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L’illuminismo col pastorale PROSPERO LAMBERTINI UNA MENTE LIBERALE, UN RELIGIOSO VERO, UN
CARATTERE PRETTAMENTE BOLOGNESE —
“Ai manchèv’ànc quàst”! Ci mancava
anche questo… “Andàn pùr…” —
Andiamo! Preferisce parlare in qualità di
Cardinale di Bologna, oppure di Papa Benedetto XIV? —
Lei sta parlando con Prospero Lambertini,
cardinale di Bologna. I miei concittadini mi conoscono in queste vesti, più
che in quelle di Benedetto XIV. —
Benissimo, Eminenza! Come trova Bologna,
dopo oltre due secoli di lontananza? —
Bene, molto bene! È Sempre una gran bella
città. Certe cose non le riesco a capire perché fuori dal mio tempo, come
“chi trì bagaj”1, quei tre bagagli in
piazza Verdi e quel mostruoso palazzo di ferro in via Capo di Lucca… ma tutto
sommato Bologna si è conservata molto bene. Ho visto purtroppo, anche le cose
non belle che c’erano ai miei tempi e che pensavo venissero prima o poi
eliminate, come per esempio i mendicanti sulla scalinata di San Petronio. —
Ma, Eminenza, quelli non sono mendicanti,
sono giovani che contestano la società in cui viviamo… —
A me sembrano mendicanti! —
“Acsè, sanza fèr gninta e tòt strazè…”
Così, senza far nulla e vestiti di stracci sui gradini di San Petronio? Mi
sembra un po’ poco! Anch’io, in fondo, sono stato un contestare per i miei
tempi, lo sa? E non era mica facile andare contro i costumi ed i pensieri
vigenti a Bologna nel ‘700. La mia contestazione è stata l’essere tollerante
con che la pensava diversamente da me e per questo potei godere un po’ di
stima anche da chi non era cattolico. Si figuri che anche quel “mangiapreti”
di Voltaire… lo conosce vero?… mi apprezzava ed aveva per me parole di rispetto…
Il che è tutto dire, per un tipo come lui! —
Anche lord Walpol, anglicano, n’ebbe e fece
incidere sul monumento che le dedicò, un elogio a mio avviso bellissimo, dove
lei era definito “Papa senza nepotismi, amato dai cattolici e stimato dai
protestanti”. —
Lord Walpol fu troppo buono in quella
lapide… più buono anche dei miei concittadini! —
Come? I bolognesi non le hanno voluto bene?
Non mi sembra proprio, Eminenza! I bolognesi hanno per lei un rispetto che
sfiora la devozione. —
Forse adesso, ma ai miei tempi, quand’ero
Arcivescovo di Bologna, mi creda, non era proprio così. S’informi presso i
Pietramellara, i Pepoli, gli Albertazzi e tutti gli altri “senatori”, che non
mi potevano vedere perché limitavo le loro vergognose feste! S’informi presso
il clero altolocato delle chiese metropolitane (San Pietro, San Petronio, San
Giovanni in Monte), clero con cui ho sempre lottato perché la finisse con le
false santificazioni, con il commercio delle reliquie, con la lassatezza dei
costumi… eh no, cavolo!… Quelli non mi volevano bene e, quel che più conta,
non volevano bene al Vangelo! S’informi anche presso il Senato e il
Gonfaloniere di Giustizia, che evitavano di andare a messa dove io officiavo…
S’informi, s’informi! —
Si, Eminenza, m’informerò, ma m’informerò
presso il popolo bolognese che lei ha sempre protetto dalle angherie dei
potenti; m’informerò presso i carcerati e gli ammalati che lei puntualmente
visitò e sostenne anche materialmente; m’informerò a Pianora, che in lei
trovò l’unico difensore contro le rappresaglie delle soldatesche spagnole… —
Basta, basta… lo sa che lei è un po’ troppo
polemico! Visto che si scalda tanto, ognuno s’informerà dove vuole… Vorrà
dire che io sono stato amato ed odiato contemporaneamente! —
È la sorte dei grandi, Eminenza! —
Io grande? Qui si sbaglia davvero! “Aj’era
un pòver minciàn…” ero un povero minchione che faceva del suo meglio per
aiutare la società. E non ci si deve dimenticare che a quei tempi il potere
non era certo un esempio d’alta qualità. —
E adesso, Eminenza, cosa ne pensa della
civica amministrazione di Bologna? —
Me lo deve dire lei! Io ormai sono troppo
fuori da queste beghe, per fortuna… anzi, grazie al cielo! —
Proprio non vuole esporsi in un giudizio di
merito? —
Lei vorrebbe che io dicessi se apprezzo o no
come l’attuale Consiglio comunale – quello che ai miei tempi si chiamava
Senato – amministra Bologna? “L’è questa ch’al vol?” E’ questo che
vuole? —
Pressappoco! —
“Ma lò l’è màt!”, lei è matto! Ma
matto davvero! Ho detto proprio ora che è esistito fra me e i miei
concittadini un rapporto d’odio-amore e vuol fare rinascere questa situazione
anche dopo che non ho più voce in capitolo? No, cavolo, non mi espongo! —
Ma tutti la conosciamo come persona di
spirito e, come tale, non dovrebbe tirarsi indietro. —
Sono stato una persona di spirito perché a
Bologna dovevo occuparmi, fra l’altro, di circa 200 chiese, 54 parrocchie, 50
conventi di frati e 43 di suore! Se non avessi avuto spirito, mi dica lei
come avrei fatto a resistere. Ora i tempi sono cambiati, il popolo non è
un’entità astratta e senza voce in capitolo. Ora è un elemento reale e
presente che sa giudicare da solo senza che occorra un Cardinal Lambertini
che sentenzi su questo o su quello! Mi creda, non è per mancanza di spirito,
o per desiderio di evitare polemiche, è proprio perché non ho base di
giudizio. —
Cambiamo allora argomento, Eminenza. Lei,
bolognese pura razza, ho ottenuto ben tre lauree; come mai non nella sua
città ma a Roma? —
Non le nascondo che questo tradimento mi è
dispiaciuto moltissimo. Ve detto però che lo Studio bolognese, nel ‘700, era
ormai inesistente, non aveva basi, mancava del necessario apparato che ne
qualificasse l’idoneità. Avevo iniziato la carriera ecclesiastica e, se
volevo riuscire (non che avessi all’inizio grandi ambizioni, che forse sono
venute dopo, ma un po’ di desiderio di ben fare, questo sì) dovevo appoggiarmi
ad un’università più qualificata che quella bolognese. La quale contava ormai
147 studenti e 36 lettori legisti. Il grande Studio era ormai un ricordo e avrebbe
dovuto aspettare ancora molto per ritornare, se non ai fastigi d’un tempo,
almeno ad una ripresa effettiva. —
E Luigi Galvani, Laura Bassi? Non sono forse
nomi del suo secolo e dell’università di Bologna? —
Costituiscono le eccezioni che confermano la
regola. Io stesso, da cardinale mi impegnai moltissimo per rilanciare la
cultura e la scienza, ma mi creda, il decadimento dello Studio coincise con
quello di tutto il clima culturale bolognese, pieno di “ignuranàntaz”,
ignorantacci e di Dottor Balanzone. —
Un’ultima domanda, Eminenza: cosa mi dice di
Alfredo Testoni. —
“Aj vgèss un’azzidànt”, Gli venisse
un’accidente! Quel vigliacco mi ha proprio fregato! Da quando ha scritto quella
commedia sulla mia persona, io non so più se i bolognesi mi amino per quel
che sono stato, oppure perché personaggio principale ed intestatario di
un’opera teatrale. È un bel dilemma, sa? Ne va della mia reputazione! —
Ma Testoni non ha raccontato balle, ha solo
raccolto tutte insieme le cose che lei, Eminenza, fece. Forse le avrà anche
infiorate un po’, ma la sostanza è rispettata. —
“L’è propri par quàst cà m’à freghè!”.
È proprio per questo che mi ha fregato! Mi rappresenta come un uomo
praticamente perfetto, rendendomi così parte della letteratura e non della
storia! Le sembra piccolo come inghippo? Ma gliene ho detto quattro a quel
testone… pardon!… Testoni, quando l’ho incontrato lassù, anche se in fondo ho
dato il mio benestare perché entrassi dove ora sono io. —
In paradiso? —
Diciamo non nell’Inferno. —
Quel ch’è stato è stato, Eminenza! —
“Sé, quàl ch’l’è stè l’è stè”! Sia fatta la
volontà di Dio! |
— 1 Trattasi delle tre colonne di Giò
Pomodoro, esistenti al momento della prima edizione di questo libro ed ora
tolte e trasferite non si sa dove.