ARCHIGINNASIO
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STORIA
Fino al XV secolo, lo Studio di Bologna (la più antica
università del mondo occidentale) non ebbe mai una sede stabile,
insegnando i Lettori (professori) o a casa propria o in sale prese in
affitto. Quando
nacque lo Studio (tradizione si vuole che fosse il giurista Irnerio a
fondarlo, nel 1088) le lezioni si tenevano in zona Santo Stefano, ma poi esso
si localizzò della basilica di S. Francesco, per le arti liberali e
fra Porta Procula e Porta Nova, per il Diritto. Queste due
“facoltà” si trasferirono ben presto attorno alla
Fabbriceria di San Petronio, (l’attuale piazza
Galvani), tanto che l’attuale via Farini era
chiamata via delle scule. Solo nel 1561,
con bolla di Papa Pio IV, l’Università ebbe la sua prestigiosa ed unica collocazione: l’Archiginnasio.
Forse lo Studio divenne così più rappresentativo ed
importante, ma di certo (sotto l’imprimatur ecclesiale) perse quell’autonomia d’insegnamento che ne aveva caratterizzato i cinque precedenti secoli; fu
insomma chiuso in una gabbia d’oro. Dopo appena un
anno dalla bolla che ne aveva autorizzato la
costruzione (1561) il palazzo era già compiuto per opera di Antonio Morandi, detto il “Terribilia”,
uno dei più grandi architetti bolognesi, (San Domenico, San Giovanni
in Monte, Palazzo Orsi, S. Giacomo Maggiore, ecc.) ARCHITETTURA ESTERNA
La struttura
dell’Archiginnasio è oltremodo semplice: un solo piano, per Sopra gli archi
altrettante finestre finemente lavorate in arenaria coi
timpani diversi l’un l’altro sia per forma di ornati che
per gli stemmi centrali. Al riguardo va sottolineato
come il soprannome di “Terribilia”
fosse affibbiato al Morandi, proprio dopo
ch’ebbe disegnato il palazzo e, soprattutto, gli spaventosi mascheroni
che ne ornano le finestre.
E’
indubbio che oltre al Terribilia, il merito
dell’edificio vada attribuito anche al sovrintendente Cardinale Pier
Donato Cesi, fatto sta che quell’edificio
fu subito e giustamente definito “le più belle Scuole et Studio che sia al Mondo”
Nella zona dove
venne eretto l’Archiginnasio, esistevano
già delle scuole, dette “di San Petronio”. Di esse rimane l’ala dell’edificio su via Farini, che mantiene la originale struttura
quattrocentesca. L’altra importante vestigia dei precedenti stabili conglobati
nell’archiginnasio, lo traviamo dalla parte opposta, all’inizio
di via de’ Fusari,
dove esiste ancora la struttura ed il bel portale della chiesa di San
Cristoforo (XV Secolo). INTERNO: CORTILE E LOGGE
All’Archiginnasio
si accedere da piazza Galvani, e già il
portale dà l’idea di quanta prosopopea si scoprirà
all’interno, dove tutto è teso all’esaltazione degli
antichi docenti che per tre secoli si “esibirono” nelle aule interne.
E sul portale,
ovviamente, come prime “memorie” sono dipinti le armi di Papa Pio
V, del Cardinale Legato Borromeo, e del
Sovrintendente Cesi, in sostanza dei tre ideatori
dell’Archiginnasio Entrando, si
apre alla vista il cortile, vero e proprio chiostro laico da cui, con ampi
scaloni si accede alle aule superiori. Il cortile, il
suo porticato, le colonne, le arcate interne confermano questa prima
impressione perché è da qui che inizia il susseguirsi continuo
delle “celebrazioni” accademiche, fatte di stemmi, sculture e
memorie. Sono ornati
talvolta in rilevo e talvolta dipinti, ma quasi sempre
tali da unire ed incorniciare la pittura con bassorilievi araldici a
tuttotondo. Si tratta delle cosiddette “memorie” di chi
frequentò a qualunque livello lo Studio e di esse
parleremo più dettagliatamente nel prosieguo.
I grandi scaloni che dal piano cortile portano a quelli
superiori continuano nell’esaltazione di chi fu
nell’Archiginnasio, rettore, docente, studente importante,
finanziatore, politico influente, presidente di corporazione studentesca,
ecc. Al momento le “memorie” esistenti sembrano siano quasi
seimila, per cui, fra quelle scomparse, ricoperte e
rifatte nei secoli, si può valutare circa 50/60 mila stemmi, la
più grande raccolta araldica esistente al mondo. Ovviamente
l’Archiginnasio era a tutti gli effetti una
scuola e, quindi, doveva essere dotata di aule, sale per le conferenze,
biblioteche. Gli spazi di
docenza hanno nel tempo cambiato la propria destinazione, ma il fascino degli
ambienti non è affatto mutato e le pareti
ricordano quasi “affettuosamente” gli antichi frequentatori di
quello splendido palazzo
La grande Aula Magna dell’Archiginnasio venne
ribattezzata dal 18 marzo 1842 “Sala dello Stabat
Mater”.
Fu in quel
giorno, infatti, che venne eseguita per la prima
volta pubblicamente l’opera di Rossini che
porta quel nome e fu un grandioso successo, non solo perché si
trattava di Rossini, ma anche perché egli
dopo dieci anni di silenzio, ripresentava al mondo una sua composizione (e
che composizione!). IL TEATRO ANATOMICO
Col passare dei
secoli lo Studio bolognese va lentamente a decadere per quanto concerno lo
studio del Diritto, ma in proporzione acquisisce valore e validità nel
campo della medicina e della chirurgia. Questa
Facoltà - come la chiameremmo oggi - nasce con Mondino de’ Luzzi (prima metà del XIV Secolo), a cui spetta il
riconoscimento di aver effettuato la prima dissezione pubblica e aver
realizzato il primo atlante anatomico. La cattedra di anatomia,
si svincola da quella di medicina nel 1570 circa e nel 1795, e così,
essendo Rettore Giulio C. Aranzio, altro
grande medico bolognese, anche Bologna (seconda dopo Padova) avrà il
suo Teatro anatomico. È un
ambiente completamente foderato in legno con sullo
sfondo la cattedra a baldacchino del “Magister”
(o del grande chirurgo), al centro il tavolo anatomico con piano di marmo e
agli altre tre lati le tribune per chi assiste alla lezione anatomica. Alle
pareti e sul soffitto intarsi, sculture, e, come al
solito, gli stemmi dei docenti, il tutto in legno e rifinitissimo
Delle statue
del baldacchino della cattedra, i due “Scortichi” laterali sono
opera di Ercole Lelli
(1735), le altre, quelle che lo sovrastano, e quelle inserite in edicole
alle pareti dell’aula e che rappresentanti i grandi medici
del passato, sono di Silvestro Giannotti. Occorre
rilevare che il nome di “teatro” non è
affatto improprio, in quanto alla dissezione dei cadaveri assistevano
non solo e non tanto gli studenti di anatomia, ma anche i notabili
bolognesi, comprese le donne. come se si trattasse
di uno vero e proprio spettacolo.
Che il
fatto di assistere ad un’autopsia fosse un momento qualificante per i
Vip dell’epoca, è documentato dal fatto che per poter avere gli
scranni di prima fila, sorse una diatriba “gravissima” fra i
nobili, le autorità comunali ed il corpo accademico.
Alcuni elementi delle soffittature
L’unica
immagine a colori dell’insieme di questo splendida
cappella è un acquarello ottocentesco e nulla più,
perché questo luogo sacro per l’archiginnasio (e per
l’arte bolognese del ‘500) andò quasi completamente
perduta il 29 gennaio 1944, durante la guerra, a causa del bombardamento che
colpì il centro della citta.
Dal confronto
fra questa stampa e l’attuale cappella, appare distintamente quale
capolavoro prettamente bolognese sia andato perdutoamche se di esso rimangono alcuni resti notevoli
(ma che fanno rimpiangere acor più la
perdita dell’intero complesso dipinto da Bartolomeo Cesi
nel 1594. MEMORIE E MONUMENTI I
“monumenti” che adornano ovunque
l’Archiginnasio pur essendo chiamati “memorie” non erano
quasi mai dedicati “alla memoria”, ma venivano costruiti
dagli interessanti ancora viventi, anzi era propri la loro vita che
determinavano la “memoria”.
Professori,
scienziati, letterati, studenti, rettori, sono migliaia e migliaia gli stemmi
e le statue che li ricordano, ma vi sono anche i “logos” delle Naziones (corporazioni di studenti provenienti da uno
stesso Stato) delle città, dei nobili che frequentavano
l’università e… più che ne
se ha, più se ne metta. E’
un’epopea barocca ed agiografica di grande
fascino e non manca lo stupore e l’ammirazione in chi la guarda, come
documentano alcuni esempi qui sotto riprodotti.
Su due
monumenti, però, vale la pena raccontare le motivazioni, in quanto (il
mondo in effetti non cambia) ricordano in sè antiche storia di baronie universitarie. Nel ‘600, il Professor Girolamo Sbaraglia era il
massimo cattedratico bolognese della facoltà di medicina e si oppose
fortemente alle innovazioni che il grandissimo Marcello Malpighi
annunciava ed esperimentava in quel campo. Pur di impedire
l’affermazione delle teorie della nuova
scienza medica, non mancò di attentare alla vita del Malpighi, inviano sicari nella sua casa di Granarolo. Tutti e due hanno all’Archiginnasio la loro memoria, ma mentre quella
dello Sbaraglia fu realizzata lui in vita, per Malpighi
si dovette aspettarne la morte e poco vale l’ammenda scritta dai
Bolognesi sulla lapide: “Un grande nome, non abbisogna di ornamenti, ma
basta citarlo per immolarlo.” |