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State leggendo il romanzo giallo SHERLOCK HOLMES A BOLOGNA di Sandro Samoggia

 

INDICE GENERALE DEI SITO

 

INDICE DEL ROMANZO

INDICE “STORIA E FANTASIA

 

CAPITOLO 11
Hotel Brun, 3 luglio 1885, ore 10

 

Luciano ci si avvicinò mentre stavamo seduti per la colazione nel salotto dell’albergo.

«Lor signori non hanno bisogno di tornare in Borgo Ballotte?» Ci domandò timidamente, ma con molto meno ossequio - almeno mi parve - di quello che usava nei nostri confronti, prima che lo “assumessimo”, a suon di sterline, come interprete ufficiale.

Fui io a rispondere: «So che da quando hai visto Teresa e sai che abita lì, ci vorresti andare sempre in Borgo Ballotte, ma mi dispiace, Luciano, per il momento noi non possiamo muoverci: aspettiamo il Conte Paleotti

Ma Holmes, tanto per cambiare, mi smentì subito: «Per la verità, invece, io dovrei proprio andarci a Borgo Ballotte! Senta, Watson, facciamo così: io vado con Luciano mentre lei aspetta qui il Conte e,  quando viene, mi giustifica per l’assenza, e lo intrattiene finché non ritorno. Tanto, lei sa tutto sull’andamento delle indagini e se le chiede qualche cosa in merito, saprà certamente come rispondere e cosa raccontargli.»

«Vada pure, Holmes, se lo ritiene indispensabile, ma sul fatto che io sappia tutto sulle indagini, contesto e come! Le ultime sue iniziative sono state talmente incomprensibili che non so più nemmeno se lei stia ancora indagando sull’omicidio dell’orefice. Le dirò di più: ho l’impressione che lei mi stia tenendo all’oscuro proprio delle sua indagini e volutamente, il che non è un comportamento d’amico e neppure da collaboratore.»

«E come potrei, Watson? Tutto quello che so, ho visto e ho dedotto, pure lei lo sa, l’ha visto e lo avrebbe anche dovuto dedurre.»

«Vada, vada pure a Borgo Ballotte, Holmes. – Risposi piccato, tanto per dare un taglio alla discussione – Penserò io a scusarla col Conte e ad intrattenerlo!»

«Grazie, a dopo.»

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Un bel certosino

Holmes si alzò e come aveva fatto il giorno prima, si affiancò a Luciano e si avviò verso l’uscita dell’albergo parlottando con lui. Da parte mia, presi un pezzo di certosino e lo inzuppai nel te… mi parve che così facendo potesse migliorare il sapore ed in effetti così mi sembrò.

«Ma cosa sta combinando, Dottor Watson? Come si fa ad inzuppare il certosino nel te?»

Mi girai: era il Conte Paleotti che mi si era avvicinato alle spalle:

«Le garantisco che diventa migliore. Perché non prova anche lei?»

«Meglio di no… il dottore mi ha detto di limitarmi al massimo col te!» Il Conte disse così, ma mi sembrò solo una scusa improvvisata, per evitare di dover accogliere l’invito che gli avevo fatto.

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Il Conte Michele Paleotti
(Foto d’epoca indicativa del personaggio)

Il Conte si sedette e finalmente potemmo salutarci urbanamente, poi lui fece un cenno a un cameriere e gli ordinò qualcosa che mi sembrò chiamarsi “cappuccino”, ma non capii cosa significasse. Infine si rivolse a me per informarsi dove fosse Holmes: «E’ uscito poco fa dall’hotel – risposi – e mi ha pregato di scusarlo, ma aveva necessità di approfondire alcuni elementi d’indagine in Borgo Ballotte.»

«Borgo Ballotte? Ma perché? Cosa centra Borgo Ballotte con l’Omicidio Coltelli?»

Non so se riuscii a nascondere il mio imbarazzo e la mia insicurezza nel rispondergli; in fondo, la domanda del Conte era quella che da un paio di giorni mi ero posto anch’io. Purtuttavia, cercai di rispondergli e di essere il più logico possibile: «Siccome Enrica Zerbini proviene da quel posto e vi abita anche, e visto che in definitiva tutti lì erano e sono convinti della sua innocenza, Holmes ritiene di approfondire i possibili rapporti esistenti fra la donna e qualche eventuale suo … come dire?... intimo del luogo. E’ una traccia possibile di movente che non può essere tralasciata.»

«Sì, è possibile… – confermò Paleotti, soddisfatto della motivazione che gli avevo dato (e che mi ero inventato) – Un amante geloso, o un ex fidanzatino che non si è rassegnato… sì, è possibile... una classica vendetta proletaria contro il riccone che è stato causa del tradimento o dell’abbandono: possibile, sì, è possibile! D’altra parte a Borgo Ballotte può succedere di tutto e uno di Borgo Ballotte può far di tutto. Ve lo dissi che è un quartiere malfamato, che lo è sempre stato! Si uccide per un paio di scarpe come per un amore deluso.»

«E’ proprio per questo che Holmes è andato là e voi, signor Conte, potete star tranquillo. Lui è uno che sa usare bene pistola e spada ed è anche maestro di boxe … e pure Luciano che lo ha accompagnato, mi sembra un tipetto sveglio.»

«Ma a parte la possibilità di un delitto passionale, vi sono eventuali altri moventi che hanno portato all’omicidio? »

«Accidenti a Holmes! – pensai – E adesso cosa gli rispondo a questo?» Così, per prendere tempo, rinzuppai di te il certosino a ne sgranocchiai un pezzo avidamente. Mi parve che il Conte fosse disgustato da questo mio atto, ma non capivo perché. Ciò però mi dette la possibilità di cambiare per un attimo il discorso portandolo sulle specialità gastronomiche bolognesi. Il Conte allora sembrò dimenticarsi del caso Coltelli e cominciò a elencare, con nomi che mi riusciva difficile capire, minestre, arrosti, fritti misti e dolci.

«Come medico – osservai – posso pensare che non sia un mangiare sanissimo, quello di voi bolognesi.»

«Non lo so se è sano, ma è certamente un piacere, un piacere che non va rovinato inzuppando un certosino nel te! “Al sarèv comm mètter al zlè saura al tajadèli (Sarebbe come mettere il gelato sulle tagliatelle)!» Mi sembrò che quest’ultima frase l’avesse pronunciata come un pensiero detto ad alta voce, e che fosse fortemente ironica nei miei confronti; ma la disse credo in dialetto bolognese e non me la tradusse, per cui anche adesso, mentre scrivo, non so cosa significasse.

Per fortuna in quel momento arrivò il signor Alfredo Testoni che, dopo averci salutato e dopo essere stato invitato ad accomodarsi e a prendere qualcosa dal bar, ci domandò dove fosse Holmes ed io lo informai, aggiungendo che, data l’ora, non avrebbe tardato a tornare.

Da quel momento io fui escluso dalla conversazione perché i due iniziarono a parlare fra loro in italiano, senza ch’io capissi nulla di ciò che si dicevano. Passò così una buona mezz’oretta e solo a questo punto il Conte si scusò con me: «Sono stato davvero maleducato, Dottor Watson ad estraniarla dai nostri colloqui, ma sa, giorni fa si sono svolte le elezioni del consiglio comunale e mi sono informato dal Signor Testoni di come fosse andato lo scrutinio.»

«E come è andato?» Domandai giusto per cortesia, non interessandomi assolutamente nulla degli eventi politici bolognesi.

Fu Testoni a rispondermi: «Come avevo previsto, è stato confermato l’attuale Sindaco, Giacomo Tacconi… »

Il discorso fu anche questa volta interrotto, perché il Conte si accorse che stava sopraggiungendo Holmes:

«Signor Holmes, finalmente … – lo salutò ad alta voce e, alzandosi, agitando in alto una mano come per avvisarlo che lo stavamo aspettando – Venga a prendere qualcosa qui con noi.»

Holmes si avvicinò al tavolino dov’eravamo accomodati e mettendosi a sedere, spiegò: «Grazie, non prendo nulla; vengo da un’osteria di Borgo Ballotte e lì abbiamo bevuto già abbastanza… Penso che l’amico Watson le abbia già chiarito i motivi per i quali sono andato là.»

«Sì, sì, una pista davvero interessante, la Vostra, a cui nessuno aveva mai pensato.»

Holmes mi guardò sorpreso, cercando di intuire cosa mai avessi raccontato in sua assenza, ma prima che io potessi venirgli in aiuto, lui riuscì a dribblare la domanda: «Si, poteva essere, ma alla verifica fatta proprio un’oretta fa, è risultata priva di fondamento, anzi, direi quasi fuorviante. La realtà è che già da alcuni giorni ero decisamente convinto di aver risolto il caso, ma c’erano ancora alcune alternative possibili, per cui ho dovuto operare secondo il mio vecchio sistema deduttivo: in un caso criminale, esaminate tutte le possibilità esistenti e rilevata la loro infondatezza, l’unica che rimane, fosse pure incredibile, è quella che corrisponde al vero.»

Fu Testoni, questa volta, ad intervenire: «Da ciò che ha detto, Signor Holmes, si dovrebbe dedurre che lei ha risolto il caso Coltelli? O sbaglio?»

«Non sbaglia, il caso è risolto!»

Più che sorpresi, rimanemmo sbigottiti per questa drastica, assoluta e inaspettata affermazione di Holmes.

Fu Testoni a rompere il silenzio che si era venuto a creare:

«Allora, ci dica, chi è l’assassino?»

«No, no – intervenne Paleotti con decisione – Non adesso e in questo posto. Vorrei rendere un po’ più dignitosa la conclusione di questa vicenda. Che ne dice Signor Holmes, di venire a casa mia questa sera, per pranzare con alcuni miei amici e poi dirci tutto sull’omicidio di Coltelli?»

«Volentieri… lei cosa ne dice Watson?»

«Non posso che essere d’accordo, anche perché il Conte mi ha talmente parlato bene della cucina bolognese, che sicuramente saprà dimostrarlo anche con la pratica.»

«Allora d’accordo. Stasera, alle sei, a casa mia…. Ovviamente anche voi, signor Testoni sarete della partita, sempre che siate libero e lo vogliate.»

«Non mancherò di certo! – confermò il giornalista con entusiasmo – se non corro per una notizia come questa, cosa faccio il giornalista a fare? Grazie signor Conte. Vado a casa a prepararmi e non mancherò di essere a Palazzo Paleotti all’ora convenuta.»

Io e Holmes rimanemmo soli e a questo punto non potei fare a meno di rivolgergli una domanda secca: «La conclusione dell’indagine è davvero conseguente a questa sua ultima andata in Borgo Ballotte?»

«Certamente. E’ qui che ho avuto una delle prove inconfutabili su chi ha ucciso l’orefice Coltelli.»

«A Borgo Ballotte?.... Ne devo dedurre che i crimini di vent’anni fa c’entrino coll’omicidio.»

«Se lo dice lei, Watson, sarà senz’altro così!»

«Mi prende in giro?»

«Affatto.»

«Quindi la sentenza che le ha consegnato l’avvocato Pasi è essenziale per l’indagine.»

«Se lo dice lei, Watson, sarà senz’altro così!»

«Appena torna Luciano me la faccio leggere in inglese, così potrò capire qualcosa anch’io!»

 

Anni prima…
a Palazzo Comunale fra il settembre e l’ottobre 1864

 

Il processo era iniziato il 24 aprile e dopo la deposizioni di Pinna e quelle degli altri poliziotti ed inquirenti che avevano attivamente partecipato alle indagini, ci vollero ancora mesi per giungere a sentenza.

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Pietro Ceneri, uno dei capobanda
della Camorra bolognese (Stampa d’epoca)

A metà settembre toccò ai rappresentanti della difesa e dell’accusa scendere in campo in prima persona per far valere le proprie ragioni davanti ai giudici e per convincerli o ad assolvere o a condannare. La tensione fra i cento e più imputati era al massimo, perché le parole che sarebbero state pronunciate come preambolo all’atto finale dell’azione giudiziaria nei loro confronti avrebbero determinato o il loro futuro o la mancanza di un futuro.

I primi a parlare furono gli avvocati difensori, e il più incisivo fu Ruffillo Torchi che alzatosi dal suo scranno, si pose davanti alla gabbia degli imputati, come volesse proteggerli dal pubblico, dai giornalisti e anche da giudici e giurati. Non domandò assoluzioni, non chiese diminuzioni di pene, ma appellandosi alla comprensione di chi doveva emettere la sentenza, puntò tutto su di un unico colpevole, l’ambiente politico e sociale nel quale, e a causa del quale, le azioni criminose si erano svolte:

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Maria Mazzoni, lunica donna
dei 110 imputati (Stampa d’epoca)

«Che gli imputati siano delinquenti incalliti, specie i capi, non vi è alcun dubbio, ma che la degenerazione della banda e la sua grande possibilità di agire in tutti gli strati della popolazione sia stata determinata dalla situazione sociale del basso ceto bolognese, anche questo non può essere disconosciuto. Con l’avvento del Regno d’Italia, la civile Bologna è stata considerata terra di conquista dei piemontesi e non parte integrante di un nuovo Stato. La stessa gabbia ove gli imputati sono stati concentrati, è uno strumento medioevale più adatto a rinchiudere belve indomite e feroci, anziché uomini giudicabili. Quella gabbia starà a perenne smentita della civiltà e del progresso di questo secolo! (Testuale dagli atti del processo Nd.A.) »

Dopo questa incisiva ma sconfortante introduzione e dopo aver chiarito quella ch’egli sosteneva essere la posizione reale dei suoi patrocinati, che non era certo quella ipotetica sostenuta dell’accusa, l’avvocato terminò la sua arringa con un accorato richiamo:

«Siate cauti, siate cauti perché giustizia, perché coscienza, religione ed umanità lo esigono. Cauti perché il fardello di cui foste caricati, il mandato che avete a compiere, è gravissimo e di immensa difficoltà. Ricordatevi, o signori giurati, ricordatevi che siete uomini! (Testuale dagli atti del processo Nd.A.). »

Di tutt’altro parere il Pubblico Ministero, cav. Antonio Pizzoli, il quale non evitò di affrontare anch’esso l’aspetto politico, ma in tutt’altra direzione, imputando i crimini avvenuti ai precedenti regimi, e non certamente alla nuova e moderna realtà sociale rappresentata dal Regno d’Italia che s’era sostituito ad essi.

«Leggi penali, se buone in origine, non più informate al progresso ed al bisogno dei tempi: - processure lunghe e quindi pene spesso sfuggite e sempre inefficaci: - Governo o poco calente della sicurezza del cittadino, o inetto a procurargliela: - Polizia, più che sui malfattori, vegliante su chi era voce di novatore o di avverso al Governo: - Carceri che lungi dal prestarsi al grande benefizio delle riscipisenza e del miglioramento, si prestavano invece ad orge non infrequenti, a criminosi conciliaboli, ed alla consumazione di misfatti che necessariamente dovevano rimanere impuniti: - Tribunali di eccezione che, anche giudicando rettamente, lasciavano luogo al dubbio che più che la Giustizia, si servisse alle passioni di partito e alla volontà dei Governanti: - Commissioni militari austriache le quali fucilando alla rinfusa ladroni e patrioti, e più spesso patrioti che ladroni, non di rado facevano scambiare il malfattore col martire: - Credenza, erronea per certo, ma pure generalmente invalsa, che Polizia e Giustizia fossero venderecce: - queste furono le cagioni principali che, assieme con altre molte, fecero che nel seno della nobilissima Bologna s’annidasse un covo di ladroni ed assassini. (Testuale dagli atti del processo Nd.A.) »

Ma è dal passaggio successivo che l’arringa accusatoria, pur nella sua forte retorica, diventa estremamente incisiva e convincente, tanto da prevalere su quella difensiva:

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Alcuni dei 110 imputati ritratti durante la Causa Longa

«Tutto ciò che di più schifoso avevano rigettato gli ergastoli e le galere; tutto ciò che di più tristo si racchiudeva nella Città, oziosi, bari, ladri, manutengoli, micidiali, assassini, tutti si raccolsero, tutti si strinsero ad un iniquo patto, si costituirono insomma in associazione cosiffatta da potere, com’essi pensavano, dar di piglio impunemente nel sangue e negli averi altrui. E tutti sanno come Bologna fosse lungamente desolata dalle rapine e dalle stragi; tutti dolorosamente ricordano come questa città, già ricetto venerato del giusto e del diritto, già maestra al mondo di vivere onesto e civile, già riverita delle città sorelle quali Atene italiana, diventasse la sede della violenza e della rapina e quasi andasse in vece d’incivile e selvaggia. (Testuale dagli atti del processo Nd.A.) »

La sentenza finale è nota:

«….Condanna Alessandro Gandolfi, Pietro Franzoni, detto “Pira”, Luigi Mariotti, Giuseppe Malaguti, Giuseppe Paggi, Camillo Trenti, Gaetano Bertocchi, Cesare Caselli, Luigi Canè, Giuseppe Gamberini e Francesco Laghi, ciascuno singolarmente ai lavori forzati a vita…. (Testuale dagli atti del processo Nd.A.)»


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