra via Sabotino, via Pasubio e via Montello.» «Questo lo so anch’io, ma come t’ho detto, il radiotrasmettitore non dà un’indicazione tanto precisa da poter individuare un punto esatto al millimetro. L’area è abbastanza vasta, anche se circoscritta. Sono andato a vedere: ci sono alcuni condomini e alcune villette plurifamiliari.» Sergio guardò attentamente sulla mappa l’area indicata dalla luce rossa intermittente. La zona era abbastanza moderna, risaliva al secondo dopoguerra, quando era nata via Sabotino dalla copertura di quello stesso tratto del canale Reno che lui aveva percorso per sfuggire ai suoi killer. Se il led avesse indicato una parte storica di Bologna, Sergio avrebbe certamente individuato qualche cosa di riconoscibile e su cui ragionare. Qui invece… Eppure quella zona gli ricordava qualcosa di molto particolare… Ma cosa? Via Sabotino, via Pasubio e via Montello… Fra sè e sè maledì ancora una volta di non essere a casa col suo vecchio computer davanti! Se fosse stato lì quel “qualcosa” che gli ronzava in testa e che era sicuro di aver visto, gli sarebbe comodamente apparso sul monitor, ben fotografato, e con la sua storia accanto. E invece era impotente, rinchiuso in quella fortezza fra miriadi di luminescenze e intermittenze che nonostante la loro alta tecnologia, risultavano del tutto inutili… «Mi spiace – disse alla fine scotendo la testa – Non mi viene in mente nulla, anche se sono certo che lì vi sia qualcosa di particolare.» Poi sbottò, allargando le braccia sconsolato: «Ma è mai possibile che questa puttana di “Aelia Laelia” non abbia proprio nulla di chiaro? Non sai chi l’ha scritta, non sai quello che dice, ogni tanto scompare e se anche sai dov’è andata a finire, non la puoi trovare… Cosa fa ora, questa maledetta, in via Sabotino?» Roby aprì l’antina di un pensile vicino alla mappa di Bologna. Era un piccolo mobile bar, attrezzato con frigorifero. Estrasse una bottiglia e due bicchieri. «Bè, beviamoci sopra. È vodka ghiacciata e di ottima qualità. Se preferisci qualcos’altro dimmelo, qui c’è tutto. «No, va bene la vodka.» «Come vedi la Torre dei Catalani è sì un bunker, ma ben attrezzato e accogliente...» «Come hai detto?… - La voce di Sergio diventò improvvisamente raggiante – Hai detto bunker?… Ma è chiaro, la lapide è dentro il bunker!» «Non capisco…» «No, non sai! Ed è per me una grossa soddisfazione sapere qualcosa di Bologna che tu non conosci! Proprio lì, sulla mappa, dove lampeggia quella lampadina, c’è un bunker costruito durante l’ultima guerra dai tedeschi per posizionare un centro di comando logistico. Si vede benissimo da un cortile che dà su via Sabotino, ma vi si entra da via Pasubio. - Sergio si stava entusiasmando - La puttana è nascosta lì, nel bunker! Andiamo a prenderla.» «Calma, calma, Sergio! Se è un bunker, entrarci non è certo una passeggiata, e poi, la porti via tu, a mano, la lapide? Debbo andare là a verificare la situazione e, se possibile, farmi un’idea dell’edificio. Mi occorre del tempo!» Sergio si alzò in piedi e proclamò: «Vengo anch’io!» «No! Troppo pericoloso. Tu resti qui. Mi servirai dopo, ma da vivo!» «Non se ne parla neppure! Io non mi chiudo qui in attesa che tu decida cosa fartene di me. E poi, non sono un rammollito e credo di poterti servire non solo per darti delle dritte su Bologna!» Roby guardò Sergio con ammirazione, ma anche con preoccupazione. Era chiaro che l’amico non sarebbe rimasto da solo nella torre, ma non voleva neppure che se ne andasse per Bologna, con il rischio di essere trovato da chi aveva già tentato di eliminarlo. Forse il modo migliore per proteggerlo era proprio quello di portarselo dietro sempre, anche in azioni che potevano diventare molto pericolose, soprattutto per lui. «Va bene! – gli disse infine – andremo insieme. Vieni.» Sergio credette che Roby riaprisse la botola per scendere a piano terra ed uscire dalla Torre, invece s’avvicinò ad una specie di armadio di metallo largo sì e no un metro e spinse il solito bottone che c’era a lato. L’armadio si aprì automaticamente, ma era vuoto. «Saliamo al terzo piano della torre con questo – gli disse Roby – è un ascensore interno. Le scale avrebbero occupato troppo spazio utile. Andiamo ad attrezzarci e a studiare un piano d’azione.» Sergio lo seguì in silenzio, domandandosi cosa intendesse l’amico per “attrezzarsi” e “studiare un piano d’azione”.
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