CAPITOLO 4
Al termine del racconto, e mentre stavamo gustando la frittata, semplice ma davvero squisita, il Conte chiamò l’oste e gli ordinò di portare a “Ioffa”, un piatto di fagioli e un litro di quello buono. «Fai presto, Pascuèl, soprattutto col vino – aggiunse ironicamente – perché mi sembra che il nostro amico sia in astinenza.» «Astinenza, “Ioffa”? – disse ridendo l’oste – Lui è sempre in astinenza, ma non certo di fagioli… » Ricevuto un grato sorriso da “Ioffa”, che non nascose certamente di aver gradito più il vino che i fagioli, Paleotti volle concludere la vicenda di quella famosa notte dandoci gli ultimi ragguagli: «Il Capitano Comini trovò il cadavere di Coltelli nelle condizioni descritte dalla Zerbini, ed il medico legale ufficializzò che la morte era dovuta alla violenta frattura dell’osso craniale causata dai ripetuti colpi di arma contundente, presumibilmente un martello.» «Segni particolari nell’abitazione?» Gli chiese Holmes. «Nessuno, solo un catino d’acqua con indumenti insanguinati dentro: la Zerbini chiarì, però, che quel sangue era dovuto al ciclo mestruale che stava attraversando. Per il resto, tutto risultò in ordine: nessun cassetto aperto, nessuna suppellettile spostata, nessun segno di effrazione. E, in effetti, l’unica porta per entrare o uscire da quella casa era ermeticamente chiusa dall’interno, tanto che, come abbiamo sentito, per fare le sue prime indagini, la polizia poté accedere al luogo del delitto solo dalla finestra.» «A questo punto – dissi io, quasi volessi esibirmi in una deduzione tipicamente “holmessiana” – si deve immaginare che la conclusione sia stato l’arresto della Zerbini: la porta è ermeticamente chiusa, lei è la sola nel luogo dell’assassinio, nessun’altro vi è potuto entrare…» «In effetti questa è stata la conclusione a cui è arrivato la Procura, che ha trasformato il fermo della Zerbini in arresto e che l’ha rinviata a giudizio per omicidio.» «E il giudice l’ha assolta!» Questa affermazione di Holmes mi prese completamente di sorpresa: come faceva a conoscere la conclusione di un processo di cui fino a quel momento non sapeva neppure che si fosse svolto? Anche il Conte rimase sorpreso: «In effetti è stato così… Ma mi scusi, Dott. Holmes, come fate a saperlo?» «Elementare, signor Conte… Dal momento che voi mi avete chiamato qui a Bologna, per scoprire l’assassino del vostro amico, è evidente che a tutt’oggi non si sa chi esso sia e che, quindi, la Zerbini, unica indiziata, è stata assolta. Se fosse stata condannata, io non sarei qui.» «Ovvio… – sembrò quasi scusarsi il Conte – Sì, la Zerbini è stata assolta con formula piena anche perché a difenderla c’erano un luminare del nostro foro giudiziario, l’avvocato Adolfo Pasi.» «A mio parere – tenne a precisare Holmes – l’avvocato non c’entra! È stata assolta perché innocente.» «E perché escludere a priori un errore giudiziario, Holmes?» Chiesi non comprendendo l’assolutismo del mio amico. «Già, come fate a dirlo con tanta sicurezza, dottor Holmes?» Aggiunse il Conte. «Perché, se fossi stato io in quella donna e avessi ucciso l’orefice, avrei aperto la porta, prima di gridare e chiamare aiuto. Solo così avrei potuto dimostrare che in casa si era introdotto un estraneo che è poi scappato. O la Zerbini è matta (ma non lo è affatto), o ha detto la verità! E se ha detto la verità, allora è innocente. Non le sembra elementare, signor Conte?» «Il ragionamento fila…» «C’è però una cosa che mi lascia perplesso ed è proprio la faccenda dell’avvocato.» Incalzò Holmes. «Cosa intendete?» «Voi, signor Conte avete detto che la Zerbini è stata difesa da un famoso avvocato di Bologna… Strano, molto strano.» «Perché strano?» «Perché voi avete anche detto che la Zerbini è una donna del popolo, una poveraccia: e allora dove ha trovato i soldi per pagare un legale di tal fatta?» Vi fu fra i due un attimo di silenzio, che diedero il tempo, al Conte di meditare sull’osservazione di Holmes a cui evidentemente non aveva pensato prima, a Holmes di terminare la sua frittata, e a me non solo di sorseggiare l’ultimo bicchiere di vino, ma di guardare le facce di “Ioffa” e “Pascuèl” completamente perplesse, non potendo comprendere nulla di ciò che ci stavamo dicendo in inglese ed avendo una forte curiosità di saperlo. «Lei ho ragione, Dottor Holmes. – condivise il Conte – La Zerbini abitava nel degradato borgo Ballotte ed era figlia di operai di bassa lega... Dove e come ha potuto trovare i soldi?» Fui io a questo punto ad intervenire: «Forse li ha pagati con i furti che commetteva nella gioielleria in cui prestava la sua… come dire?... opera!» «Non credo, – fu la risposta del Conte– la Zerbini ha confessato sì di aver rubato qualcosa dalla bottega, ma perché istigata a farlo da un altro suo amante, un certo A. P., un “biassanot” figlio di un notaio …» «Persona quindi molto benestante – osservò Holmes – e allora non capisco che bisogno avesse questo signor A.P. a sollecitare la propria amante, la Zerbini, a rubare all’altro amante, il Coltelli...» Altro attimo di silenzio, che fui io a interrompere: «Non potrebbe essere – domandai con fare ingenuo, ma convinto di ciò che stavo dicendo – che la Zerbini, o come convivente del Coltelli, o come amante di questo A.P., abbia saputo qualcosa su qualcuno d’importante a Bologna e che, quindi, fosse lei a ricattare chi poi, per ottenerne il silenzio, ha anche pagato i due avvocati?... È un’ipotesi, ovviamente!» «Caro Dottor Watson – disse Holmes – complimenti, niente male questa sua considerazione...» «Dottor Watson! – esclamò sorpresissimo il Conte Paleotti – perché, anche lei è dottore?» «Qui dentro – dissi un po’ sollevato per poter chiarire finalmente la questione – l’unico laureato, e in medicina, sono io e, quindi, l’unico a poter essere chiamato dottore.» «Perché, lei non è laureato, … dottor … signor … Holmes?» «No, mi spiace, ho sempre ritenuto inutile esserlo.» «Ho fatto due gaffe in un colpo solo, bel primato! Ho dato del dottore ad uno che non lo è e non ho chiamato dottore uno che lo è davvero. Scusatemi entrambi!» «Lasciamo perdere, signor Conte! – disse Holmes con fare a mio avviso un po’ troppo ironico – Il caro dottor Watson non si offende mica se non lo si chiama dottore, vero, dottor Watson?» «Certamente, dottor Holmes…. – dissi raccogliendo e contraccambiando l’ironia, ma per poi tornare subito sull’argomento per il quale eravamo a Bologna – Questa Enrica Zerbini è una donna decisamente singolare, anzi, straordinaria: se ho ben capito, dice tutto e il contrario di tutto e ogni cosa che dice la fa sembrare plausibile, pressoché reale e, forse, per lei lo è davvero. Credo, in definitiva, che non sia una bugiarda; il bugiardo è quello che dice le cose sapendo di mentire, non quello che le dice pensando che siano vere. La Zerbini è piuttosto una visionaria, anzi una sognatrice che trasforma i suoi sogni (o le sue visioni, o i suoi pensieri, decidete voi) in fatti vissuti a tutto tondo. Donna straordinaria, davvero straordinaria!» «Caro amico mio, come si vede che lei è un letterato, più che un medico, Ma stavolta il letterato è stato molto più acuto dello scienziato. Sono d’accordo con lei ed è qui la difficoltà dell’indagine: tutto si basa su di un testimone che non distingue e non fa’ distinguere il vero dal falso.» Dettomi questo, Holmes si rivolse al Conte: «Credo che una chiacchierata con la Zerbini potrebbe chiarire due o tre cose utili all’indagine. Voi, Signor Conte, potreste trovare il modo di farmela incontrare?» «Direi di sì, anche se ho sempre pensato che sia una donna da tenere a giusta distanza. Prima, però, bisogna rintracciarla. A conclusione del processo infatti, come sempre accade nelle notorietà occasionali, è scomparsa dalle cronache cittadine. Comunque ci proviamo.» «E come farà, lei, Holmes – interloquii come volessi sottolineare una difficoltà non prevista – a fare questa chiacchierata con la Zerbini? Non credo che quella donna sappia l’inglese.» «Non c’è problema, per questo – rassicurò il Conte – sarò io a fare da interprete.» Holmes scosse la testa: «Scusatemi, signor Conte, ma vista la scarsa considerazione che lei ha di quella donna, credo sia meglio che voi non ci siate. Oltretutto, la presenza di un nobile altolocato della città, e che era intimo amico di Coltelli, potrebbe rendere difficile il dialogo con una popolana e, forse, falsarne i Contenuti. Watson è sempre acuto nelle sue osservazioni, ma io sapevo già come fare. Usufruirò del cameriere che è al nostro servizio all’Hotel Brun. Non è un gran che come accento inglese, ma la lingua mi sembra che la conosca sufficientemente bene.» A questo punto il discorso parve finito, e con esso il semplicissimo, ma ottimo desinare servitoci in quell’osteria. Anche la domanda che il Conte fece ad Holmes sembrò di tipo conclusivo: «Cosa ne pensate voi di tutta la faccenda, signor Holmes, ora che le è stato fatto un panorama, anche se succinto e approssimato, di quanto accaduto?» Holmes accese la sua pipa: «L’indagine si presenta molto difficile, ma una qualche idea di come si siano effettivamente svolti i fatti in quella casa di via Orefici me la sono già fatta...» Holmes non poté continuare, perché sia io che il Conte Paleotti lo interrompemmo: «Cosa? – esclamammo all’unisono, più che increduli, allibiti – Com’è possibile?» «Calmi, calmi, non ho mica ancora risolto nulla, si tratta solo di un’ipotesi che chiunque avrebbe potuto fare: Coltelli era vecchio ed asmatico … ma lasciamo stare è solo un’idea … Mi occorrono altri elementi e spero che me li dia la Zerbini se riuscirò a farle qualche domanda.» Paleotti estrasse dal panciotto l’orologio e lo guardò. Più che vedere l’ora, sembrò soppesare l’oggetto tenendolo in sospeso sul palmo della mano, poi disse: «Va bene, è ora d’andare, per me. Spero che abbiate mangiato bene, nonostante siano stati serviti solo fagioli e frittata… Vi dirò, ho un appuntamento all’accademia musicale. C’è un concerto di musiche wagneriane e avrei gradito davvero avervi come ospiti, ma c’è il tutto esaurito da mesi.»
Lo guardai e notando sul suo viso una certa sincera delusione, cercai di attenuarne il dispiacere: «Fa niente, signor Conte, siamo un po’ stanchi e poi… voi lo sapete sicuramente… noi inglesi amiamo più la musica italiana, che quella tedesca.» «Anche noi bolognesi amiamo la musica italiana – precisò Paleotti – e non per nulla Rossini e Donizetti si sono formati musicalmente qui da noi, nel nostro conservatorio, ma per Richard Wagner c’è una vera passione, tanto che la prima italiana del Lohengrin si tenne nel nostro prestigioso teatro con un successo che fece epoca.» «Richard Wagner?» Esclamò “Ioffa” che nella totale ignoranza della lingua con cui stavamo dialogando, aveva però ben recepito il nome del grande musicista tedesco. Lo guardammo sorpresi e sorridendogli, ma senza dar peso a questa sua uscita, per proseguire nei nostri discorsi. «Va bene Wagner – dissi – ma non possiamo mica permettere che la sua musica ci faccia dimenticare la vera ragione per cui siamo qui a Bologna.» Il Conte assentì e si rivolse direttamente al mio amico: «Se ho ben capito chi siete voi, Signor Holmes, non credo che un concerto, sia pura di musica wagneriana, abbia il potere di farvi dimenticare un’indagine. Scommetterei che è proprio la musica a farvi concentrare meglio su di un caso e a suggerirvi la sua soluzione.» «Complimenti, Signor Conte – dissi sinceramente ammirato – Voi avete effettivamente capito il carattere del mio amico, fumatore e suonatore di violino. Quando è il caso, con una buona pipata e una sviolinatina accanto al camino, ogni mistero viene chiarito.» «Aiutano, aiutano – confermò Holmes con sufficienza – ma in questo caso aiuteranno molto di più le quattro chiacchiere che farò con la Zerbini.» «Bene allora – concluse Paleotti alzandosi dal tavolo e dirigendosi verso l’oste per pagare – ora possiamo davvero andare.» Dopo ch’ebbe pagato, ci apprestammo ad uscire dall’osteria del Sole, ma mentre stavamo per raggiungere l’angusta porta che dava su vicolo Ranocchi, udimmo una fisarmonica suonare; era “Ioffa” che aveva imbracciato lo strumento e che stava eseguendo con maestria una scatenata “Cavalcata delle Valchirie”. Anni prima…
Tutta Bologna era al Teatro Comunale, tirato a lucido per la prima della stagione operistica di quell’anno, dedicata alla tetralogia wagneriana: "L'Anello del Nibelungo", “L’oro del Reno”, "La Valchiria” e "Il Siegfrido". In platea e nei palchi, signori in smoking con donne in elegantissimi abiti e tutte ingioiellate e, su, in alto, assiepata nel loggione, gente comune ma col vestito bello della festa, esaltata da quella musica nei confronti della quale Verdi “l’êra rôba da rédder!” (“era roba da ridere). Durante l’intervallo, nel fumoir, un breve ristoro, una fumatina, qualche inchino qua e la e tante, tante chiacchiere, non sempre dedicate all’opera e alle sue musiche. «Carissimo Sindaco, anche tu qui stasera. Credevo ci fosse Consiglio Comunale.»
«Eh, no, caro il mio Michele, quando c’è Wagner, non c’è politica che tenga! Anche l’opposizione era d’accordo di aggiornare la riunione ad altra data.» «Almeno nella musica i socialisti non fanno caciara! D’altra parte Wagner è sempre Wagner e se non è lui a mettere d’accordo tutti, chi ci riesce?» «Nessuno, non c’è dubbio! È per questo che abbiamo deciso di dedicare questa stagione al grande musicista tedesco….» «Tedesco sì, ma anche bolognese! » «E lo dici a me? E’ stata la mia giunta comunale ad assegnargli la cittadinanza onoraria di Bologna!» Erano il Conte Michele Paleotti e il Sindaco di Bologna Gaetano Tacconi che stavano parlando, spesso interrotti da altra gente che, passando, li salutava amichevolmente. Tacconi era un tipo senza dubbio sveglio, con due occhi illuminati e illuminanti, e una bianca, abbondante e scomposta capigliatura: chi non lo avesse conosciuto, avrebbe detto ch’era un musicista scapigliato e non certo un politico di estrazione conservatrice fra i più affermati e votati della città. «Scusa se cambio discorso, Gaetano, ma nessuna novità sul caso Coltelli?» «No, nessuna novità, d’altra parte il fatto che io sia il sindaco non mi da’ il diritto di saperne di più degli altri. Aspettiamo tutti il processo, ma ho l’impressione che questo sarà un caso insoluto di omicidio. » «Come la scomparsa del giudice e la morte della Spisani?» «Per la verità – interloquì il Sindaco – il caso Spisani è stato risolto e l’assassino condannato!»
«No – disse una voce alle spalle dei due – sappiamo tutti che la condanna di quello stalliere è stata una proforma per calmare le acque su possibili scandali, perché, si sa!… … piò la s armasda e piò la pózza! (“Più si rimescola e più puzza” , classico detto dialettale bolognese) » Chi aveva interrotto il dialogo fra il Sindaco Tacconi e il Conte Paleotti, era un giovane distinto ed elegantissimo nella sua marsina nera, un vero e proprio dandy, ben impomatato, con due sottilissimi baffetti lungo il labbro superiore, un monocolo ben stretto nell’occhio sinistro e, fra le dita, una fumante “spagnoletta” (sigaretta) inserita in un lungo bocchino d’ambra. «Oh, abbiamo qui il nostro marchese Franciotto Tanari– esclamò Paleotti avvicinandosi all’amico e dandogli una bella pacca sulle spalle – era un po’ che non ti vedevamo e che non sentivo il tuo continuo polemizzare con le autorità giudiziarie di questa città.» «E come non polemizzare quando ci si è dimenticati di indagare adeguatamente anche sulla scomparsa improvvisa del giudice Cavagnati? Ma che dico “giudice”? Procuratore del re e, oltretutto, mio amico.» «Roba di tanti anni fa… Adesso le cose sono cambiate, e come!» Sembrò voler minimizzare il sindaco. «Mica tanto! – Franciotto estrasse dalla tasca un biglietto e lo lesse sillabando ogni parola e ogni numero – Secondo le ultime statistiche, in due anni a Bologna ci sono stati 77 omicidi, 8 infanticidi, 162 aggressioni e rapine, 1139 furti, 13 estorsioni, e 149 atti di ribellione, senza contare le azioni di brigantaggio in montagna e tutti gli altri delitti che non sono stati denunciati.» «Vero! Li conosco anch’io questi numeri, – reagì il sindaco con un forte risentimento – ma sono ben inferiori a quanto succedeva sotto il governo dei papi. Non ricorda, Conte Tanari, i ben più numerosi delinquenti che proprio con l’ordine pubblico instaurato dai Savoia, si è riusciti a estirpare con grande decisione e in nome di una giustizia vera ed intransigente? Si è forse dimenticato i 110 imputati tutti processati per associazione a delinquere e condannati a giusta pena?…» «Giusta pena? Mi scusi signor Sindaco, ma mi sembra che voi siate fin troppo ottimista! Il capo di quella cosca, Pietro Ceneri, condannato ai lavori forzati a vita, è evaso dopo pochi anni… chissà poi con l’aiuto di chi… ed è ancora uccel di bosco! Senza contare che l’assassino più efferato di tutti, Pio Bacchelli, fu sì condannato a morte, ma in contumacia e non è mai stato catturato; tutti gli altri, ormai, dopo tanto tempo, saranno già fuori e chissà cosa stanno combinando, senza che nessuno faccia qualcosa.»
La discussione sull’ordine
pubblico a Bologna fra il Sindaco Tacconi ed il contestatore Conte Tanari stava prendendo una piega troppo accesa per
l’ambiente in cui i due si trovavano e per la tipologia della serata dedicata
alla sublime musica del grande Wagner e allora il Conte Paleotti
volle interrompere l’antipatica diatriba cambiando improvvisamente discorso:
«Ma guardate chi ci sono là, stasera, l’esimio professor
Carducci e il suo editore
Zanichelli, … che ne dite di andare a
salutarli?»
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