Il Risorgimento passa per Bologna

 

UGO BASSI

 

UN PREDICATORE IN TONACA, MA CON SOTTO LA CAMICIA ROSSA DEL GARIBALDINO

 

 

    Padre Ugo, i bolognesi le hanno dedicato una fra le strade più belle del centro storico ed un monumento; tuttavia credo che non siano in molti, oggi, a sapere le ragioni di questi prestigiosi riconoscimenti.

    Se ben comprendo, sono stato dimenticato?

    Certamente no! Rilevo soltanto che di lei si sa ben poco: che fu un eroe del Risorgimento, un martire delle guerre d’Indipendenza. Un … prete da combattimento. Nulla più! Non mi sembra male rinfrescare ai bolognesi la memoria sulla sua persona.

    Ma a chi vuole che interessi la vita di un pretucolo come me? Il Risorgimento ha ben, altri personaggi, anche bolognesi, ben più meritevoli.

    Forse, ma senza gli Ugo Bassi, anche i grandi italiani di quell’epoca non avrebbero fatto il Risorgimento. Ci racconti, quindi, un po’ di lei.

    Sono nato nel 1801 a Cento, ma poiché venni subito a Bologna,

     

    _ Sono nato nel 1801 a Cento, ma poiché venni subito a Bologna mi considero un bolognese a tutti gli effetti. Studiai in Santa Lucia. Alla scuola dei Barnabiti ed entrai nella loro congregazione appena raggiunta la maturità. Diventato sacerdote, da quel momento non ebbi più sede fissa, svolgendo per la Chiesa l’attività di predicatore, come voleva il mio Ordine. Ciò però, non mi vietò di assumere atteggiamenti politici indubbiamente pericolosi per quei tempi: a soli quattordici anni, mentre ero a Bologna, fui seriamente intenzionato ad unirmi alle forze di Murat che, a seguito del suo proclama di Rimini, parlava apertamente d’unità nazionale italiana. Quella volta, però, la mia fede, o meglio, il mio voto d’obbedienza, prevalse.

    Religione e politica, quindi, furono parte integrante della sua vita, una specie di duplice vocazione difficilmente conciliabile.

    Esattamente! E ciò si rifletté nella mia attività di predicatore. La mia vocazione religiosa era sincera e servivo Dio e la sua Chiesa come meglio sapevo. Amavo però anche l’Italia per cui le mie prediche, ogni tanto, erano infervorate da affermazioni patriottiche e liberali, come nel 1835, proprio a Bologna, dove riempii tutta San Petronio suscitando non poco entusiasmo.

    Ma i bolognesi, a quella predica, vennero per sentire il prete o il patriota?

    Credo entrambi e, in fondo, sarebbe coerente con il carattere dei bolognesi, frammisto d’alto concetto liberale e devozione cristiana, attività civile e parrocchiale, sezione di partito e sacrestia. Quando dal pulpito di San Petronio proclamai: «Benedetta l’Italia, benedetto chi la benedice! Chi la maledice non sia benedetto!» l’entusiasmo salì alle stelle, anche se poi tutti s’inginocchiarono per seguire in religioso silenzio il mistero dell’Eucarestia. Forse, in quel caso, i bolognesi avevano fatto una scelta più politica che religiosa. Furono meno entusiasti i preti. Ma per fortuna il Papa, che ebbe la bontà di ricevermi, non prese alcun provvedimento disciplinare, anzi mi trattò molto benevolmente e la cosa finì lì!

    Figuriamoci allora, con che gioia apprese lei, cristiano-patriota, la -. Figuriamoci allora, con che gioia apprese lei, cristiano-patriota, la notizia della concessione dello Statuto da parte di Pio IX!

    Mi sarei tirato su la gonnella e avrei fatto il giro della città! La mia felicità aumentò ancora, quando – siamo nel 1848 – Carlo Alberto avanzò in Lombardia dando inizio alla prima Guerra d’Indipendenza. Il Papa diede il proprio appoggio sia spirituale che materiale all’impresa, inviando truppe ad affiancare l’azione dei Piemontesi. Io ero ad Ancona e al passaggio dell’esercito pontificio guidato dal Generale Durando, mi aggregai subito. Inoltre il raduno, previsto a Bologna, realizzava veramente tutti i miei ideali: eserciti di tutt’Italia che si univano per cacciare lo straniero; la Chiesa, ora stato liberale, che appoggiava una nascente nazione indipendente; io che rivedevo Bologna in un simile esaltante frangente! Ero eccitato come un giovane al suo primo amore!

    Paragone non proprio ortodosso per un prete, ma molto efficace: infatti, come il primo amore, tutto svanì in breve tempo.

    . Sì, ma che epopea quella del ’48.’49!

    - E quando il Papa ritornò sulle sue decisioni iniziali e si oppose all’intervento diretto del suo esercito nella guerra, lei, padre cosa fece?

    - Fu un grosso problema di coscienza… ma prevalse il politico sul religioso: seguii Durando che da comandante dell'esercito papalino era diventato membro dello Stato maggiore di Carlo Alberto. Il nostro compito era di fermare i rinforzi che Vienna aveva mandato a Radesztky; ci scontrammo Treviso e, seppure sconfitti, rallentammo notevolmente l’avanzata dei nemici. Io venni ferito e non potei partecipare alla successiva difesa dei bolognesi a Vicenza.

    - La guerra volge pian piano a favore degli Austriaci… lei è ferito…

    - Ma mi reco ugualmente a Venezia, altro punto caldo della prima guerra d’Indipendenza e qui inizia quella che considero la seconda e brevissima parte della mia vita. Divento garibaldino e indosso la camicia rossa. Siamo già nel 1849. Da Venezia, Garibaldi cerca di raggiungere Roma per difendere la repubblica nata dopo la fuga di Pio IX a Gaeta; io mi unisco a lui, diventandone aiutante di campo e cappellano militare. Poi la difesa di Roma…

    Qui, fui fatto prigioniero dai francesi accorsi per ristabilire nella città eterna il potere pontificio.

    Sì, ed il generale Haudinot mi mandò come ambasciatore agli italiani difensori di Roma repubblicana, per imporre una tregua; nel caso non fosse stata accettata, sarei dovuto ritornare… più o meno come Attilio Regolo, ma i francesi furono ben diversi dai Cartaginesi: la tregua fu respinta, io tornai da Haudinot che però mi lasciò libero. Fui così presente agli scontri di Villa Spada e del Granicolo. Ma anche Roma non resse e venne riconquistata da francesi e pontifici. Garibaldi allora cercò di tornare a Venezia che ancora resisteva ed io, ovviamente, dietro.

    Ma Venezia è lontana e per molti di voi resterà meta irraggiungibile

    Intercettati in Romagna, ci rifugiammo a San Marino dove mi presentai al capitano reggente per chiedere asilo politico per Garibaldi e i suoi compagni. L'ottenni, ma dietro scioglimento dell’esercito. Il Generale però pensava sempre a Venezia e, appena potè, lasciò la piccola Repubblica. Non andò oltre la pineta di Ravenna dove è raggiunto dagli Austriaci. Anita muore; lui riesce a fuggire a stento; mentre furono presi Ciceruacchio e il figlio… poi fu la mia volta, catturato assieme a Livraghi a Comacchio, rividi così per l’ultima volta Bologna…

    Sì, ma incatenato e davanti al plotone d’esecuzione: era 1’8 agosto 849. Uno storico ha detto che “mentre Garibaldi sentiva Dio nella Patria, Ugo Bassi sentiva la Patria in Dio”. È giusta quest’affermazione?

    Tutto sommato, sì. Nelle mie preferenze Dio veniva certamente prima della Patria, ma come esisteva Lui, avrei voluto che esistesse anche Lei. Tutto qui. Ora sono un Martire del Risorgimento, ma vorrei essere ricordato come un cristiano devoto a Dio.

    . Non so se con quest’intervista siamo riusciti ad accontentarla.

    Pazienza, vorrà dire che ha più bisogno l’Italia di martiri che la Chiesa di buoni cristiani.