Capitolo 13

“Sarai re se agisci con onestà”

 


Palazzo Re Enzo

«Domani l’altro, giovedì, alle 11 vieni là dove sarai re, se agisci con onestà.» Così gli aveva detto Roby prima di lasciarlo al suo destino.

Il “domani l’altro” era ormai solo domani, le undici era chiaro, ma il dove? Che luogo aveva voluto indicare Roby con quel «Sarai re, se agisci con onestà.» Cosa significava? Dov’era il posto dove trovarsi? Chi era quel Re?


Palazzo comunale

 


Collegio di Spagna

 


San Domenico

 


San Petronio

A Bologna il “Re” era, per antonomasia, Re Enzo e, quindi, il ritrovo poteva essere il palazzo che portava il suo nome. Ma poteva Re Enzo essere definito onesto. Era stato definito biondo, bello, poeta, ma “onesto” non gli risultava affatto. E poi, no, l’indicazione era troppo imprecisa: il palazzo che portava il suo nome era grande e, quindi troppo ampie le alternative per un eventuale “punto d’incontro”. Decisamente no, da scartare!

Altro re importante per Bologna era Carlo V, che vi fu incoronato imperatore il 24 febbraio del 1530. La sua presenza a Bologna rappresentava, forse, il fatto storico più rilevante della città da cinquecento anni a questa parte. La data era molto suggestiva perché faceva chiaro riferimento all’epoca oggetto di studio di Roby, il XVI Secolo. Ma si trattava di un imperatore e non di un re. E poi, anche se fosse stato Carlo V quel “re”, quale posto a lui riferito stava ad indicare il “punto X”. Forse Palazzo comunale, dove risedette in attesa di essere incoronato? Oppure, San Petronio, dove Papa Clemente VII gli aveva posto la corona in testa? O ancora il Collegio di Spagna, vista la nazionalità del personaggio? Forse San Domenico, dove, essendoci la ressa degli aristocratici peroranti la nomina a cavaliere dell’Impero, lui si spazientì ed urlo “Vi nomino tutti Cavalieri”…. E le aquile apparvero ovunque sugli stemmi delle nobili famiglie bolognesi. No, troppo complicato e difficile da interpretare. Anche Carlo V era da escludere.

Dal 1511, però, Bologna ne aveva avuti tantissimi di “re”, cioè tutti i papi che da quell’anno avevano assunto definitivamente la piena potestà sulla città. Che si trattasse di un Papa bolognese? Gregorio XIII (Ugo Buoncompagni), Innocenzo IX (Antonio Facchinetti), Gregorio XV (Alessandro Ludovisi), Benedetto XIV (il famoso Cardinale Lambertini, immortalato da Alfredo Testoni). Ma anche questa interpretazione del messaggio era da escludere, perché troppo difficile e indecifrabile.

Sergio scosse la testa. Accidenti a Roby! Perché non gli aveva detto chiaro e tondo dove dovevano incontrarsi? No, voleva metterlo alla prova con un altro maledetto indovinello. Non bastava “Aelia Laelia” a tormentarlo? Già, “Aelia Laelia”, la lapide in latino astrusa e priva di senso da cui aveva preso inizio tutta quella maledetta storia. Una lapide in latino… In latino? E se ci fosse un’altra lapide latina che ricordasse quel “Re”? In effetti la frase sembrava più un motto che un testo indicativo di un personaggio. Come “Aelia Laelia”, il testo originale poteva anche essere stato in latino. Pensò di tradurlo, ma era un’impresa per lui impossibile. Il latino lo aveva studiato a suo tempo, ma non aveva più le nozioni minime necessarie per tradurvi una scritta in italiano. Si ricordava soltanto che “RE” in latino era “REX”.


Palazzo Albergati


Palazzo Aldrovandi


Palazzo Bocchi

E quel “Rex” qualche cosa glielo ricordava.

L’aveva visto da qualche parte, o addirittura lo aveva fotografato. Maledisse di non essere a casa sua e di non poter indagare il suo archivio dove c’era tutto su Bologna: chiese, palazzi, monumenti, storia, personaggi, lapidi, curiosità. Bastava digitare “Rex” o anche semplicemente “Re” e la macchina avrebbe selezionato un bel po’ di roba su cui circoscrivere la sua ricerca. Ma era da Marisa e non poteva certamente tornare a casa, perché quei due ceffi – ne guardò ancora le facce che aveva stampato – erano senz’altro lì ad aspettarlo.

Gli venne voglia di parlare un po’ con qualcuno e l’unica persona contattabile senza dover lasciar tracce che l’avrebbero potuto far individuare era Marisa. Prese in mano il suo biglietto da visita e guardandolo con più attenzione notò il nome dello studio legale “Albergati Aldrovandi Bocchi”, e non potè fare a meno di pensare che quello studio legale era decisamente “bolognese”. I tre avvocati che lo componevano portavano blasoni di grandi famiglie storiche di Bologna. Come un riflesso condizionato, si rammentò degli splendidi edifici intitolati a quei cognomi: palazzo Albergati in via Saragozza, palazzo Aldrovandi in via Galliera e Palazzo Bocchi in via Goito… Fu una folgorazione! Era lì che aveva visto impresso la parola “REX” ed era lì che l’aveva fotografata: a Palazzo Bocchi.

Compose il numero di telefono dello Studio preso da un tensione quasi spasmodica, tanto che lo sbagliò due volte; al terzo tentativo rispose con voce asettica una segretaria.

«Studio legale Albergati Aldrovandi Bocchi. Sono Gina, in cosa posso esserle utile?»

«Vorrei parlare con l’Avv. Marisa Aldrovandi.»

«Chi devo dire, scusi?»

«Sono un amico. Può dire che è urgente?»

«Un attimo, prego.»


Il portale di Palazzo Bocchi

Udì il passaggio della linea, alcuni secondo di silenzio, poi la simpatica voce di Marisa:

«Tutto bene, Sergio?»

 «Sì, ciao. Senti Marisa, devi farmi un grande piacere. Tu sei in via Indipendenza, hai tempo cinque minuti per andare in via Goito?»

«Credo di sì, ho un appuntamento solo fra un’ora.»

«Sono pochi passi. C’è un palazzo, in via Goito, all’angolo, non ricordo, o di via Albiroli o di via del Fico. È un edificio inconfondibile. Non ha portico e ha la base fatta di grandi blocchi di macigno, come anche le colonne del portale.»

«Sì, mi sembra di ricordare.»

«Propria sopra i blocchi di macigno e lungo il cornicione che segue la linea delle finestre del primo piano, c’è una scritta latino a caratteri cubitali che affianca il grande portale, non so se a destra o a sinistra di esso. Dovresti vedere cosa c’è scritto e telefonarmi appena puoi. Ti dispiace?»

«Non fare lo stronzo! Certo che non mi dispiace. Vado e torno. A dopo.»

Sergio udì il clic del telefono di Marisa e anche lui depose lentamente il cordless sul tavolino davanti al divano. Non restava che aspettare e accendendosi una sigaretta, si mise a guardare l’orologio. La lancetta dei secondi sembrava ferma, gli attimi che intercorrevano fra uno scatto e l’altro gli sembravano ore. Decise di non guardare più l’orologio e di bere qualcosa che non fosse acqua o caffè. Aveva bisogno di roba forte. Nel mobiletto del bar trovò una scelta notevolissima di liquori. Scelse un brandy italiano e se lo versò. Guardò l’ora: erano trascorsi solo tre minuti. Marisa non aveva ancora raggiunto il palazzo. Si accese un’altra sigaretta e si versò altre due dita di brandy.

Finalmente suonò il telefono, ma non fece a tempo a dare il secondo squillo che Sergio aveva già la cornetta in all’orecchio.

«Sì, Marisa.»

«Allora, di scritte ce ne sono due, una in latino ed una incomprensibile…

«Lascia stare l’incomprensibile, è in ebraico. Quella in latino… quella in latino, cosa dice.»

«C’è scritto: “Rex eris aiunt si recte facies”. Se ben capisco, vuol dire… »

« “Sarai re se agirai con rettitudine”…  “con onestà”. Bingo! È palazzo Bocchi… Quando torni ti do un bacio che ti faccio svenire.»

«Per forza, con la puzza che avrai ancora addosso!»

Sergio rise per aver risolto l’enigma di Roby, ma anche la battuta di Marisa non era affatto male. Era davvero felice.

«Farò un altro paio di docce prima che tu arrivi a casa.»

Ed in effetti le fece.

Alle otto Marisa tornò. Sergio notò subito che la curiosità della donna era al culmine: lo salutò frettolosamente, si tolse il soprabito abbandonandolo scompostamente sul divano, gli depose vicino la borsa, e stette dritta in mezzo alla sala in silenzio, come a dire “avanti, racconta”. Ma lui ignorò del tutto il suo chiaro atteggiamento d’attesa di venire a conoscenza, se non di tutto, almeno di qualche chiarimento sulla sua misteriosa presenza in quella casa:

«Come promesso – le disse – ho fatto la doccia. Ma non solo, ho preparato anche la cena!»

«Che bellezza… - la voce di Marisa era freddamente ironica – E poi?»

«Poi… cosa c’è in televisione?»

«Sergio, va fa’ in culo!»

 

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