Bologna e le sue “leggende
metropolitane” |
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Di Maurizio Cavazza |
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Sulla facciata di
Palazzo Pepoli Vecchio (via Castiglione 6-10) sono infissi degli eleganti
ferri arcuati che terminano con una
testina di serpente Sono i ferri ai
quali venivano legati gli animali da soma o da cavalcatura “parcheggiati”
davanti al palazzo Più eleganti delle
semplici anelle
che dappertutto rispondevano allo stesso scopo, perchè
il palazzo dei Pepoli era la dimora dei più ricchi della città, tanto ricchi
da esserne di fatto ‘Signori’ per
qualche decennio. Ma la loro forma non
usuale ha fatto sorgere una strana ed improbabile diceria, che qui vedremo di
chiarire
La diceria è che
quei ferri servissero per legarvi imbarcazioni che qui giungevano attraverso
il canale di Savena. Che davanti al palazzo Pepoli scorresse, e in certo senso scorra anche oggi, un ramo del canale di Savena è noto. Tutta la via
Castiglione ne era interessata ; la stessa forma arcuata della strada e
persino di un palazzo, sono dovuti al percorso non rettilineo del canale che
restò scoperto fino a tempi abbastanza recenti; c’è notizia di un ponte fatto
costruire dai Gesuiti per agevolare l’accesso alla loro chiesa di Santa Lucia
e quindi siamo nel tardo Seicento. Ma non era certo un
corso d’acqua su cui si potesse svolgere
un qualsivoglia tipo di navigazione. Il Canale di Savena
ha una portata molto modesta come si può agevolmente vedere fin dalla Chiusa di S.Ruffillo,
da dove ha origine. Dopo un percorso
prima a valle e poi, dopo il molino Parisio, a monte
delle attuali vie Toscana e Murri, forma il
laghetto dei giardini Margherita, ed entra in città da Porta Castiglione percorrendo la via omonima fino alla
biforcazione con via Rialto ( un tempo
Fiaccalcollo, per la sua pendenza). Qui si divide in due
rami. Il primo con vari
salti muoveva ruote motrici lungo
appunto il Fiaccalcollo, poi era usato dai
cartolari di via Cartoleria Vecchia ( oggi Guerrazzi
), formava il guazzatoio della Seliciata dei Servi
(oggi piazza Aldrovandi), poi era usato dai conciatori
di via dè Pellacani (oggi
G.Petroni), terminando la sua corsa riversandosi in
Aposa all’altezza del n.18 di via Moline. L’altro ramo seguiva
la via Castiglione, veniva in parte deviato lungo il Cestello per scaricarsi
in Aposa, subiva una derivazione lungo
via Castellata, ad alimentare l’opificio del setaiolo Bolognino di Borghesan e poi percorreva tutto il tratto di via
Castiglione dal Torresotto alle due Torri. (Questo ramo poi si ricongiungeva
all’altro poco prima di Piazza Verdi
scorrendo fra le case della parte destra di via Zamboni,
allora S. Donato). In questo tratto non
poteva non essere che poco più di un rigagnolo, viste tutte le sottrazioni
che aveva subito a monte e vista la modesta larghezza della stessa via
Castiglione; larghezza nella quale coesistevano sia il corso d’acqua che la
strada.
E poi c’era
l’attraversamento della Miola (l’antenata
dell’attuale via Farini), e c’era un ponte,
sicuramente angusto. Quale tipo di
imbarcazione potesse usare questo rigagnolo per una navigazione è una domanda
a risposta unica: nessun tipo. Anche se la
suggestione di barche che approdavano a Palazzo Pepoli ha colpito uno
studioso come Bergonzoni, e recentemente è stata accettata anche nel libro su
Bologna di Dondarini e Foschi, non è una cosa
realistica. I ferri sono serviti
sempre e soltanto a quadrupedi, e mai,
non dico a trialberi o caravelle, ma nemmeno alla
più semplice delle scialuppe. Probabilmente quando
c’era acqua (perchè il Canale di Savena d’estate
era in secca e anche quando era attivo necessitava di una ripartizione della
portata molto frazionata per i vari usi e i vari quartieri serviti), probabilmente,
dicevo, le uniche imbarcazioni che ha mai visto sono state le barchette dei
bambini che sicuramente giocavano sulle sue sponde. |
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