Capitolo 11 |
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Il Canale Reno
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Entrato a tutto gas nel giardino dei Vigili del Fuoco, lungo via Sacco e Vanzetti, e salito sulle aiuole, Sergio si lanciò sulla destra verso il canale zigzagando per evitare le poche panchine qua e là disseminate. Dalla macchina, ormai vicinissima, si udirono alcuni spari, che non andarono a segno, oppure semplicemente intimidatori. Giunto al recinto di legno, scese al volo dal motorino, e saltò la staccionata. Qui, dove l’acqua dall’alveo che scorre all’aperto s’interra sotto la città, è stata posta una robusta grata di ferro inclinata, che serve da filtro per trattenere cespugli, detriti, e tronchi trasportati dalla corrente; Sergio ne era a conoscenza, ma sapeva anche che le sue maglie erano sufficientemente larghe per far passare un uomo e quindi s’infilò agevolmente fra di esse per tuffarsi nel canale dove scomparire nuotando sott’acqua. Quando riemerse avevo passato la grata di una ventina di metri ed era nel buio pressoché totale, soffocato dall’odore nauseabondo ed oppresso dall’umidità viscosa ed infetta. L’acqua, se così si poteva chiamare, gli arrivava fin sopra la cintola e la sentiva densa, pesante, appiccicosa e soprattutto sporca, com’è d’altra parte ovvio, trattandosi in definitiva di una cloaca. L’unico barlume di luce era l’opaco riverbero esterno della notte che s’inquadrava fra le nere maglie della grata. Fuori, i suoi inseguitori erano certamente scesi dalla loro auto per vedere dov’era finito, magari esaminando con pile le acque del canale per trovarne tracce. Avevano sparato più o meno a caso nell’acqua, nel tentativo di colpirlo pur non vedendolo. Camminando all’indietro per allontanarsi dall’imbocco del tunnel e vedere cosa succedeva in quel sempre più lontano spiraglio di luce, notò due sagome in movimento dietro la grata ed istintivamente si buttò di nuovo sottacqua. Certamente i suoi inseguitori non l’avrebbero potuto vedere, così immerso nel buio, ma avrebbero potuto benissimo sparare di nuovo a casaccio per provare comunque a colpirlo o a intimorirlo. Decise quindi di proseguire immergendosi, nuotando sotto la superficie e riemergendo solo per respirare e così fece, fino a quando l’entrata del canale non scomparve definitivamente dalla sua vista. Poi cominciò a camminare, quasi arrancando e lentamente, seguendo la leggera corrente dell’acqua che sia avviava verso la città. Avrebbe voluto fare in fretta, ma ne era fisicamente impedito dalla situazione e, poi, non c’era la necessità di correre: dubitava infatti che i suoi inseguitori avessero presa la sua strada, perché avrebbe senz’altro visto le luci delle pile che avrebbero dovuto usare per vedere dove si inoltravano e per rintracciarlo; se invece erano rimasti fuori, allora poteva andare avanti come poteva e senza eccessiva fatica. Comminando semisommerso nell’acqua ed in un tunnel largo ed alto qualche metro, Sergio stava andando verso la “Grada”, il monumento che aveva fotografato alcuni giorni prima e che aveva ben impresso nella memoria in tutti i suoi particolari. Per raggiungerla, doveva percorrere più di un chilometro nel buio più assoluto, in un silenzio tombale, con un’aria umida e pesante che rendeva difficile anche il solo respirare. Alla “Grada” il canale riemerge per un tratto di circa cinquanta metri, prima di rinterrarsi e scomparire definitivamente sotto Bologna. Era in quel breve tratto scoperto che Sergio contava di uscire e raggiungere la terra ferma, perché in quel punto c’erano tre invasi scoperti: il primo “extramura”, dove s’innalzava il Torrione con la grata che dava il nome alla zona; il secondo, “intramura”, subito dopo il torrione; e il terzo, dentro un antico stabilimento, nascosta da un alto riparo in mattoni che impediva l’accesso ai “non addetti ai lavori”.
Dopo quasi un’ora di cammino in quella specie di stretta palude, gli apparve in fondo un lieve riverbero di luce. Era lo sbocco nel primo invaso, dove sapeva di poter uscire agevolmente dal canale, arrampicandosi sul muro dell’argine grazie proprio alla grata, utile come scala per salire. Ma lì, sarebbe stato completamente all’aperto e illuminato dai lampioni di Viale Vicini. Se i suoi inseguitori conoscevano Bologna, non c’era dubbio che l’avrebbero atteso lì, allo scoperto, visibilissimo e impotente.
Il secondo invaso, che si raggiungeva dal primo passando sotto l’arco-ponte che sosteneva il torrione, era assolutamente da escludere, non solo perché era nelle stesse condizioni del precedente, scoperto ed illuminato, ma non aveva alcun appiglio per superare gli alti argini di contenimento completamente lisci e senza alcun sporgenza utile ad arrampicarsi. Restava l’opificio in cui era entrato giorni prima per scattare le foto destinate al suo editore. Il posto era perfetto. Da fuori l’invaso era completamente invisibile e protetto da un alto muro che lo riparava da qualsivoglia luce esterna. Lì si poteva tranquillamente uscire dal canale, essendoci lateralmente dei camminamenti a ridosso d’acqua, su cui si poteva salire senza alcun sforzo. Per scavalcare, poi, il muro di recinzione, c’erano le famose assi il cui uso Sergio aveva già sperimentato nella precedente visita professionale.
L’ultima fatica, quindi era quella di immergersi all’entrata del primo invaso e nuotare sottacqua fino a raggiungere l’interno dell’opificio. Una quarantina di metri… Ce l’avrebbe dovuta fare, ma se capiva di avere delle difficoltà, poteva riemergere un attimo per respirare protetto da uno dei due archi-ponti che dividevano i tre invasi. Tutto funzionò alla perfezione. Nuotò sott’acqua partendo da alcuni metri prima dello sbocco del canale, passò sotto l’arco di sostegno del torrione, attraversò il secondo invaso e, quando fu sotto via Calori dov’era l’altro arco riemerse per respirare. A pochi metri da lui l’invaso dell’Opificio lo accolse con la protezione dei suoi muri che lo isolavano dall’esterno. Stette diversi minuti in attesa di sentire qualche voce o segno di vita all’esterno e guardò anche dalle due piccole finestre intagliate ad altezza d’uomo nel muro di cinta e che permetteva un lieve ma sufficiente panoramica della strada. Nessuno. Attese ancora una mezz’oretta, poi decise di uscire salendo sul camminamento laterale ed utilizzando le assi per scavalcare il muro, proprio come aveva fatto giorni addietro dopo il servizio fotografico alla Grada. Benedisse il suo editore di averglielo commissionato. Erano le quattro di notte quando Sergio fu completamente fuori sulla strettoia che dà inizio a via della Grada, infangato, puzzolente, sfinito dalla fatica, ma salvo ed orgoglioso di se. Aveva obbedito alla perfezione alla prima delle due raccomandazioni, o ordini che fossero, di Roby: “Ora devi seminarli…”. C’era riuscito e almeno per il momento era salvo; restava la seconda parte: “Trova un posto sicuro dove nasconderti”. Sì ma dove?
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