Capitolo 15

Nella torre dei Catalani

 


Una delle porte d’accesso della torre dei Catalani

La Torre dei Catalani fu eretta nel 1257 dalla famiglia guelfa da cui prese il nome.

In origine lo strano edificio era senza dubbio molto più slanciato di quanto lo sia adesso che è ridotta ad un tozzo parallelepipedo alto 16 metri e con una base quadrata di circa otto metri per lato.

Torre dei Catalani, prima e dopo il restauro

 


Ricostruzione della Casa-Torre dei Catalani

A suo tempo fu una “casa torre”, cioè facente tutt’uno con l’abitazione “civile” dei Catalani, alla quale era congiunta con ballatoi e ponteggi in legno. In caso di necessità, ci si trasferiva tutti nella torre che era fortificata e ben predisposta alla difesa degli attacchi dei clan avversi. Fino ad alcuni anni fa, piantate nei muri laterali c’erano ancora le grosse travi in legno che servivano a sostenere i ballatoi esterni, ma erano elementi inseriti in tempi recenti, per cui furono eliminati. Forse ora l’edificio è più coerente col tempo in cui fu costruito, ma ha perso molto del suo fascino.

Era la prima volta che Sergio entrava in una torre che non fosse l’Asinelli e si rammaricò di non aver dietro la macchina fotografica per arricchire la sua collezione di foto su Bologna. Ma fu solo un momento di distrazione. Cose ben più importanti l’attendevano e non vedeva l’ora che Roby cominciasse a raccontare la sua storia.

I due erano ora nel piano terra della torre, in una specie di monolocale di sette metri per lato. I muri non erano intonacati e mostravano il loro antico mattonato, reso però ben più evidente da un recente restauro. Non c’erano finestre e la luce era diramata da modernissime lampade alogene. Lungo una parete s’inerpicava una scala in legno che a Sergio non parve d’epoca, ma solo molto vecchia, il che, però, non ne intaccava la solidità e l’armonia con l’ambiente. Sotto la scala, un letto sfatto con affianco pile scomposte di libri, quasi fossero comodini. Nella parete opposta c’era un angolo cucina che pareva attendere che qualcuno lo riassettasse. Al centro un tavolo d’arte povera in legno e tre sedie impagliate. Sergio notò, presso l’angolo cottura un grosso parallelepipedo d’acciaio appoggiato alla parete, una specie di bancone lungo oltre due metri, che contrastava fortemente con la semplicità del resto della mobilia.

Roby premette un interruttore nei pressi della porta. Quasi fosse una saracinesca di gioielleria, una grossa lamina d’acciaio rilucente scese dall’alto, scivolando su profonde rotaie laterali e coprendo completamente, proteggendolo, il pur massiccio portone in legno da cui i due uomini erano entrati. Sergio notò che c’erano altre due lamine già chiuse su di un’altra parete: la più grande che giungeva fino a terra e alla quale s’appoggiava il bancone d’acciaio, era senza dubbio a protezione della seconda porta che la Torre ha alla sua base; l’altra lamina era probabilmente destinata a tamponare una finestra di cui, però, non ricordava l’esistenza.

Finalmente Roby parlò:

«Scusami il disordine, ma devi capire che non ho molto tempo per riordinare. È l’una passata, hai fame?»

Mangiarono quello che Roby aveva trovato nel frigo, un piatto di pasta scotta e fredda che Sergio non vomitò per non offendere l’amico, e delle fette di prosciutto secche come cotiche. Meno male che c’erano i grissini a mandarle giù. Poi fu la volta del caffè, che Roby servì all’americana, da una grossa cuccuma. Una vera brodaglia imbevibile.

Fu Sergio a parlare per primo:

«Cos’è questa torre?»

«È l’antica Torre dei Catalani, dovresti saperlo.»

«Non prendermi in giro, certo che lo so! Volevo dire cos’è adesso?»

«La mia residenza vera a Bologna… contento?»

«Perché proprio qui?»

Roby si versò un’altra tazza di brodaglia porgendo la cuccuma a Roby che rifiutò agitando la mano.

«L’ho scelta, innanzitutto perché è il posto migliore per non aver guai, poi perché, almeno per assonanza col suo nome, è da qui che ha avuto inizio tutta la storia. Infine, perché la torre è mia…»

«Tua? Non mi risulta, dovrebbe essere un bene dello Stato!»

«Diciamo che ne ho il possesso autorizzato. Ma è poi così importante sapere di chi è la torre? Non dovevamo parlare d’altro, o hai cambiato idea?»

Sergio guardò negli occhi Roby.

«Avanti, comincia.»

«T’ho già detto che è una storia lunga otto secoli e tutti essenziali per farti capire cosa sta succedendo. Tu sai chi erano i Frati Gaudenti?»

«Non capisco cosa c’entrino, ma ne conosco a grandi linee le vicende, vai avanti.»

Così Roby gli ricordò che nel 1260, Loderingo degli Andalò e Catalano dei Malavolti, fondarono l’Ordine del Cavalieri di Santa Maria Gloriosa che furono immediatamente riconosciuto da Papa Urbano IV. Era una milizia di frati armati, composta da chierici e laici dediti a contrastare le eresie e, soprattutto, a riappacificare e portare giustizia nelle città dove maggiore era la contesa sanguinaria fra Guelfi e Ghibellini.


Giotto
Enrico Scrovegni offre a Maria
la Cappella sorretta dal Priore
dei Frati Gaudenti
(Padova – Cappella degli Scrovegni)

Non si dilungò più di tanto su queste storie lontane, ma tenne a rilevare come essi ebbero importanti coinvolgimenti nelle vicende politiche dell’epoca, tanto che il loro ordine si estese in poco tempo nell’area padana e in toscana, ed anche in Francia, a Parigi e in Tarascona, oltre ad avere stretti contatti con i Templari e con l’Ordine di Malta, come starebbe a dimostrare il loro saio bianco con grande croce rossa sul petto.

«Scusa, sai ― lo interruppe Sergio ― non capisco cosa c’entrino con noi, nel terzo millennio, i Frati Gaudenti il cui Ordine è scomparso ben presto dalla storia, cadendo nel dimenticatoio.»

«E qui che ti sbagli! Forse caddero nel dimenticatoio, o forse fecero in modo che così accadesse, ma non scomparvero affatto. Guittone d’Arezzo e Cecco Angiolieri, tanto per fare un esempio, erano frati gaudenti e Giotto ritrasse il Priore dell’Ordine di Padova, nella Cappella degli Scrovegni. Nei secoli successivi fra i Grandi Maestri della Confraternita, troviamo nomi di famose famiglie, quali i Rinaldi, gli Aldrovandi e i Borgia. Nel XV Secolo, a Bologna, esistevano ancora importanti e ricche proprietà dei Frati Gaudenti, come quelle di Ronzano, Castel de’ Britti e Casaralta.»

A sentire nominare Casaralta, Sergio cominciò a capire. Casaralta gli aveva ricordato il luogo in cui era nato l’enigma di “Aelia Laelia”. Il legame fra i Frati gaudenti e la lapide cominciava ad aver senso. Era come un’immagine ancora nella nebbia, ma che già inizia a delinearsi.

Intanto, Roby continuava a raccontare.

«Ed è a questo punto che entrano in scena i Dalla Volta, un’altolocata famiglia bolognese ben accreditata anche a Roma. Io credo che il loro nome si sia formato trasformando il vecchio e non benaugurate Malavolta in Dalla Volta. Come vedi, quand’ho parlato di assonanza fra questa antica torre e le vicende che ci vedono coinvolte, non avevo torto: Torre dei Catalani, Catalano dei Malavolti, Casato dei Della Volta… Non è vero, ma è molto suggestivo e romantico, lo capisco… ma mi piace molto crederlo.»


Casa Volta

«Bè, – volle intervenire Sergio quasi volesse mettersi a gareggiare con Roby – sui Dalla Volta conosco qualche cosa anch’io. Per esempio, che fu di loro proprietà la bellissima casa che sorge all’angolo di Piazza della Mercanzia e Strada Maggiore e che, dove adesso c’è la Cassa di Risparmio, prima c’era piazza Volta.»

Roby non badò all’interruzione di Sergio, ma si riallacciò ad essa per proseguire la sua spiegazione:

«Anche la tenuta di Casaralta, con villa, parco, chiesa, campanile e convento, era di proprietà dei Dalla Volta. Siamo agli inizi del ‘500 e il capofamiglia è Alessandro, che viene ucciso, si dice, per vendetta politica. Sarà anche stato, ma io dubito, poiché le morti violenti da quel momento in poi colpiranno altri suoi discendenti. Gli succede il figlio Achille, che coi fatti di sangue ha un certo “feeling”: a Roma, sfida Pietro l’Aretino e lo colpisce quasi a morte con una coltellata, poi uccide un certo Aldreghetto Lambertini, per futili questioni. Ma è un umanista, vive a Roma ed è protetto dalla Curia pontificia dove Papa Clemente VII lo nomina Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri Gaudenti, il cui priorato è la villa di Casaralta. Achille l’abbellisce facendola affrescare da Alessandro Tiarini. È in questo periodo e in questo luogo che si hanno le prime testimonianze sull’esistenza della nostra lapide. “Aelia Laelia” comincia a vivere a Casaralta e, con lei “l’enigma della Pietra di Bologna”.»

Roby bevve un bicchiere d’acqua minerale, quasi volesse riprendere fiato e Sergio fece altrettanto, per calmare l’arsura che il racconto (e anche il caffè brodaglia che aveva bevuto) gli faceva sentire in gola.

«Come il padre Alessandro, anche Achille, avvezzo al sangue, viene ucciso nel 1556, da un non meglio identificato Orazio Bargellini. Non si sono mai sapute le ragioni del suo omicidio.»

«E due! » Esclamò Sergio.

«Achille non ha figli, per cui lascia titolo, beni e Priorato dell’Ordine dei Frati Gaudenti ad un lontano nipote, Camillo Dalla Volta, che anche lui fa una tragica fine.»

«E tre!»

«Fu decapitato nel 1589, per tradimento contro la Santa Sede. Con la morte di Camillo, sembra che si perdano le tracce dell’Ordine dei Frati Gaudenti… Il seguito alla prossima puntata!»

Sergio rimase sorpreso da quella interruzione, proprio nel momento in cui avrebbe dovuto entrare in scena “Aelia Laelia” ed il suo mistero. Il racconto di Roby era unicamente servito a dimostrare un collegamento fra l’Ordine dei Frati Gaudenti, Casaralta e la lapide, ma nulla più.

«Cosa intendi dire con il “Seguito alla prossima puntata?”»

«Fidati di me. Saprai tutto, ma a suo tempo. Ora dobbiamo andare da “Aelia” e risolverne l’enigma.»

«Allora sai dov’è finita la lapide?»

«Certamente! Come sapevo dov’eri tu. Ti ricordi che ti chiesi di farmi vedere la macchina fotografica? Era solo per applicarvi un micro-trasmettitore che mi desse in ogni istante la tua posizione. Questa mattina pensavo proprio che non saresti venuto all’appuntamento, perché l’apparecchio, fino a pochi secondi prima di vederti, mi ha segnalato staticità; solo allora ho capito ch’eri venuto all’appuntamento senza macchina fotografica. Ho fatto così anche con la lapide, quando sono andato a vederla al Museo Civico, e sono riuscito anche a posizionarne un terzo nell’auto di Conolly e Twain. Quando il tuo trasmettitore e quello dei sicari hanno segnalato la medesima posizione in via del Pratello, allora mi è diventato impellente venire ad avvertirti.»

Sergio guardò Roby fissandolo con un’espressione che sarebbe potuta sembrare astiosa, ma che in realtà era solo seria, molto seria, come se non potesse credere a quello che aveva ascoltato.

«E perché mi hai voluto mettere sotto controllo?»

«Perché non sapevo chi tu potessi essere. Il nostro incontro-scontro poteva essere anche non casuale, ma voluto da te. Dovevo controllare. Ma quando ho visto, nei giorni successivi, che continuavi a fare una vita più che normale, ho capito che non avevi nulla a che fare con tutta questa faccenda. Ma ho anche pensato che forse potevi avere bisogno d’aiuto, dal momento che eri stato in contatto con me. Ed anch’io avrei avuto bisogno di te, non nel trovare o proteggere la lapide, ma per interpretarne il contenuto e darle un senso concreto. Ho pensato, e ne sono convinto, che tu fossi adatto alle mie necessità di ricerche.»

«E, ovviamente, di quello che volevo fare io non te n’è fregato nulla. Pensavi che ti fossi utile e mi hai raccolto così, semplicemente, come un rottame trovato casualmente in mezzo alla strada e raccattato per vedere come adattarlo alle proprie necessità. Se non è idoneo, lo si ributta via. Grazie, grazie tanto!»

«Forse hai ragione tu, Sergio, ma ormai è fatta. Ricordati, però, che quando ti ho chiesto se volevi andare avanti in questa storia, tu hai detto di si. E l’hai detto convinto, non costretto.»

Sergio non poteva negare di non aver rifiutato l’invito a non proseguire in quell’impresa. Voleva sapere cosa stava accadendo e lo aveva dichiarato come un giuramento, rendendosi anche conto che gli eventi che avrebbe dovuto affrontare da quel momento in poi sarebbero proprio derivati dal fatto di sapere.

«Una cosa però me la devi dire, Roby. – gli disse Sergio come volesse cambiar discorso – Ma tu chi sei veramente?»

«Capisco, è una spiegazione che ti debbo, ma che mi ero riservato di darti in altro momento. Sono il ventisettesimo Gran Maestro dell’Ordine dei Frati Gaudenti. »

«Mi pigli per il culo? Se mi dicevi che eri il Presidente americano in incognito, mi sarebbe stato più facile crederlo. Dai, dimmi chi sei.»

«Te l’ho già detto e se non ci credi, fatti tuoi. Andiamo in laboratorio.»

«Dove!?»

«Semplicemente al piano di sopra - rispose Roby, puntando l’indice al soffitto e avviandosi verso la rampa di scale -  Seguimi.»

 

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