Bologna e le sue “leggende
metropolitane” |
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Bologna,
città delle acque |
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Di Maurizio Cavazza |
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Se c’è una
città praticamente priva di risorse idriche superficiali questa è Bologna. L’unico corso
d’acqua che l’attraversa è un piccolo torrente, l’Aposa;
altri piccoli corsi d’acqua come il Ravone, il Rio Vallescura, Anche i due fiumi, più torrenti che fiumi, che la
sfiorano, Savena e Reno, non hanno una portata significativa e soprattutto
costante. Per periodi
anche di mesi, soprattutto il Savena, sono
molto poveri d’acqua; quindi le canalizzazioni che da loro derivano
sono modeste e incostanti, anche se servite da due ottime dighe. Con queste
premesse è quasi paradossale che la fama di Bologna, oltre che alla
Università, alla cucina, ai portici e alla torri sia legata all’acqua. “Bologna
città d’acque”, “Bologna è tutta attraversata da canali sotterranei”(*), sono
luoghi comuni ripetuti da sempre, che adombrano una ricchezza di acqua che è pura leggenda. Addirittura
ho sentito dire, non in ambienti qualificati per fortuna, che a Bologna una
metropolitana non sarebbe costruibile per i tanti corsi d’acqua che scorrono coperti sotto la città! ( Mosca ha
risolto il problema di un fiume come Treviso è una
città piena di acque, Pavia ha i due
fiumi italiani di massima portata che lì si uniscono, Bolzano ha tre fiumi
che lì si incrociano, Torino addirittura quattro. Queste sono
città ricche d’acqua ; esse non hanno
dovuto sviluppare tecniche particolari
per massimizzarne la resa, mentre Bologna lo ha dovuto fare in quanto
città “non” di acque.
Bologna è
così povera di acqua che, per usi potabili e di pubblica igiene, i Romani
dovettero fare un acquedotto in
galleria di diciotto chilometri : quando, per impossibilità od incapacità di farne la manutenzione cessò
di funzionare, la città ricadde nella totale dipendenza dai pozzi per
molti secoli. (**) Con enormi conseguenze negative di ordine
sanitario. Conseguenze
che crescevano quando i bolognesi usavano per fini alimentari le acque delle
canalizzazioni : era noto che si diceva che l’acqua del Canale di Reno era
ottima per cuocere i fagioli! E vada per
cuocere i fagioli, cosa che almeno comportava
una bollitura; ma se c’era questa abitudine ce ne erano altre simili che non passavano per la bollitura,
con conseguenze immaginabili. Torniamo a
Bologna città d’acqua : come nasce allora la “diceria”? Dalla
sapienza dei bolognesi antichi nel tesaurizzare tutta la possibile energia
che veniva dalle canalizzazioni del Savena e del Reno, e da tutto quello che
poteva venire dal piccolo Aposa. Soprattutto
il sistema di prese,( chiaviche e chiavicotti) dal canale di Reno era vastissimo e
ramificato.
“Nessuna città ha guadagnato e guadagna tanto dal corso
naturale di un fiume quanto Bologna dal corso artificiale di canali” (Morandi
1481) Le cantine
poste sotto il livello del canale di
tutta la zona alla sinistra del Canale di Reno, dalla Grada al Cavaticcio,
erano tutte dotate di presa d’acqua dal canale e in esse lavoravano migliaia
di addetti . Il piccolo
salto d’acqua dal canale alle cantine vicine era sufficiente a far girare i
geniali e leggerissimi mulini da seta, (anche se il primo opificio per la
seta sorse su una ramificazione del canale di Savena, in via Castellata,
quella di Bolognino nipote di Bonaventura da Barga
, una famiglia originaria di Lucca ) .
L’acqua
attraverso una serie di chiaviche
cadeva nel Cavaticcio, non senza a volte aver fatto girare altre ruote poste
più in basso . Per qualche
secolo, dal Quattrocento al Settecento, Bologna fu la capitale europea della lavorazione della seta . Più di un terzo della
popolazione traeva profitto della
industria della seta, sviluppata in tutti i suoi passaggi . Un proto-sistema
industriale paragonabile alla Silicon Valley di oggi, o al Distretto della Ceramica di
Sassuolo. Ricchissimo di segreti di lavorazione, tanto che vi era la pena di
morte per chi li rivelasse agli stranieri ... Al centro del
successo il “filatoglio alla Bolognese”, un tipo
particolare di mulino da seta. Salti
artificiali più alti servivano per i mulini da grano, o altri tipi di mulini.
Il grande
salto naturale del Cavaticcio era per ruote più pesanti fornitrici di molta energia. Ma sempre
portate limitate. “Ma Bologna
aveva addirittura un porto !” ”Come si può
parlare di penuria d’acqua se c’è un Porto?”
Fosse solo
per questo Bologna di porti ne ha avuti almeno cinque Il primo è
quello fluviale concesso già all’inizio del decimo secolo da Berengario, sul
Reno alla Selva di Pescarola ( forse fra il ponte sulla via Emilia e quello
della Ferrovia) ; poi ci furono le sedi di Corticella, della Bova, il porto
dell’Aposa dell’epoca dei Bentivoglio a Porta
Galliera, fino a quello definitivo nei pressi della Mura, dopo il salto del
Cavaticcio. La parola
porto fa venire in mente luoghi di dimensioni ben diverse da quelle nostre :
la darsena del porto più recente era tale che solo due barche affiancate vi
potevano aver posto e complessivamente
non era più larga di qualche metro ; le vasche delle chiuse sono
ancora lì a dimostrare quale fosse la modestia delle imbarcazioni che
potevano entrarvi. Tanto per
fare paragoni nulla di confrontabile con le dimensioni e la capienza dei barconi
che fino agli sessanta hanno portato a
Milano lungo il Naviglio e fino alla grande darsena di Porta Ticinese la
sabbia per l’edilizia. E le vicende
di tutte queste nostre “ installazioni portuali “ (modestissime: una banchina
per l’attracco, un piccolo spiazzo per scaricare le barche una casetta per il
custode, piccoli magazzini) sono costanti : lavori costosissimi per impedire
l’interramento dovuto al troppo lento fluire dell’acqua, poca e torbida. Il “porto”, in una foto dell’inizio
‘900 ed in una stampa del ‘700 (*) Al rinnovarsi della diceria recentemente ha contribuito anche Loriano
Macchiavelli, ambientando il ritorno di Sarti Antonio (ad hoc resuscitato) in
avventure sotterranee nelle quali il percorso delle modeste canalette antiche si è trasformato in una
rete di canali percorribili in barca, esattamente come la fantasia dei
bolognesi favoleggia da sempre. Mentre ciò è
possibile solo in brevi tratti del canale delle Moline, da Via Marconi a via
Oberdan al massimo. E anche
questa breve escursione è pubblicizzata in modo francamente esagerato e si
parla di “ rafting ”, sport che impone ben altre
sedi, come i fiumi alpini .... (**) Dal condotto dell’acquedotto romano il
flusso proveniente dal Setta man mano rallentò per le incrostazioni e i crolli che occlusero il condotto. A partire dal
Mille fino alla riattivazione di fine Ottocento un po’ d’acqua continuò
saltuariamente ad arrivare dal condotto romano e ad essere incanalato nell’Aposa prima (attraverso il condotto dello sfioratore romano Palazzo Pizzardi-Piazza
Minghetti), e poi per l’alimentazione delle fontane
di Piazza, a supporto delle fonti Remonda e di
Valverde. L’acqua non
era quella del Setta, ma quella del Ravone, perchè il soffitto del condotto romano, già occluso a
monte, che passava sotto il torrente
era crollato ed era del Ravone quel poco d’acqua che arrivava . |
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