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Uomo vero o Burattino FAGIOLINO L’OSCURA VITA DI UN POPOLANO NEI SECOLI —
Come mai solo, Fagiolino? Non s’era
d’accordo che venivi qui con Sganapino? —
Sai com’è… all’ultimo momento non è potuto venire,
si era iscritto alle liste di collocamento per i giovani ed è stato chiamato
proprio un’ora fa. —
Sempre in cerca di lavoro, quel cinno!
Pazienza, intervisterò solo te. —
Prima voglio sapere perché, dopo nobili.
scienziati. papi e tutta quella roba lì. Hai voluto parlare con me. —
Perché, Fagiolino, mi è sembrato giusto,
dopo le interviste ai protagonisti della storia, fare quattro chiacchiere
anche con chi l’ha subita. —
Soccia, come parli difficile! —
Fai ragione e cercherò d’essere più chiaro.
Volevo parlare con te – e con Sganapino - perché rappresenti, in un certo
senso, il popolo di Bologna, che in genere nei libri di storia non è mai
descritto. Hai capito? —
Quindi sono qui in veste di « rappresentante
del popolo »… che onore! —
Allora vediamo: nel medioevo tu,
rappresentante del popolo, cosa saresti stato? —
Mah… forse un lavoratore della terra che per
vivere doveva rubare una manciata di grano al feudatario! —
Durante il Rinascimento? —
Avrei lavorato in un lanificio o in un
setificio, in mezzo a quei calderoni dove erano bolliti i filati… oppure
sarei stato uno scagnozzo di qualche nobile… una specie di bassa forza nelle
risse. —
E nel Seicento? —
Non avrei avuto scelta. Sarei stato un
plebeo indifeso c senza diritti, uno di quelli che durante la festa della porchetta
si sarebbe gettato nella mischia per raccattare un qualche pezzo di carne. —
Rimangono il Sette e Ottocento… —
Sarei stato (ed in effetti lo fui) un servo
astuto e lazzarone di un damerino o persona importante. Poi, il secolo dopo,
un proletario sfruttato in qualche fabbrica manifatturiera. —
E ora, in questo secolo, cosa sei? E
Sganapino? —
Sganapino, te l’ho detto, è stato fino a
qualche minuto fa un disoccupato e, forse lo sarà ancora… con la voglia di
lavorare che ha! Io sono un operaio della Ducati, però iscritto al Sindacato…
vedi la tessera? —
Mi sembra giusto, quindi, l’aver voluto
parlare con te! La storia non è solo quella dei re, ma anche quella dei popolani
che tu, sia pure come burattino, sei uno dei pochi che possa parlare per la
gente di Bologna. A proposito. Come si vive da burattini? —
Male, molto male, credimi! Non è piacevole
essere manovrati da altri che ti danno il movimento, la voce, il pensiero.
Per esempio: quando arriva Pantalone, il copione vuole che io mi inchini: non
vorrei, desidero ribellarmi, star dritto come un fuso, non dar soddisfazione
a quel ricco avaro… Ma non posso! Il dito che sostiene la mia testa di legno
si piega e anche se non voglio chino il capo, divento ossequioso, onoro chi
in definitiva disprezzo. —
Le storie che ti vedono protagonista non
sono così. Alla fine tutti ti esaltano e tu resti vincitore su tutti, nobili
e ricchi. —
Sì è vero, ma, soccia, io non c’entro per
niente, sono e resto un burattino! Credimi, non è facile né decoroso, per
poter mangiare un piatto di minestra, distribuire bastonate, riceverne altre,
ossequiare i nobili, far da ruffiano ad innamorati, ingannare il prossimo. I.
Senza contare, poi, che finisco sempre appeso ad un chiodo a testa in giù, in
attesa di aver ancora fame e di ricominciare da capo la sarabanda! —
Se è per questo, anche Balanzone, il re, il
nobile Florindo e tutti gli atri burattini finiscono a testa in giù. —
Ma solo nel teatrino, nel casotto, non nella
vita reale, dove la loro situazione è molto diversa. —
Credevo che con te, simpatico come pochi,
venisse fuori un’intervista allegra e spensierata; mi accorgo invece, che
siamo su argomenti molto tristi. —
Colpa tua, caro il mio signorino! Credevi di
parlare ad un burattino e invece ti sei inzuccato in uno che non vuole più
esserlo. E poi, soccia!, se devo rappresentare il popolo bolognese nella
storia, mi sembra non ci sia mica da stare allegri, con quello che ha passato
nei secoli! —
Hai ragione, Fagiolino, ma pensando a te, si
pensa alla grassa e scintillante risata bolognese! —
Ma che comicità vuoi che ci sia quando per
mettere qualche cosa sotto i denti, bisogna fare salti mortali, sotto lo
sguardo di gente che. Oltretutto, ti ride in faccia? È sempre stato così!
Balanzone mi dava un bolognino per recapitare una lettera di notte, fra
briganti… ed io recapitavo; Pantalone mi ordinava di far finta di essere
chissà chi in cambio di un piatto di fagioli… ed io fingevo; Colombina mi
ordinava di bastonare un suo pretendente, così avrei mangiato con lei in
cucina… ed io bastonavo; dovevo affrontare il diavolo per non digiunare… ed
io l’affrontavo… e tutti giù a ridere e ad applaudire! Ma in fondo, di che cosa
si ride… della mia fame! Ecco di che cosa si ride. —
Quindi il popolino di Bologna, come altrove,
non è che vivesse molto bene? —
Non ha mai vissuto bene, mai! Prendi per
esempio il periodo a cavallo di questi due secoli, che poi non è il peggiore…
pensa alla vita di via Fondazza. Di via San Carlo. Del Borgo e del Pratello…
che vita poteva essere? —
Me lo devi dire tu, che l’hai vissuta! —
Sarebbe molto lungo da raccontare. Case
umide, senza gabinetti, senza acqua, senza letto; un pagliericcio doveva
bastare per due o tre persole e bella grazia che c’era. Nel cortile, fra i
muri scrostati e le erbacce che crescevano fra i mattonati, c’era un unico
pozzo, spesso asciutto. Una volta al mese arrivava puntuale l’amministratore
a suonare una campanella: era venuto a riscuotere l’affitto e guai se non si
pagava o si faceva finta di non essere in casa. Dico amministratore, ma anche
lui era un povero diavolo come noi, che faceva questo mestiere per un pezzo
di pane. —
Divertimenti? —
Pochi, o… molti, dipende se si vogliono
rapportare a quelli d’oggi, oppure se si vuole considerare il tempo d’allora.
Per i bambini c’erano le strade, la parrocchia ed i ricreatori. Si andava
spesso a rubare un po’ di frutta… ma quello non era un divertimento, bensì
una pericolosa necessità. Le donne, se non avevano matrimoni, si divertivano
ai battesimi o ai funerali, che erano numerosi e che costituivano un momento
d’incontro e di vita sociale. Passavano il poco tempo libero sotto i portici.
dove chiacchieravano portandosi la sedia e, se era freddo, lo scaldino con le
braci. I grandi avevano l’osteria. Gran festa era quando passava per la strada
un organino, e allora si ballava ad improvvisazione, oppure quando si andava
ai prati di Capraia per qualche festa particolare o alla Crocetta, dove
spesso stanziavano i saltimbanchi. —
Hai parlato della Fondazza, del Borgo, del
Pratello… io so come sono ora, ma a quei tempi, che cosa rappresentavano per
chi li abitava? —
La strada, il rione erano una vera entità
territoriale, erano i limiti geografici naturali di chi vi viveva… —
Questa volta, sei tu, Fagiolino, che parli
difficile! —
Ma va là… che capisci! Le amicizie, la vita
quotidiana, la società in cui si viveva erano tutte lì, dentro il rione.
Fuori c’erano gli altri rioni, altrettanto chiusi in se stessi e con regole
proprie. Le baruffe anche per futili motivi fra abitanti di due strade
diverse erano all’ordine del giorno. Erano, insomma, piccoli microcosmi con
loro leggi ben definite e riconosciute… Sì, sto parlando difficile… sembro il
Dottor Balanzone! —
Forse, ma è più interessante. In ogni modo
l’intervista è finita e ti devo salutare. —
Peccato! Cominciavo a prenderei gusto… una
volta tanto che potevo dire la mia! —
Sarà per un’altra volta. Ciao, salutami
Sganapino. —
Senz’altro, ciao! |
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