… passo a passo, salendo lentamente sul camminamento
… Il Segretario particolare dell’Arcivescovo,
monsignore Pietro Bolognesi, guardò il biglietto da visita, poi alzò gli occhi
come per scrutare l’interlocutore che gli si era seduto di fronte, di là
dalla scrivania, e toltosi infine gli occhiali, disse: «Avvocato Uberto Rosati… A cosa devo la sua visita?» «Mi sono rivolto a lei, monsignore, perché vorrei
che mi desse una mano a risolvere un problema molto … come posso dire?...
ecco… molto particolare…»
Il dialogo si stava svolgendo nel palazzo
dell’Arcivescovado, l’imponente edificio che si sviluppa in via Altabella, sul retro della Basilica di San Pietro; a
parte la grandezza, il palazzo non è una struttura architettonica complessa,
anzi è molto semplice, per non dire severa, ma è caratterizzata, all’esterno,
da un portico che, fra quelli in muratura, è senza dubbio uno dei più alti di
Bologna. «L’ascolto, avvocato, dica pure.» «Vede, monsignore, un mio cliente ha la certezza documentale
dell’esistenza di un qualcosa di grande importanza storica all’interno di un
monumento artistico poco lontano da qui e di proprietà della curia
bolognese.» «Mi sembra un po’ vago come preambolo, ma vada pure
avanti.»
«È molto semplice, monsignore: ci occorrerebbe
l’autorizzazione della Curia per poter entrare ed esaminare in modo
approfondito il campanile, che possiamo ammirare dalla finestra che le sta
alle spalle; il campanile di San Pietro.» «E se la mia risposta fosse negativa?» «La sua intelligenza, monsignore, è tale che non potrà
mai dare una risposta negativa fino a quando non saprà dettagliatamente come
stanno le cose, mentre la sua autorevolezza in Curia è tale che basta un suo
breve assenso non solo per fare un sopralluogo particolare al campanile, ma
addirittura smuoverlo da dov’è.» «Come? Lei vuole spostare il campanile? E dove lo
vorrebbe mettere, in grazia di Dio?» Il sorriso di monsignore fece sorridere anche
l’Avvocato che dopo aver meditato, allargò ancor più il suo sorriso per
trasformarlo in risata: «Lo porterei al centro di piazza Maggiore, così lo
vedrebbe più gente… Ma lasciamo stare. Immagino che a questo punto lei vorrà
sapere cosa ne debbo fare del campanile.» «Perspicace, il nostro avvocato!» «Vorrei verificare se in esso, molto probabilmente sotto
un gradino della scala a chiocciola interna, ci sia una qualche botola, un
qualche anfratto segreto, un qualche interstizio entro cui, secoli e secoli
fa, vi abbiano potuto nascondere qualcosa.» «Così siamo arrivati al sodo… E che cos’è questo “qualcosa”, avvocato?» Rosati allargò le braccia appoggiate alla scrivania
quel tanto necessario a indicare al prelato la sua completa ignoranza al
riguardo, poi confermò questo suo gesto con le parole: «Lei non mi crederà, monsignore, ma non ne ho la
minima idea! Il documento in possesso del mio cliente non dice nulla al
riguardo.» «Ovviamente il segreto professionale le vieta di
rivelare chi sia questo cliente.» «Ovviamente!» «E altrettanto ovviamente, le è vietato parlarmi
anche del documento…» Il Prelato s’interruppe facendo una smorfia
rassegnata, scuotendo lentamente la testa e allargando le braccia, tutti
segni, questi, di un dialogo per lui finito e non nel senso voluto da Rosati. «Per la verità no. – disse in fretta Rosati quasi a
voler fermare il prelato prima che si alzasse dalla scrivania – Sono stato
autorizzato a parlarle del documento. Siccome, poi, lei non vuole che io stia
sul vago, gliel’ho portato, questo documento, perché se ne renda conto in
concreto e di persona.» Rosati allungò il foglio che il monsignor prese fra
le dita come fosse infetto, e lesse silenziosamente e all’apparenza molto
lentamente. «Chi e questo P.D.B.» Chiese infine. «Non lo sappiamo e, forse, non lo sapremo mai.» «Secondo lei, dunque, avvocato, l’interpretazione da
dare a questo enigma sarebbe di cercare in un gradino del campanile di San
Pietro?» «Sì, Monsignore.» «Si può fare… Vedremo. Ma intanto mi dica, che cosa
ne verrebbe alla curia, se si scopre qualcosa?» «Consegneremo alla Curia quanto troveremo,
ovviamente. Vedrà essa cosa fare e sono sicuro che deciderà per il meglio.» «Va bene domani, avvocato?» «No, meglio subito. Devo solo chiamare i miei periti
per il sopralluogo e potranno essere qui fra alcuni minuti.» Per ovvie ragioni, Rosati si astenne dal chiarire
che voleva fare subito l’indagine nel campanile, per non lasciar tempo alla
Curia di effettuare autonomamente lei la ricerca, ma gli sembrò che monsignor
Bolognesi avesse comunque compreso il suo intendimento, in definitiva, un
atto di sfiducia, comprensibile sì, ma sempre di sfiducia nei suoi confronti. Il prelato, tuttavia, guardò l’orologio, sfogliò
un’agendina che aveva sul tavolo e pensò per un attimo cosa fare (o cosa
dire), poi assentì: «Va bene, autorizzazione concessa. Chiami i suoi
collaboratori. Resta inteso che quello che essi troveranno mi sarà
immediatamente consegnato.» «Su questo siamo completamente d’accordo.» Rosati prese il cellulare. L’uomo…
… vide
Ànghelos e Veronica incontrare davanti al maestoso portale di San Pietro
l’avvocato e dopo aver scambiato qualche parola, entrare nella chiesa. La caccia
al tesoro continuava e l’uomo ne era ancora partecipe. Seguì i tre
che appena entrati in chiesa, furono affiancati da alcuni prelati. Uno di
essi l’uomo lo conosceva bene, era Monsignor Bolognesi, segretario
dell’arcivescovado. Il
gruppetto si diresse verso l’abside della Basilica, per scomparire in fondo
sulla destra, dentro un piccolo elegante portale. Se prima l’uomo era curioso
di sapere come avrebbero fatto per entrare nel campanile e operarvi senza che
nessuno avesse qualcosa a ridire, ora era tutto chiaro: avevano semplicemente
chiesta un’autorizzazione. La cosa non lo soddisfece affatto: così facendo,
infatti, il segreto, prima limitato a quattro persone, lui, l’avvocato, la
ragazza e il greco, ora si andava estendendo, anche se solo a una qualche
autorità ecclesiastica. Ebbe anche l’impressione, o forse il timore, che la
mossa di interessare la curia, lo potesse estromettere dal proseguire nelle
ricerche. Comunque
fosse, ora lui era fuori dal campanile ad aspettare, mentre gli altri erano
dentro a cercare, e in fondo era sempre quello che era successo fino a quel
momento, solo che, stranamente, questa volta la situazione lo rabbuiò e non
poco, fin quasi ad angustiarlo.
Entrando in una porticina alla destra dell’abside,
subito dopo la Sagrestia della basilica, i quattro si trovarono dentro il
campanile da dove, attraverso un’apertura, si può già ammirare la struttura
interna di quello rotondo del VIII secolo, mentre appoggiato all’esterno
comincia l’angusto camminamento di mattoni seguendo il quale si sale fino alla
sommità. In sostanza, il camminamento occupa l’intera intercapedine che i due
campanili, inseriti come sono uno all’interno dell’altro, vengono a creare.
È un cunicolo talmente stretto che permette il passaggio
di una sola persona alla volta e il suo soffitto, ad arco, si trova a circa
due metri d’altezza. Il piancito, tutto in mattoni, è privo di gradini,
sostituiti da cordoli rialzati che ogni quaranta, cinquanta centimetri, lo
attraversano da parete a parete. Ànghelos cominciò a salire contando gli spazi che si
succedevano fra cordolo e cordolo, seguito in fila indiana, da Veronica, poi
da Monsignor Bolognesi, quindi Rosati. Al ventunesimo cordolo il greco si fermò: «Sono finiti i cordoli… ora c’è solo il piancito di
mattoni. Non si può proseguire nella conta.». Rosati chiese prima a Bolognesi, poi a Veronica di
farlo passare e a fatica, comprimendosi verso la parete del cunicolo, riuscì
a raggiungere Ànghelos, per guardare la situazione al di sopra delle sue spalle,
poi confermò: «Sì, è un problema, ma superabile. Questa è una
ristrutturazione posteriore che ha variato la conformazione del camminamento.
Sali un po’ e prova a vedere se i cordoli riprendono più avanti o non ce ne
sono proprio più.» Ànghelos avanzò, scomparendo ben presto dietro la
parete a spirale e dopo alcuni istanti la sua voce si fece sentire dall’alto
e con un’eco attenuata: «Sì, i cordoli riprendono, ma molto lontani da dove
sono cessati. Se ci fossero, saremmo al quarantesimo, cinquantesimo cordolo.» Rosati pensò un po’ sul da farsi, poi proruppe
deciso. «Torna qui.» Ànghelos ridiscese: «Come procediamo?» «Non c’è alternativa, dovrai fare come il solito,
cercando di scoprire un vuoto sotto il piancito di mattoni. Sarà più lunga ma
è la sola strada che si può affrontare.» Ànghelos tolse dalla borsa una strana macchinetta,
che attivò premendo un bottone rosso. «Cos’è?» Domandò Rosati. «Un “cluster”, un sonar ultrasonico; l’ho comprato
stamattina. Lasciami lavorare, poi ti spiego tutto, quando avrò finito.» Ànghelos si mise in ginocchio cominciando a sfiorare
con la macchinetta il piancito, mattone per mattone, stando attento al
display e ai dati che esso indicava; avanzò così, a passo a passo, salendo
lentamente sul camminamento, per quasi venti minuti, spesso ripassando la
macchinetta su quei mattoni per i quali le risultanze da essa indicate non
gli erano apparse chiare. Poi all’improvviso si fermò, rimanendo svariati
minuti piegato su di un punto del piancito, che sfiorò più volte con il
“cluster”. Fece un breve cenno d’assenso a se stesso, ripassò nuovamente la
macchina su alcuni mattoni, poi, prese fuori dalla borsa un martelletto di
gomma e uno stetoscopio che si allacciò alle orecchie. Batté col martelletto
quei mattoni su cui un attimo prima aveva soffermato più a lungo
l’apparecchio, auscultandone i suoni che provenivano da essi e che indicavano
chiaramente che esisteva sotto di essi, un’intercapedine o un piccolo vano
vuoto. Vedendo l’amico fermo da più tempo in quel punto,
Rosati misurò mentalmente la distanza fra esso e l’ultimo cordolo,
valutandola fra i quattro e i cinque metri, l’equivalente di dodici cordoli
mancanti. 21 più 12, dava 33, gli anni del Signore. «Forse ci siamo…» Pensò Rosati «Ci siamo!» Esclamò trionfante Ànghelos. «Siamo forti!» Enfatizzò Veronica. «Calma, calma…» Suggerì monsignor Bolognesi. L’uomo… … era
appoggiato ad una colonna, nei pressi della Sacrestia, ed aspettava che i quattro
uscissero di nuovo dalla porticina che immetteva nel Campanile ed era sorpreso
di quanto tempo fosse passato da quando essi vi erano entrati. A un tratto
gli si avvicinò un omino con i capelli bianchi e vestito di grigio scuro. Era
il sagrestano di San Pietro: «Mi scusi –
gli disse – ma sto chiudendo la chiesa. Se si vuole accomodare.» L’uomo si
avviò per passare dalla sacrestia alla chiesa, ma l’omino lo richiamò: «Invece di
attraversare la chiesa, può uscire da qui. È la porta laterale. Farebbe prima.» «Grazie…» L’uomo uscì
dalla porta indicatagli e si trovò su via Altabella,
a pochi metri dalla parete esterna del campanile il cui antico mattonato,
s’intagliava nettamente fra l’intonaco della basilica da una parte, e quello
dell’arcivescovado dall’altra. «Sono lì
che stanno cercando – pensò – e sono certo che troveranno… Non posso aver
sbagliato, né possono averlo fatto loro.» «Io comincio. – proclamò Ànghelos – Non è un lavoro
difficile. Basta estrarre due mattoni. Ne avrò per un’oretta almeno, fra
scavo e ripristino.» Così dicendo, cominciò a scalfire le congiunzioni
dei mattoni che aveva individuato, scalpellandole molto delicatamente per
evitare di scheggiarli. Dopo circa mezz’ora, chiamò Rosati che gli si
avvicinò: «Ecco il nuovo messaggio.» Gli disse semplicemente
come se fosse una cosa usuale per lui e, in fondo, lo era davvero. Rosati stava dando le spalle al sacerdote e a
Veronica. Prese in mano il documento e lo pose delicatamente e lentamente
all’interno della giacca; poi chiese ad Ànghelos: «Di monete, ce ne sono?» «Una, com’era prevedibile.» A questo punto Rosati si girò, si avvicinandosi a
Bolognesi che era alcuni metri distante da lui, più in basso, ed estrasse
dalla tasca il foglio, consegnandoglielo. «Stia attento, Monsignore, è una carta che ha
settecento anni… È molto delicata.» Bolognesi guardò Rosati con un che di sufficienza,
apri il foglio e ne lesse il contenuto: Porta
Giulia là dove scorre «Posso leggerlo anch’io e trascriverlo?» Intervenne
Veronica, con già in mano un blocco notes e una matita. «È nel vostro diritto.» Rispose il prete girando il
foglio verso Veronica, e tenendolo stretto fra le mani, come se fossero un
leggio. Veronica cominciò a trascrivere il messaggio, ma
appena lesse “Porta Giulia…” si fermò un attimo non credendo a quanto stava
leggendo. Quel foglio era identico a quello che aveva dato il via a tutta la
storia, quello trovato da Ànghelos a Palazzo Pepoli. Guardò Rosati come a
domandargli una spiegazione e Rosati le rispose semplicemente con un sorriso
rassicurante. Veronica conosceva bene quel sorriso del suo avvocato, l’aveva
visto tante volte, specie quando un processo giungeva a una fase che avrebbe
fatto perdere ogni speranza sul successo finale. Con quel sorriso, era come
se Rosati le stesse dicendo: «Tranquilla, tutto secondo copione. Anche questa
è una causa vinta!» Lei non pronunciò parola e continuò nella
trascrizione. L’uomo… … era
appoggiato alla colonna che fa angolo fra via Indipendenza e via Altabella, un angolo ancora oggi prezioso perché fa parte
di Palazzo Scappi, su cui si alza possente nella sua squadrata semplicità
priva di qualsiasi fronzolo, la duecentesca Torre Scappi, una delle ventitré
che ancora sopravvivono in città. Da lì,
l’uomo poteva scorgere i tre suoi concorrenti quando sarebbero usciti dalla
chiesa, sia che lo facessero su via Indipendenza, che su via Altabella; uscirono su via Altabella. Quando li
vide, rimase sconcertato dal loro comportamento, perché appena il portone
della chiesa si fu rinchiuso dietro di loro, l’avvocato, che era in mezzo,
scoppiò in una fragorosa risata, abbracciando alternativamente gli altri due;
anche Ànghelos era divertito e rideva a crepapelle, mentre al contrario la
ragazza era seria e stranamente silenziosa, come se non potesse capire
l’allegra e improvvisa agitazione degli altri due. Anche
l’uomo non capiva quelle risate eccessive, ma una certezza l’aveva: nel campanile
era stato ritrovato qualche cosa, forse un nuovo messaggio. «Mi scusi avvocato – domandò Veronica – ma perché
questa risata? Direi che dovremmo piangere: se non sbaglio il nuovo messaggio
è uguale al primo e ci riporta alla linea di partenza, a Porta Castiglione e
al canale del Savena.» «E’ proprio così…» Confermò Ànghelos senza poter
aggiungere null’altro, a causa di un’ulteriore e ancor più fragorosa risata. Veronica era esterrefatta, proprio come chi si trova
in una situazione astrusa e del tutto incomprensibile. Guardò Rosati come a
voler chiedere lumi all’unico che potesse chiarire la situazione, ma anche
lui stava ridendo ed era troppo divertito per soccorrere l’implorazione di
Veronica. Poi, all’improvviso, trasformò il proprio divertimento in uno
sghignazzo quasi satanico: «Abbiamo fregato il prete!» Esclamò ridendo ancor
più fragorosamente. Lo smarrimento della ragazza crebbe. «Abbiamo scambiato il messaggio – spiegò finalmente
l’avvocato – Quello nuovo che abbiamo trovato nel campanile l’ho qui in
tasca, al prete ho dato quello di Porta Castiglione….» Così dicendo e sempre ridendo, Rosati estrasse
dall’interno della propria giacca la nuova pergamena, mostrandola a Veronica. Ora anche Veronica esplose in un’irrefrenabile
risata. Guardò il messaggio. “Undici
sono i quadri a lato;
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