Capitolo 14

Camminando per Bologna

 

Erano quasi le undici del giorno dopo e nelle penombre create da un pallido sole che filtrava fra le colonne del portico, Sergio Silvani comminava avanti e indietro in via Goito nelle vicinanze di Palazzo Bocchi e rileggeva continuamente la grossa scritta latina incisa all’altezza del piano rialzato, sopra lo zoccolo in macigno della facciata, non senza chiedersi come mai questa fosse affiancata da un’altra in ebraico.

Le due scritte su Palazzo Bocchi: a sinistra quella latina a destra quella ebraica

Vi era arrivato da una decina di minuti a piedi.

Uscendo dalla casa di Marisa, posta all’angolo di via Riva Reno con via Marconi, aveva in un primo momento pensato di passare fra i tanti viottoli di quella parte del centro storico di Bologna; in quel reticolo di viuzze che caratterizzano l’area fra via Indipendenza e via Oberdan si sarebbe potuto nascondere più agevolmente e sfuggire ad eventuali pedinatori. Poi, però, aveva cambiato idea: molto meglio camminare fra la gente, perché, come aveva letto in numerosi libri e non solo gialli, la gente più era e più nascondeva. Così aveva percorso via Riva di Reno, fino alla Pioggia, via Falegnami e via Indipendenza. Non c’erano moltissimi passanti, ma a sufficienza per convincerlo di aver scelto la strada migliore per passare inosservato.

Ed ora era in via Goito ad aspettare Roby e, seppure con ansia (o forse proprio per evitare di esserne travolto e restare più tranquillo) ripensava piacevolmente a Marisa.

Prima che lui si vestisse per uscire, le aveva chiesto se avesse conservato qualche vestito dell’ex marito.

«Sai – le aveva spiegato – meglio cambiarmi per non essere riconosciuto.»

Lei l’aveva accontentato, andando in un armadio e tirando fuori alcuni abiti.

«Tieni, dovrebbero andarti bene. Non sono del mio ex, ma del mio nuovo compagno. Sarà dura spiegargli dove sono finiti…»

Sergio l’aveva guardata ammirato per la semplicità con cui stava da due giorni soddisfacendo le sue esigenze, senza alcuna curiosità, almeno espressa, per la situazione in cui si era trovato con lei e, ne era sicuro, lei con lui. Scoprì per la prima volta, dopo tanti anni, come fosse attraente. Non l’aveva mai vista sotto questo aspetto, o, meglio, non l’aveva mai voluto o potuto vederla. Una bella donna castana di mezza età, alta e slanciata, con i capelli ondulati che le accarezzavano le spalle. Occhi verdi, aperti, che sorridevano con lei, quando lei sorrideva. Si ricordò di averla sempre presa in giro per il seno che non aveva e che una volta le aveva detto che sembrava un armadio con due pomelli per maniglie. S’era offesa per l’armadio, non per i pomelli!

Ma le sorprese non finirono.

«Prendi – gli disse porgendogli un cellulare. - Se ti serve usalo pure, è dello studio e non mi costa nulla. E queste sono le chiavi di casa, se mai dovessi rientrare… Così non mi stai a svegliare alle quattro di notte.»

Lui la ringraziò, le sfiorò la guancia con un bacio e come d’abitudine prese la macchina fotografica per uscire.

«Meglio lasciarla qui. – l’avvertì lei – Quella sì che non passa inosservata.»

Era vero.

Ed ora Sergio era non lontano dal portale di palazzo Bocchi attento sia a chi aveva intorno, sia all’eventuale improvvisa apparizione di Roby, che certo non sarebbe mancata, come in effetti accadde alle undici in punto.


Piazza Verdi


Palazzo Poggi


L’Ercole nel cortile
di Palazzo Poggi

Gli andò incontro, ma lui lo incrociò disinvoltamente senza neppure guardarlo e sussurrandogli semplicemente:

«Seguimi a distanza.»

Roby s’inoltrò in via Albiroli per arrivare in via Marsala e giungere, dopo duecento metri in piazza Verdi, dove la massa degli studenti era in pieno movimento sia in mezzo alla strada che sotto i portici, oppure ammucchiata in attesa davanti agli uffici universitari. Bel nascondiglio, pensò Sergio, qui sarà difficile individuarci.

Roby entrò in Palazzo Poggi, al n. 33, e si mise a sedere in un angolo del cortile al centro del quale troneggiava un’imponente statua di Ercole. Attorno a loro numerosi gruppetti di ragazzi che parlavano animatamente, mostrandosi l’un l’altro, fogli di appunti, dispense, libri.

Sergio raggiunse Roby e gli si mise a sedere vicino.

«Finalmente ci rivediamo.» Gli disse.

«Sì. – confermò Roby – Ho avuto ragione ad avere fiducia in te. Sei stato proprio in gamba a pensare al canale Reno.»

«Canale Reno? E come fai a saperlo?» Domandò Sergio era esterrefatto.

«Questo per me non è un mistero, ma non è il momento di spiegartelo… Dobbiamo parlare d’altro.»

Sergio sbottò:

«Parlare d’altro? Facile a dirsi…»

Sergio si stava alterando. Era riuscito a stare calmo fino a quel momento per la curiosità di sapere cosa fosse tutta quella storia che lo vedeva coinvolto, ma anche perché solo con la calma era riuscito a ragionare e cavarsela. Ora invece, calandogli la tensione, si stava imbestialendo, mentre Roby taceva e lo stava ascoltando quasi per farlo sfogare.

«Parliamo invece di te. Prima mi dici che non sei venuto mai a Bologna, e invece eri qui anche anni fa. Mi dici che non hai fissa dimora e, invece, hai casa come tutti. Dici che sei qui per una tesi di laurea ed invece scopro che a te interessa solo quella maledetta lapide. Scompari da un momento all’altro ed ora sei ricercato dalla Polizia. Ma non me ne potrebbe fregare niente di tutti questi casini! È che ora c’è chi vuole ammazzare me, e tu mi vieni a dire “parliamo d’altro”? Ma chi sei tu, americano del cazzo?»

«Non potevo fidarmi di nessuno, tanto più di uno che s’imbatte improvvisamente in me e comincia ad interessarsi di me. Sono stato costretto a raccontarti qualche balla. Non avrei voluto coinvolgerti, ma è capitato e allora ho cercato di proteggerti. Chi sono? Un ricercato dalla polizia, ma soprattutto dagli stessi che l’altra notte hanno cercato d’ucciderti.»

Sergio estrasse dalla giacca la foto dei suoi inseguitori e gliela mostrò:

«Chi sono questi?» chiese.

Roby sembrò non guardare la foto.

«Gli stessi che cercano me. Seguendoti, pensavano di trovarmi… Ma ero io a seguire loro ed è per questo che ti ho potuto avvertire al pub. Se ti interessa, sono americani anche loro e si chiamano Red Conolly e Willy Twain.»

«Perché hai rubato la lapide?

«Non sono stato io! Se avessi potuto, l’avrei anche fatto, ma mi hanno preceduto. »

«Sono stati quei due?»

«Fanno parte dell’organizzazione, ma hanno altre mansioni.»


Le due Torri


Palazzo degli Strazzaroli

«Un’organizzazione per rubare una cosa inutile come una lapide? Ma andiamo, a chi lo vuoi far credere!»

Roby si alzo.

«Andiamo… siamo stati fermi anche troppo. Seguimi.»

Sergio seguì l’americano mentre si allontanava con passo spedito ma controllato per il loggiato di palazzo Poggi. Uscì di nuovo in via Zamboni e la percorse tutta fin sotto le Due Torri, fra un incredibile formicolio di studenti che ora erano ulteriormente aumentati di numero. Entrò nella libreria Feltrinelli, a piano terra del quattrocentesco Palazzo degli Strazzaroli. Dentro si camminava a malapena per la ressa e, inoltrandosi fra le scansie, Roby si fermò nel reparto “Geografia”, dove prese un libro a caso, mettendosi a consultarlo.

Sergio a due passi da lui fece altrettanto. Gli capitò fra le mano un atlante e sfogliandolo con finto interesse, sussurrò:

«Adesso mi dici tutto!»

«Non posso dirti nulla. Sarebbe troppo pericoloso per te!»

«Pericoloso per me?… Tu scherzi! Cosa mi può capitare di peggio di quello che m’è capitato l’altra notte?»

Lui, sfogliando un libro sulla Tanzania, attese qualche secondo prima di rispondere.

«Il vero bersaglio sono io, ma se tu mi stai lontano e non sai nulla, per te non ci dovrebbero essere più pericoli, almeno se riesco a compiere la mia missione; se invece vieni a sapere tutto quello che io so, allora anche tu ne vieni coinvolto in prima persona e non ti liberi più di loro.»

«Loro chi?»

«E’ proprio questo che non devi sapere…»

Sergio tacque e ripensò a quello che gli stava capitando: aveva lì a fianco un americano che conosceva tutto di Bologna, che era a Bologna per saperne ancora di più e che a Bologna, chissà per quale misteriosa ragione, era minacciato da gente chissà da dove venuta e da chi inviata. E tutto questo si era riversato improvvisamente anche sulla sua vita. Gli sembrava roba da film o da romanzo giallo, dove per altro c’è sempre qualcuno che non c’entra nulla nella vicenda e che ne viene coinvolto, risultando poi e molto spesso il personaggio centrale per risolvere ogni problema. Sì, la situazione più che incuriosirlo, cominciava quasi a piacergli anche perché si stava sbollendo la rabbia che lo aveva fatto esplodere dentro e contro Roby. Sentiva ancora, è vero, negli orecchi lo spaventoso sibilo dei proiettili dentro il canale dove aveva trovato scampo, ma questi tremendi rumori stavano lentamente attenuandosi… Strana sensazione, questa per Sergio: da un lato l’assoluta voglia di non trovarsi più in circostanze così micidiali, dall’altro, la soddisfazione, anzi l’orgoglio, di esserne uscito vivo con le sole sue forze e, perché no?, grazie ad una improvvisa ed imprevedibile intuizione. Provava sia la paura dell’avventura che la bramosia di proseguirla. E la scelta fra paura o bramosia dipendeva semplicemente dal fatto di conoscere o no il perché dell’una o dell’altra.

Scelse.

«Non m’importa nulla di quello che potrà capitarmi. Voglio sapere!»

«Come vuoi, ma voglio ribadirti che dal momento in cui saprai non avrai scampo. L’avventura dell’altra notte è solo un assaggio di ciò che ti potrebbe capitare e non è detto che vi sia sempre a portata di mano un canale…»

«Questo l’ho capito, ma ho anche capito che… ― s’interruppe scotendo forte la testa, come per scacciare ogni altro dubbio, poi sbottò con impazienza ― Più parlo e più non capisco ed io voglio capire. Dimmi tutto e poi, sarà quel che sarà.»


via Rizzoli


Piazza Maggiore

Allora Roby, gli indicò una pagina del suo libro sulla Tanzania, e Sergio vi allungò l’occhio consapevole che la Tanzania non c’entrava nulla con i loro discorsi. Tutta la sua attenzione era riservata a quello che l’amico gli stava per dire. L’espressione del viso di Roby sembrò diventare nello stesso tempo sconsolata e minacciosa:

«Va bene. La storia è lunga, ci sono otto secoli in mezzo… Ci vuole del tempo. Seguimi»

Era la terza volta che Roby gli diceva “seguimi” e ciò cominciava a stancare Sergio, che si sentiva come uno scolaretto di seconda elementare costretto ad ubbidire ad una maestra di cui non capiva l’insegnamento.

Comunque obbedì.

Uscirono dalla libreria, presero per via Rizzoli, attraversarono piazza Maggiore, e giunsero fino in vicolo Santo Spirito. Fu questo l’unico momento di tutto il tragitto in cui i due si trovarono praticamente senza gente attorno, cioè nella condizione che nell’ultima ora avevano cercato di evitare.

Roby si avvicinò ad una porticina posta poco prima dello spigolo dove l’angusto viottolo piega ad angolo retto, e introdusse la chiave nella toppa.

Stava entrando nella Torre dei Catalani. Sergio lo seguì e la porta si rinchiuse dietro di loro.

 

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