Capitolo 7 |
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Aelia Laelia
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La visita dei due poliziotti aveva fatto tornare in mente a Sergio Silvani la lapide di “Aelia Laelia”. Per la verità non è che se ne fosse dimenticato, ma aspettava che Roby lo chiamasse per andare insieme a vederla, come in effetti erano rimasti d’accordo. Ma visto che lui era scomparso, tanto valeva andare al Museo Civico Medioevale da solo e aggiungere alla sua raccolta di foto, come fosse una figurina mancante, la famosa “Pietra di Bologna”. Cosa che fece la mattina del giorno dopo, inforcando come sempre il suo sconquassato motorino.
Via Manzoni è una brevissima strada in pieno centro, che non è affatto angusta, ma può sembrarlo, essendo i sui lati sovrastati da alcuni alti ed imponenti edifici. Quelli del lato sud sono tre e davvero monumentali, con sontuosi portici: Palazzo Conoscenti, Palazzo Ghisilardi e palazzo Fava, storiche testimonianze che ricordano la Bologna dal XIII al XV secolo. L’altro lato è invece sostanzialmente spoglio, ma al suo centro si erge la facciata di Santa Maria di Galliera, vero capolavoro del Quattrocento, raffinatissima nei suoi ornati e nelle sue numerose statue votive, purtroppo consunte dal tempo e dalla friabilità dell’arenaria con cui furono scolpite. Dal momento che c’era, Silvani scattò alcune fotografie della chiesa.
Entrato poi nel Palazzo Ghisilardi-Fava, sede del museo, si avviò alla biglietteria, dove una graziosa signorina lo accolse con un largo invitante sorriso. Era una biondina sui vent’anni, forse una precaria assunta provvisoriamente a sostegno della carenza di personale e di risorse. La targhetta che aveva appuntata al colletto della camiciola blu la identificava come Giulia. «Sono giornalista…» le disse Silvani estraendo dal portafoglio la tessera. In realtà era solo pubblicista per aver a suo tempo scritto qualche cosa sui giornali. Quando, però, visitava musei e mostre, gli piaceva “sfidare” la biglietteria e verificare se gli staccava un ticket gratuito, cosa che gli capitava sempre. Non fece a meno di pensare che quando aveva provato la stessa mossa allo Stadio per il calcio e al Palasport per il basket, in entrambi i casi gli era stata impedita l’entrata. Strano come fossero più rigidi i controlli sportivi che quelli museali. Giulia gli consegnò la gratuità a cui non aveva diritto e Silvani, soddisfatto di aver risparmiato sei euro, le rivolse un largo sorriso di ringraziamento: «Mi scusi – le chiese poi - dove posso trovare la lapide di “Aelia Laelia”? Sa, la vorrei fotografare.» «Nel Lapidario –rispose la biondina – ma al momento non sarebbe visibile, perché è in allestimento una mostra. Ma visto che lei è un giornalista, posso accompagnarla. Un attimo solo.» La ragazza chiamò al telefono un collega ed appena questo si presentò, uscì dal desk della biglietteria ed invitò Silvani a seguirla. Silvani si mosse, ma si era appena avviato con Giulia verso l’entrata del museo, quando sentì una voce che lo chiamava: «Buon giorno, signor Silvani, anche lei qui?» Si girò e vide sorridente il Commissario Mara Lucchini. Era sempre la stessa, caschetto di capelli neri, occhialini senza montatura, grandi occhi, nessun trucco, ma l’abbigliamento era completamente diverso. Non più il grigio tailleur “professionale”, ma una camicetta leggermente scollata ed una gonna svasata, all’altezza delle ginocchia. Era proprio come aveva immaginato di ritrovarla vestita, e gli venne da pensare – o forse sperare - che lei gli avesse letto nel pensiero il giorno prima e che lo avesse voluto accontentare. «Ispettore Lucchini – esclamò sorpreso e senza nasconderle un sorriso più che compiaciuto, raggiante - che piacere rivederla. Anche lei qui per la lapide?» «Dopo che lei me ne ha parlato, sono venuta a verificare se per caso Roby James fosse stato qui.» «E’ senz’altro venuto – asserì Silvani con grande certezza – Quando parlammo di “Aelia Laelia” mi sembrò fortemente interessato a vederla di persona ed al più presto.» Mara estrasse dalla borsetta a tracolla la fotografia di Roby e si avvicinò alla ragazza che nel frattempo aspettava vicino alla vetrata da cui si accedeva al Museo: «Mi scusi, signorina, sono l’ispettore Lucchini della Questura centrale. Avrei bisogno di un favore. Si ricorda se ha visto qui, in questi giorni, quest’uomo?» Porse la foto alla ragazza che la prese si mise ad osservarla attentamente. Poi disse: «No, mi dispiace. Ma potrebbe essere venuto quando non ero di turno o occupata in altro ufficio.» «Guardi bene – insistette la poliziotta – nella foto è senza dubbio più giovane, ma non dovrebbe essere molto diverso da com’è ora.» La bigliettaia guardò nuovamente la foto e, restituendola a Mara, confermò senza titubanze il diniego precedentemente espresso. Mara ringraziò e si avviò verso l’altro commesso che aveva preso il posto di Giulia nella biglietteria. «E lei, signor… Vittorio – gli disse leggendo il nome sul biglietto che anch’egli aveva appuntato al bavero della giacca e porgendogli la foto – l’ha per caso visto? » Anche Vittorio guardò la foto con molta attenzione, ma il risultato non cambiò: anche lui non lo conosceva e non ricordava di averlo mai visto. Mara ripose la foto in borsetta, per avvicinarsi a Silvani, ma fu lui a raggiungerla e, fatta estrarre nuovamente la foto, la ridiede al commesso: «Forse – gli disse - non ricorda bene, dato che la foto non è molto rassomigliante. E’ un americano di circa la sua età che parla bene l’italiano, ma che non nasconde l’accento inglese. Se non lo rammenta fisicamente, probabilmente può aver detto o fatto qualche cosa che a lei è rimasto impresso in mente. Che so? Forse ha mostrato un interesse particolare per il palazzo, la torre, il cortile… oppure le ha chiesto qualche cosa su Bologna, le ha parlato di “Aelia Lelia”….» Vittorio scosse la testa: non lo ricordava e non rammentava nessuno che avesse avuto gli atteggiamenti o i comportamenti che Silvani gli aveva descritto. «Posso rivedere quella foto?» Fu la bionda Giulia, ad intervenire a questo punto. Vittorio gliela porse, mentre Sergio e Mara si guardarono l’un l’altra speranzosi. La ragazza osservò la foto di nuovo e con più attenzione (e molta più concentrata) di quanto avesse fatto prima. Poi assentì:
«Sì, ora me lo ricordo, è stato proprio come ha detto lei… si è fermato soprattutto nel cortile per vederne l’architettura e da lì ammirare la torre dei Conoscenti, la più antica di Bologna. Lo notai perché stette più di mezz’ora in cortile a prendere appunti, seduto in terra, appoggiato ad una colonna del loggiato… Poi mi ha domandato qualche cosa proprio sulla torre, ma io non ho saputo cosa dirgli, perché ero al lavoro solo da due settimane e ancora adesso sono molto carente nella conoscenza approfondita degli edifici del museo. Anche quando mi ha domandato di “Aelia Laelia” sono caduta dalle nuvole… non avevo idea di che cosa fosse nè dove fosse esposta. Ho dovuto cercare sul computer per dargli le indicazioni necessarie.» «Sul computer? – intervenne Mara – Forse è rimasta la registrazione dell’accesso sul data-base di consultazione. Potrebbe controllare le date più recenti?» «E’ vero! – esclamò Giulia dirigendosi quasi con fretta alla tastiera del computer - Gli accessi agli archivi telematici sono registrati. Un momento solo.» Si mise alla tastiera e dopo qualche istante sentenziò: «Ecco… la posizione della Aelia Laelia ultimamente non è stata richiesta molte volte… l’ultima il 5 maggio.» «Bingo! – esclamò soddisfatto Silvani – Due giorni dopo averlo conosciuto! La data coincide.» Mara gli diede un’occhiata come volesse troncargli l’entusiasmo, poi si rivolse alla biondina: «Le date dei precedenti accessi?» «Ce n’è una anche il 4 maggio poi si va addirittura a febbraio...» Mara ringraziò la commessa, prese sottobraccio Silvani e gli disse piano: «Grazie, il suo intervento mi è stato utilissimo. Quindi, ora sappiamo che fino al 4 o al 5 maggio Roby James era in circolazione.» «E l’altro che ha visitato la lapide chi è? – si domandò Sergio, domandando a Mara - Mi sembra una ben strana coincidenza che risultino due accessi al computer in due giorni consecutivi e solo dopo mesi e mesi dal precedente…»
«Sapevo che lei, Signor Silvani, è stato un investigatore privato – gli disse Mara, guardandolo ironicamente – ma ora lo sta proprio dimostrando. E’ vero, sarebbe molto importante sapere se Roby è stato il primo o il secondo a venire a vedere la lapide e se fra le due visite c’è un collegamento. Mi scusi un momento!» Mara si rivolse ancora alla biondina: «La importuno ancora, Signorina, mi dispiace. Sapreste dirmi se per caso, il tipo della fotografia potrebbe essere venuto due giorni consecutivi per vedere la lapide?» Giulia esitò un qualche istante come se stesse cercando di ricordare, poi rispose: «No, penso proprio di no… Ora che ho individuato il tipo, credo che me lo ricorderei se l’avessi rivisto. Sa, il Museo, se si escludono le scolaresche e gruppi di turisti stranieri, non ha moltissimi visitatori solitari nelle sue sale, almeno in questo periodo.» «Grazie! Ancora una cosa: si ricorda se il tipo della foto sia venuto qui il 4 o il 5 maggio?» «No, questo non posso ricordarmelo, come non mi ricordo assolutamente l’altro e non lo potrei descrivere. Forse se vedessi una sua foto…» «Grazie.» Concluse la poliziotta poi ritornò da Silvani: «Andiamo anche noi ad ammirare questa lapide. Non ha molta importanza ai fini dell’indagine, ma ora m’incuriosisce proprio.» «Andiamo pure, - le disse Sergio accennando ad buffo inchino e allungando la mano aperta verso l’entrata del Museo. - ma prima le chiederei un piacere. Posso chiamarla Mara? Sa, chiamarla Commissario, o Ispettore o Dottoressa Lucchini, mi riesce molto difficile… Mara è più facile e più bello!» «Vada per Mara e vada per Sergio!» E così, accompagnati dalla gentilissima commessa, i due giunsero nel lapidario e videro finalmente la famosissima “pietra di Bologna”
®®®®® D. M. AELIA LAELIA CRISPIS NEC VIR NEC MULIER NEC ANDROGYNA NEC PUELLA NEC IUVENIS, NEC ANUS NEC CASTA NEC MERETRIX NEC PUDICA SED OMNIA SUBLATA NEQUE FAME NEQUE FERRO NEQUE VENENO SED OMNIBUS NEC COELO NEC AQUIS NEC TERRIS SED UBIQUE IACET LICIUS AGATHO PRISCIUS NEC MARITUS NEC AMATOR NEC NECESSARIUS NEQUE MOERENS NEQUE GAUDENS NEQUE FLENS HANC NEC MOLEM NEC PYRAMIDEM NEC SEPULCHRUM SED OMNIA SCIT ET NESCIT CUI POSUERIT. Quando Sergio Silvani lesse ad alta voce il testo della lapide, così com’era in latino, la donna rimase sì perplessa, ma non più di tanto; quando però lui gliela tradusse (in realtà, finse di tradurla, sapendone il testo in italiano pressoché a memoria), lei ne rimase davvero sbalordita, né più né meno di come avevano fatto, nei secoli, i tanti che si erano imbattuti per la prima volta in “Aelia Laelia”.
DEI DEGLI INFERI AELIA LAELIA CRISPIS né uomo né donna né ermafrodite né fanciulla, né giovane, né vecchio né casta, né meretrice, né pudica ma tutte queste cose insieme Morta non per fame, non per ferro, non per veleno ma per tutto ciò non in cielo, non nell’acqua non nella terra ma ovunque giace LUCIUS AGATHO PRISCUS né marito, né amante, né parente non triste, non allegro e non piangente sa e non sa perché pose questo [che non è] mausoleo, né piramide, né sepolcro ma tutto ciò «E cosa vuol dire, questo guazzabuglio?» Fece lei scotendo la testa. «Io, Mara, non sono più un detective, il detective è lei.» «Tuchè!» gli disse, guardandolo storto e arricciando il nasino … anche così era bellissima! Sergio ebbe l’impressione che Mara, pur capendo l’ironia, ci fosse rimasta comunque male, per cui volle rassicurarla: «Guazzabuglio non è la parola giusta, perché la frase della lapide è in sé correttissima e comprensibile. Solo che non si capisce a chi sia dedicata: a una persona fisica, a un simbolo, a uno stato d’animo? E neppure del Signor Prisco si sa qualcosa. Forse anche lui è una idealizzazione.» La “smorfietta” sul viso di Mara rimase inalterata ed anzi, si accentuò ulteriormente con una rapida scossa della testa come se non stesse capendo nulla, o non volesse capire quello che Sergio stava dicendo. Allora lui cercò di dare qualche chiarimento in più. «Guardi, Mara, che è dal 1562 che filosofi, letterati, eruditi, romanzieri, scienziati e chissà chi altri, si sono scervellati per dare una spiegazione alla lapide, senza mai riuscirci. Parlo dello scienziato Ulisse Aldrovandi, del romanziere Walter Scott, del filosofo Carl Jung, del poeta Gerard de Nerval e, recentemente anche di Umberto Eco, tanto per citarne alcuni… è insomma uno scritto misterioso che da quasi mezzo millennio affascina la cultura mondiale ai più alti livelli.»
«E questo cosa c’entra, Sergio?» esclamò seccata lei. Fu Sergio, ora, a rimanere perplesso: «In che senso, scusi?» Mara abbassò la voce per non farsi sentire dalla commessa che li aspettava sulla porta della grande sala del lapidario: «E’ inutile che lei mi spieghi il significato della lapide o me la esalti citandomi studiosi che io conosco a malapena. A me interessa capire perché una persona scomparsa e che io sto ricercando, sia tanto interessata a questa pietra e se questo suo interesse abbia un qualche senso ai fini della mia indagine.» Aveva completamente ragione e Sergio glielo disse scusandosi di aver esercitato un’erudizione che, in definitiva, in quel frangente non aveva alcuna importanza. Mara abbassò ulteriormente la voce: «Lei cosa pensa, Sergio, non della lapide, ma di Roby James e del suo interesse, prima di scomparire dalla circolazione, per questa maledetta pietra?» L’uomo stette in silenzio, sorpreso dalla domanda e pensieroso sulla risposta da dare. Mara insistette: «Io credo che lei sia l’unico a Bologna ad aver conosciuto Roby James e non intendo fisicamente, ma anche come persona, come carattere, pensiero, comportamenti… Insomma se non mi aiuta lei, questo qui non lo ritroviamo più.» «Mi dispiace, – fu la risposta sconsolata di Sergio – ma quello che so l’ho già detto ieri: è stata una conoscenza casuale durata un paio d’ore e dalla quale ho soltanto capito che Roby è un cultore di Bologna e che è animato dal desiderio di saperne sempre di più della sua storia e della sua arte. L’americano è in fondo, come questa lapide: esiste, è tangibile, è leggibilissimo, sembra voler dialogare con te… ma non lascia trapelare nulla. No, non so chi sia “Aelia Laelia” e non so chi sia Roby James… Però…» A questo punto Sergio interruppe il suo discorso, e si mise a pensare corrucciato. Mara lo guardò e stette in attesa ansiosa di sentire la specifica di quel “però”, che venne solo dopo alcuni istanti che le parvero ore. «Adesso che ci penso, la foto di Roby che lo ritrae nel cortile del Museo Archeologico è antecedente al 1988… Lui venne a Bologna già in quell’anno per vedere la lapide!» «Perché prima del 1988?» «Perché è da quell’anno che la pietra è qui al Museo Civico Medioevale. Lui venne a Bologna per vederla ed andò dove credeva che fosse, al Museo Archeologico dell’Archiginnasio, ma non c’era più, anzi non l’avrebbe potuta vedere in nessun posto, perché fra il 1977 e il 1988 era stata immagazzinata chissà dove, prima di essere riesposta qui dove la stiamo guardando. Se ne tornò in America senza averla potuta vedere, ed ora è di nuovo qui, perché da qualche anno la lapide ed il suo mistero sono tornati, come dire, di moda.» «Diciassette anni fa? Cos’era un bambino?» «No, Mara, non era un bambino. Quando l’ho conosciuto ho pensato che avesse trent’anni, ma poteva averne anche sei o sette di più e quindi una ventina quando venne a Bologna la prima volta.» «Se fosse vero, a cosa ci porterebbe questa scoperta.» «Ad avere la conferma dello strettissimo legame fra Roby e la lapide. Se scopriamo questa relazione sapremo anche perché si è dileguato nel nulla.»
Sergio cambiò discorso e prese Mara sottobraccio, ricevendo la gradevole sensazione che la cosa non le spiacesse. «Che ne dice, ispettore Mara, di un buon caffè alla “Racchette? È qui vicino, all’antico Canton dei Fiori.» «Perché no? - gli rispose – però, se sono io l’investigatore, offro io!» «Non sia mai detto!» Dichiarò Sergio con la dovuta galanteria, come avrebbe fatto qualunque uomo non più giovane davanti ad un bella signora. Evidentemente Mara aveva però fatto andare del tutto giù di testa Sergio, perché gli aveva fatto dimenticare di fotografare “Aelia Laelia”, ma a questo provvide Giulia, la biondina che li aveva accompagnati e che fino a quel momento era rimasta un po’ a lato, mentre discutevano sull’americano e sulla lapide: «Mi scusi, sa – gli disse – ma non doveva fotografare la lapide?» Sergio ringraziò con grande calore e scattò le foto. Gli sembrò che la lapide si mettesse in posa e che sorridesse enigmatica. «Viene anche lei a prendere un caffè?» Domandò poi a Giulia, mentre Mara – almeno gli sembrò – lo guardava un po’ corrucciata come se non condividesse quell’invito improvviso. Ma la ragazza ringraziando, rifiutò, non potendo lasciare il posto. Sergio e Mara uscirono dal museo, ormai dimentichi della lapide, senza immaginare che dopo pochi giorni la famosa “Pietra di Bologna” li avrebbe nuovamente coinvolti ed in modo quasi travolgente.
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