Capitolo 10

In Via del Pratello

 

  
Via del Pratello e l’antica casa del XIII Secolo

Via del Pratello non ha nulla a che vedere con i “prati”. Il suo nome anticamente stava ad indicare che lì erano localizzati degli alberi di pere che ovviamente non ci sono più.

La via è lunga e stretta e risulta esistente da ben nove secoli nella toponomastica di Bologna. Ne è testimonianza una casa, per altro non indicata nelle guide, che ha ancora molte caratteristiche degli edifici piccoli borghesi del 1200 o, al massimo, del secolo successivo. Fino a metà del Novecento qui c’era un povero borgo destinato a gente povera e disperata, dedita o ad espedienti per sopravvivere o a umilissimi lavori. “Nel Pratello – si diceva – si nascondono i ladri e si coltivano fagioli”. Forse fu anche per questo che lì sorse il carcere minorile, detto anche oggi “i discoli”, che si realizzò espropriando i frati dal convento dei Santi Ludovico e Alessio.


Il campanile dei S.S Ludovico e Alessio

Il Carcere c’è ancora, ma dagli anni Sessanta un indovinato intervento urbanistico, portato avanti non si sa se dalla pubblica amministrazione, o dall’inventiva dei suoi abitanti, rivalutò la strada, che si trasformò in un movimentato centro di divertimento serale, con piccoli ristoranti, pub, osterie e bar.

Quella notte Sergio andò “nel Pratello” e anche se aveva voglia di guidare l’auto, cosa che non faceva da settimane, inforcò il motorino, perché a quell’ora non sarebbe stato facile trovare parcheggio in zona. Così, potè giungere comodamente in via Pietralata, a pochi passi dal locale che aveva scelto per passare alcune ore e dimenticare la lapide.

Se fosse stato in compagnia non avrebbe neppure tentato di entrare nel Pub del “Vecchio Merdo” (nome che derivava dalla trasformazione del nome della precedente osteria “Da Medardo”), Ma era solo e almeno uno sgabello libero al banco lo avrebbe trovato, se non subito, almeno non appena il suo occupante avesse individuato un partner (o una partner) con cui proseguire la notte. La sua previsione si rivelò esatta e quasi subito potè ordinare seduto al banco la sua doppia vodka fredda con molto ghiaccio.

Al pub del “Vecchio Merdo”, Sergio si stava davvero godendo quell’uscita notturna improvvisata. Non gli sembrava neppure di essere solo, ma era come stare fra tanti amici e di partecipare alla gioia che zampillava fra le mille risate o gridolini di entusiasmo provenienti dai gruppi di giovani ammassati attorno ai tavolini. Si era dimenticato finalmente di “Aelia Lelia” ed era sereno, pur se frastornato dalla musica strampalata diffusa da una serie di potenti casse sparse in ogni angolo (“Ed io che ho l’abbonamento alla stagione lirica del Comunale!”) e con gli occhi arrossati dalla cappa di fumo delle sigarette (“Che succederà in questo locale se passa la legge contro il fumo?”). Ma era anche affascinato da ragazzine e ragazzotte agghindate in mille modi e mille colori, ma tutte canonicamente col pancino nudo a mostrare l’ombelico (“Preferivo intravedere le tette, come quando ero giovane io!”), ed era pure piacevolmente alterato dalla terza vodka beatamente sorseggiata al banco (“Di solito me non occorrono cinque per ridurmi in questo stato!”),

«Ciao, nonno!» Gli disse, passandogli accanto, una “teen-ager” che poi scoppiò in un allegra risata condivisa dal compagno che teneva stretto alla vita.

«Ciao, nipotina! Com’è andata all’asilo, oggi?» Le rispose Sergio prontamente, affatto offeso dell’epiteto che gli posticipava l’età di quasi una generazione.

«Meglio che al ricovero!»

«Hai d’accendere?» Gli domandò un altro tipetto attorno ai sedici anni con una capigliatura crespa, tutta impomatata, e con dei pantaloni di sei misure più grandi.

«Lo sa papà che fumi?» Gli disse accendendogli la sigaretta che probabilmente si era fatta da solo con cartina e tabacco.

«Cosa vuoi che sappia il vecchio!»

Così, fra questi brevi intercalari Sergio stava passando il tempo (e dimenticandosi di “Aelia Laelia”), guardandosi intorno divertito e senza accorgersi che, dietro il bancone su cui stava appoggiato da quasi un ora, il gestore del pub dava segni di impazienza per vedere occupato un posto per tanto tempo e per solo tre vodke.

«Fammi un caffè.» gli disse, come volesse lenirne la silenziosa lagnanza. Attese la tazzina in cui avrebbe poi versato qualche goccia della vodka rimastagli nel bicchiere.

Udì una voce sommessa dietro di lui:

«Non voltarti, Sergio… e sta fermo sullo sgabello come hai fatto fino ad ora.»

Il suo primo impulso fu proprio di girarsi per vedere chi gli stava parlando, e se per caso fosse un altro giovincello che voleva fare lo spiritoso con lui. Ma si trattenne e restò fermo, come nulla fosse, perché quella flebile voce, pur non essendo minacciosa, aveva tuttavia un tono intimidatorio a cui non si poteva che obbedire. Non l’aveva mai provato, ma era come se gli avessero puntato improvvisamente alla schiena una pistola.

«Continua a non girarti e non parlare, mi raccomando!»

Pur se alterato e forzatamente tenuto basso, quel nuovo richiamo aveva un che di familiare e ciò sembrò rassicurare Sergio. Quella che gli era sembrata una intimidazione, era ora diventata un semplice richiamo, addirittura persuasivo. Le mani, però ebbero un breve reazione di tremore e la voglia di muoversi divenne quasi irresistibile. Per calmarsi, o per nascondere quella reazione che la voce gli aveva ordinato di non avere, cercò nel giubbotto le sigarette e l’accendino. Fu aiutato proprio in quel momento dall’oste che gli pose sul banco il caffè. Coi movimenti che fece per stracciare la bustina dello zucchero, versarlo nella tazzina e rimescolare, riuscì meglio a nascondere il proprio intimo nervosismo.

«Bene Sergio, continua così. Bevi il caffè, non girarti e non parlare. Sono Roby.»

A sentire quel nome, il tintinnio del cucchiaino nella tazzina si fece più forte ed agitato, ma null’altro avrebbe potuto rivelare la sua tensione. La voce dietro a Sergio divenne un vero e proprio sussurro, ma era distinguibilissima e precisa.

«Sergio, sei in pericolo… Sta fermo, non agitarti… Se riesci a guardare davanti a te senza che nessuno se ne accorga, vedrai alla tua destra, due uomini non giovanissimi ad un tavolo. Sono lì per te! Non so cosa vogliano da te, ma non hanno buone intenzioni. Sta calmo… Ora devi seminarli e trovare un posto sicuro dove nasconderti.»

Sergio trasecolò. Gli sembrò di non essere in quel pub, ma a letto addormentato e che tutto ciò che lo circondava, musica, voce di Roby, chiasso, vodka, luci e, soprattutto, gli esseri invisibili e minacciosi che aveva intravisto, fossero un incubo notturno che gli veniva improvvisamente a far visita. La voglia di girarsi era tanta, ma ben minore di quella di porre domande al suo invisibile interlocutore, ma come accade quando dormendo si ha un incubo, non riusciva ad aprire bocca.

Roby continuò nelle sue istruzioni.

«Devi star calmo! Solo così ti puoi salvare. Pensa come fare a fuggire e dove andare a nasconderti. Qualsiasi altra cosa tu faccia da adesso diventa per te vitale. Pensa a come fare. Se hai capito bene quello che ti sto dicendo, bevi un goccio di vodka.»

Sergio eseguì cercando di frenare il tremore della mano mentre prendeva il bicchiere per portarselo alla bocca. Fuggire e nascondersi?... Ma perché? Come se avesse sentito quel pensiero, Roby sembrò rispondergli.

«”Aelia Laelia” ti sta cercando. Sai ormai troppe cose sul suo segreto e sei pericoloso per chi non vuole che sia svelato.»

«Io so molte cose di “Aelia Laelia”? » Si domandò Sergio, quasi continuando un dialogo che lo vedeva però silenzioso e senza possibilità di replica. Questa volta la sua domanda non ebbe risposta.

«Sergio, ora ti lascio. Resta tranquillo e pensa a un piano per svanire nel nulla. Non avvertire nessuno, non lasciare tracce, non chiamare la polizia. La tua vita è solo in mano tua. Arrangiati, come mi sono arrangiato io, quando sono dovuto scomparire. So che ce la farai! Domani l’altro, giovedì, alle 11 vieni là dove “Sarai re, se agisci con onestà”…»

Come era venuta dal nulla, così la voce si zittì all’improvviso e ritornò nel nulla

Girando lentamente gli occhi, Sergio individuò nuovamente i due uomini che avrebbero dovuto rappresentare la minaccia da evitare e notò che non erano lontano dall’uscita del locale. Quando sarebbe uscito era agevole per loro alzarsi e seguirlo. Aveva la fortuna di avere messo il motorino a pochi metri dal pub, ma occorreva aprire la grossa catena e ciò richiedeva del tempo. Che sarebbe successo mentre infilava la chiave per girare il lucchetto e liberarlo? Si maledì anche per non aver fatto rivedere l’accensione del motorino che, spesso, faceva cilecca. Se avesse almeno ripulito la candela, cosa che si era ripromesso di fare già da giorni, avrebbe risparmiato altro tempo! E poi? Se anche fosse riuscito a far partire il motore, cos’avrebbe fatto poi? Oddio, finché era in via del Pratello o in via Pietralata, problemi non dovevano essercene: con tutta la gente che c’era era molto difficile che quei due uomini potessero agire, sia che lo volessero rapire, sia che… No! Doveva evitare di pensare che fossero killer e che mirassero alla sua persona. L’avrebbero dovuto rapire, questo doveva mettersi in testa e su questo doveva pensare, se no, addio calma, addio piano di fuga, addio speranza di salvarsi.

«Vuol fare una foto a me ed ai miei amici?»

Uno dei ragazzi si era avvicinato a Sergio e gli indicava la macchina fotografica che aveva appesa al collo. Si era dimenticato che ce l’aveva addosso. Prenderla, quando usciva di casa, era un atto meccanico che aveva ripetuto anche quella sera, pur non avendone la necessità.

«Sa - proseguì il ragazzo – è il compleanno della mia ragazza e nessuno ha pensato di portarsi dietro la macchina per fotografare. Abbiamo usato i telefonini, ma cosa vuole, per un bel gruppo sono molto limitati. Lei è un fotografo?»

Sergio lo guardò e soppesò meglio la richiesta del ragazzo. Il suo piano prese forma.

«Non professionista. Una foto ve la faccio volentieri. Perché non venite qui tutti al banco, sarà molto più ambientata. Un gruppo attorno al tavolo non viene quasi mai bene.»

Il ragazzo si girò e chiamò gli amici:

«È fatta, il nonno ci sta. Venite tutti qui.»

Mai come in quel momento la parola “nonno” fece così piacere a Sergio, tanto più che girando gli occhi, aveva notato un certo sguardo di sorpresa nei due uomini che lo controllavano, quasi avessero subito un improvviso ed imprevisto aumento di tensione. Sembravano due cani da caccia che si fossero messi in punta per meglio odorare cosa stesse facendo la loro preda in mezzo a un  canneto.

Sergio si alzò, mentre una quindicina di ragazzi si appoggiarono tutti al bancone dove prima lui era seduto. Lo sgabello liberato fu occupata dalla ragazza festeggiata e tutti gli altri si misero in posizione, alla ricerca di smorfie e atteggiamenti astrusi, per rendere la foto più comica che celebrativa. Sergio si allontanò e, indietreggiando, si posizionò quasi a sfiorare il tavolino dov’erano seduti i suoi due nemici. L’aveva fatto apposta, quasi volesse testare la loro reazione.

Scattò la foto, poi, si riavvicinò ai ragazzi.

«E adesso, un primo piano alla festeggiata, mentre brinda ai suoi… quanti anni hai?»

«Sedici, domani!»

«Complimenti, sei bellissima! Bel culo che ha avuto il tuo ragazzo!»

«Glielo dico sempre anch’io, ma lui non n’è convinto.»

«Anche lei, però ne ha avuto con me, di culo!»

Era il ragazzo della festeggiata che era intervenuto per difendersi e tutti risero.

Sergio sembrava divertirsi di quella situazione e rideva anche lui, come fosse tornato giovane. In realtà era molto teso. Durante la prima foto, aveva notato, sullo specchio che stava dietro al bancone, il riflesso distinto dei due “suoi” uomini e voleva fotografare più loro che la ragazza. Forse queste improvvisate “foto segnaletiche” gli sarebbero tornate utili, se riusciva a liberarsi di loro.

«Ed ora un bel primo piano alla Festeggiata!» disse alla ragazzina che compiva gli anni.

Lei non ci pensò due volte a mettersi in posa sullo sgabello appoggiandosi sensualmente al bancone. Sergio scattò disinvoltamente l’istantanea. Se era stato bravo, la foto avrebbe riportato a sinistra il viso sorridente della ragazza e, a destra, riflessi nella specchiera, quelli imperscrutabili dei suoi presunti rapitori.

I ragazzi ritornarono al tavolo e lui, avvicinandosi alla cassa del pub chiese quanto doveva per tre vodke ed un caffè e pagò. Poi si avviò verso l’uscita, notando che uno dei due uomini si stava alzando dal tavolino.

Passando davanti ai ragazzi si avvicinò e porse loro il suo biglietto da visita.

«Fra qualche giorno, le foto sono pronte. Telefonatemi. È tutto gratis!»

Un “evviva al nonno” detto quasi in coro fu la risposta del gruppo. La festeggiata si staccò e avvicinandosi a Sergio gli diede un bacio sulla guancia sussurrandogli maliziosamente:

«Grazie… Fossero così, tutti i vecchi!»

«E allora – esultò lui – una bella foto davanti al pub, per ricordarsi meglio della serata.»

Tutti i ragazzi entusiasti si alzarono dalle loro sedie con gran frastuono, seguendo in gruppo il fotografo che usciva. Si formò così una vera e propria barriera di protezione che impedì ai due inseguitori di passare. Sergiò urlo ai ragazzi di fermarsi sulla soglia dell’uscita dal pub e di mettersi in posa, mentre lui andava a prendere un altro obiettivo.

Corse al motorino con la chiave del lucchetto in mano: fu fulmineo nell’infilarla e nello staccare la catena buttandola lontano. Mise in moto e, questa volta il motore non lo tradì; al primo colpo d’avviamento fece sentire in suo rombo, come sempre fracassone ma che a Sergio parve una sinfonia rossiniana. Era già a cavallo del motorino e con una sterzata secca si buttò a tutto gas e contro mano per via del Pratello, guardandosi indietro per vedere se i suoi inseguitori avevano superato la barriera dei ragazzi. Non notò nulla, né avrebbe potuto vederli, ma non si entusiasmò del momentaneo successo, perché sapeva che la fuga era appena iniziata.

Per il momento, comunque, ce l’aveva fatta ed immaginò che Roby lo avesse visto e che stesse dicendogli “bravo, è così che si fa… ma continua a star calmo”. Intanto pensava a dove rifugiarsi, di certo, non sarebbe andato a casa. Roby gli aveva detto di trovare un “posto sicuro” e casa sua non poteva più esserlo.

Doveva capire se i suoi inseguitori erano rimasti impantanati in via del Pratello e se quindi li aveva già “seminati”. La stretta strada alternava angusti portici e brevi tratti di marciapiedi scoperti ed era piena di giovani, che camminavano in gruppo, che sostavano seduti in capannelli fra una colonna e l’altra, che strimpellavano chitarre… un mondo per lui “fuori dal mondo”, ma un mondo che ora lui benediceva, perché avrebbe in un certo modo, se non impedito, almeno ostacolato l’inseguimento e rallentato la corsa dei suoi inseguitori.

Non ci credeva che ciò fosse effettivamente accaduto: troppo semplice e troppo facile, perché quei due uomini non dovevano essere tanto inesperti da perdere così stupidamente le sue tracce. Sulla sua motoretta, Sergio si trovò ben presto in piazzetta San Francesco da dove inforco via De Marchi. Si voltò, sicuro che di lì a poco avrebbe visto qualcosa (un’auto o una moto) puntargli i fari contro ed inseguirlo, ma intanto era in via Sant’Isaia, e iniziava a percorrerla contro mano verso porta. E fu a questo punto che, girandosi per l’ennesima volta, vide dietro di se, a circa centocinquanta metri, i potenti fari di un auto di grossa cilindrata, forse una BMW, che proveniva dal centro ad altissima andatura e contro mano. Gli inseguitori erano riapparsi e in modo ancor più minaccioso di quanto lo fossero stati al pub.

Porta Sant’Isaia in una foto precedente al 1903 ed il piazzale che si è creato dopo

Per arrivare a Porta Sant’Isaia Sergio doveva percorrere ancora una cinquantina di metri, appena qualche secondo, ma era lo stesso tempo che avrebbe impiegato l’auto per raggiungerlo e quell’ampio spazio sul viale di circonvallazione creatosi un tempo con l’abbattimento della Porta, era un punto particolarmente pericoloso per lui, perché la grossa auto inseguitrice poteva agevolmente affiancarlo, per costringerlo a fermarsi o, superandolo, buttarlo fuori strada.

Ma qui fu molto fortunato, perché mentre era quasi giunto al punto cruciale, vide la sagoma di un autotreno invadere l’incrocio provenendo da sinistra. Riuscì ad evitare l’impatto con una sterzata che mai avrebbe pensato di dover fare nella sua vita. L’autotreno, inchiodando quasi contemporaneamente al suo fortunoso passaggio, occupò quasi tutto l’incrocio. Era come un’enorme cancello che, chiudendosi, impediva ermeticamente a qualsiasi autoveicolo l’accesso in via Andrea Costa. E lui era già passato!


San Paolo di Ravone

Vide le sagome del camion e del suo rimorchio illuminate da dietro dai fari della BMW, e ciò fece cadere la speranza ch’essa gli si fosse schiantata contro. Peccato, pensò e diede gas al motorino, consapevole che da lì a poco, quei fari si sarebbero mossi e avrebbero ripreso l’inseguimento. L’attimo di tregua, però, gli permise di pensare a come liberarsi dal pericolo in cui si ero trovato.

Poco prima di giungere all’altezza di San Paolo di Ravone, non vide ancora apparire la macchina, ma fu solo un attimo; eccola là in fondo, di nuovo dietro di lui che entrava in Andrea Costa.

«Forse ce la faccio a tentare l’impossibile.» Pensò.

Quando giunse all’incrocio con via Montefiorino, la imboccò con una sterzata violenta a destra, a cui, dopo pochi metri, seguì un’altra a sinistra nella buia via Vancini. Poiché non aveva visto, dopo le due sterzate, sbucare gli inseguitori, Sergiò contò sulla possibilità di averli seminati, ma così non fu; o avevano intuito la manovra, oppure erano riusciti a vederlo all’ultimo istante, fatto sta che in via Vancini la BMW gli era di nuovo alle costole, distanziata solo da un centinaio di metri, forse meno.

Alla fine di via Vancini, lungo via Sacco e Vanzetti, c’è un giardino pubblico che è stato dedicato ai Vigili del Fuoco. È stato inaugurato da pochi anni e, quindi, ancora privo di recinzione, senza alberi ma con soli arbusti in attesa di diventarlo e completamente pianeggiante; uno dei suoi confini è l’antico canale Reno che, nel tratto che affianca il giardino è ancora completamente scoperto. È un alveo artificiale largo cinque o sei metri, con acque al massimo profonde un paio di metri e protetto solo da una bassa staccionata in legno.

Quel tratto di canale era la meta a cui Sergio aveva pensato per sopravvivere e scomparire dalla circolazione.

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