Capitolo 12 |
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Un’amica bolognese
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Suonò la sveglia o almeno, così parve a Marisa, che era nel momento più profondo del suo sonno. Si girò di scatto e, allungando ad occhi chiusi la mano fuori dalle coperte, premette velocemente il bottone d’arresto. Poi si girò sull’altro fianco e cercò di riaddormentarsi. Un altro squillo. Marisa imprecò assonnata. Si girò di nuovo e tristemente assonnata guardò l’ora: le quattro e trenta. Come mai la sveglia aveva suonato nel bel mezzo della notte, invece delle otto, come lei l’aveva puntata? Un altro squillo. Non era la sveglia, era il campanello della porta. E chi era a quell’ora? Aspettò, sperando che chi lo stava premendo si stancasse di farlo. Un altro squillo ancora. Si alzò da letto e andò al citofono. «Chi è?» «Marisa, sono Sergio. Scusa l’ora, ma ho bisogno di te.» Sergio? Che voleva Sergio da lei alle quattro del mattino? Diede il tiro e attese alla porta guardando lo spioncino. Quando lo vide apparire sul pianerottolo, aprì. «Ma come sei ridotto?» Esclamò non appena ebbe l’intera visione dell’uomo: era completamente infangato e puzzava come un water intasato da giorni. «Scusami se sono venuto da te a quest’ora. Ma ho bisogno di aiuto.» «Più di tutto, hai bisogno di una bella doccia… Entra a vattela a fare. T’accompagno… ma non ti aiuto di certo a farla.» Sergio e Marisa si conoscevano fin da bambini, da quando le loro famiglie andavano in ferie al mare nella stessa località e nello stesso periodo; a Bologna, avevano frequentato scuole ed università diverse, ma per anni avevano fatto compagnia nello stesso gruppo. Erano sempre stati insieme, pur non essendo mai “stati insieme”. Semplicemente e stranamente amici per due persone di sesso diverso e che si volevano bene. Poi le loro strade si erano divise; matrimoni, lavori, esistenze lontane, interessi comuni dimenticati. Si erano incontrati solo alcuni mesi prima al Circolo del Bridge, dove Marisa si era iscritta al corso principianti per imparare quel gioco. Incontrò Sergio dopo la prima lezione e fecero le ore piccole per raccontarsi le loro storie, quelle note, quando si frequentavano da amici (giochi, scherzi, innamoramenti, amici, ritrovi) e quelle nuove, dopo che non si erano più visti (matrimoni, divorzi, hobby, lavoro). Così, ogni volta che c’era il corso di bridge, due sere alla settimana, la chiacchierata si ripeteva e l’antica amicizia tornava a rinverdire e a rinsaldarsi. Dopo la doccia si accomodarono nel tinello, lui ancora avvolto nell’accappatoio, un po’ piccolo, ma sufficiente. «Allora? Raccontami.» Gli disse Marisa, porgendogli un caffè fumante e ponendo sul tavolo una bottiglia di minerale e due bicchieri. «Riesci a trattenere per alcuni giorni la tua curiosità?» «Credo proprio di no.» «Posso dirti che ho bisogno di nascondermi da tutto e da tutti per almeno due giorni. Ho pensato a te, ma forse sono già pentito.» «Perché sono curiosa?» «Sciocchezze. Chi non lo sarebbe stato se mi fossi presentato come ho fatto io con te stanotte? No, non è per questo…» Lei cambiò discorso. «Va bene l’acqua, o vuoi qualcosa di forte? Ho anche della vodka. So che ti piace.» «No, vodka proprio no! Ti racconterò poi. Posso usare il tuo computer?» «È di là in sala. Se poi vuoi anche riposare, puoi usare il divano.» Sergio si alzò e prese in mano la sua macchina fotografica. Chiese uno straccio e la ripulì. Non sapeva se dopo il bagno nel canale avrebbe ancora funzionato, ma almeno la scheda memoria era garantita anche contro l’acqua. Quando la estrasse la vide pulita e asciutta. «Tutto bene?» Gli chiese Marisa. «Sì! Credo proprio di sì.» Si volse per andare in sala dov’era il computer, lei rimase seduta. Sergio si rigirò e la guardò. «Se ti può tranquillizzare non sono ricercato dalla polizia…» «Non c’era certo bisogno di dirmelo, anzi, così mi aumenti la curiosità.» «Marisa, è molto importante che tu non sappia cosa mi è accaduto e, soprattutto, che nessuno sappia che sono qui da te.» «Va bene, sarò una tomba!»
Sergio andò in sala, vide il computer, ma si avvicinò alla finestra e scostò la tenda. Voleva provare il funzionamento della macchina. Era all’ottavo piano di uno dei pochi palazzi moderni posti al centro di Bologna e si cominciavano a notare i primi bagliori di un’aurora nascente che accarezzavano i tetti rossi della città, le sue antiche torri e i suoi cento e più campanili. Prese la macchina fotografica e scattò sul panorama che stava guardando. In quel momento si sentì improvvisamente stanco e si sdraiò sul divano. Quando Marisa entrò nella sala, credendo di trovarlo alla consolle del computer, vide Sergio addormentato e scotendo la testa, sorrise. Andò in un armadio, prese una coperta e gliela stese sopra. Quante ne avevano combinate insieme a vent’anni! Che fosse anche questo uno degli scherzi di una volta? Il suo viso smise di sorridere. No, Sergio era troppo serio, mentre gli raccomandava di non dire nulla a nessuno. E, poi, che tipo di scherzo poteva essere quello? Tornò a letto ma si armò del libro posato sul tavolino della sala e che da settimane era lì con un cartoncino infilato nella pagina in cui era arrivata a leggere. Non avrebbe dormito in quelle tre ore che mancavano alla sveglia, tanto valeva continuare con quel “Codice da Vinci” che evidentemente non l’aveva tanto entusiasmata, se si era dimenticata per così tanto tempo di riprenderne la lettura. Quando Sergio s’alzò, vide che erano le 11 di mattina. Sul tavolino accanto al divano sotto l’orologio, era posto in bella vista un bigliettino scritto a mano: “Uomo del mistero, Marisa, la muta.” P.S. Ti lascio i miei recapiti, se mai avessi bisogno di contattarmi. Appuntato al foglio c’era il biglietto da visita di Marisa: Avv. MARISA ALDROVANDI Già, Marisa era un avvocato e, stando a quanto gli avevano detto alcuni amici comuni, un penalista molto rinomato e bravo. Pensò che forse avrebbe potuto anche accennarle alla sua situazione, ma ripensandoci, aveva fatto bene a tacere. Non voleva coinvolgere nessuno, né tanto meno un’amica, in una situazione che si era già rivelata tanto pericolosa e che rischiava di esserlo ancora di più. Letto il foglietto, Sergio si sentì molto soddisfatto: il rifugio che aveva scelto era senza alcun dubbio il posto migliore dove nascondersi: difficile collegare lui a Marisa e quindi individuare dove poterlo trovare. Con questo pensiero andò in cucina, si gustò un’abbondante e piacevolissima colazione e si fumò una sigaretta; era sporca, stopposa, ma non male. Poi tornò in bagno, ed esaminò la situazione degli oggetti che aveva addosso al momento della nuotata. Provò il cellulare pigiandone i tasti, ma risultò del tutto inservibile, poco male, nella sua situazione non l’avrebbe mai usata essendo una strumento utile solo per farlo rintracciare. Il portafoglio era intriso di fanghiglia ormai secca e le carte che c’erano dentro erano state sufficientemente salvaguardate dal loro contenitore. L’accendino, da buttare; le chiavi non potevano aver subito danni. Restava da verificare la macchina fotografica; le tolse la scheda memoria che inserì nel computer dopo averlo acceso. Le tre foto che aveva scattato la notte prima erano tutte riuscite: il gruppo di ragazzi, il primo piano della festeggiata e il panorama di Bologna. Anche la macchina era a posto. Assorbì la foto del primo piano della ragazza in Paint-Shop-Pro e ingrandì le due facce degli inseguitori riflesse nello specchio. Sembravano normalissimi clienti che si gustavano disinvolti la consumazione. Forse troppo disinvolti, ma poteva essere una sua impressione. Stampò l’ingrandimento, poi tornò al divano e vi si adagiò comodamente a pensare. Era stato calmo, aveva seminato i due suoi inseguitori, non aveva parlato con nessuno, nemmeno con la polizia, e aveva trovato un nascondiglio sicuro. Roby poteva stare tranquillo, i suoi primi ordini erano stati tutti eseguiti. Ora occorreva affrontare l’ultimo: «Domani l’altro. Giovedì alle 11 vieni là dove sarai re, se agisci con onestà.».
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