Uno zelante funzionario

 

LUCIO VALERIO FLACCO

NASCE BOLOGNA, RICCA COLONIA ROMANA

 

 

    Ave, Lucio Valerio Flacco, fondatore di Bologna.

    Ave! Per la verità siamo stati in tre a far nascere sotto il nome di Bononia, l’etrusca Felsina: io, Attilio Serano e Valerio Tappone.

    Tre fondatori addirittura e, una volta tanto, veri! Vale la pena di parlarne. Come andarono le cose?

    Nel 562 “ad urbe condita” – ovvero, come dite oggi, il 191 a.C. - Roma era finalmente riuscita a debellare i Galli Boi, occupando così tutta l’Emilia. Due anni dopo, nel 189, io e i miei due colleghi fummo inviati dal Senato nella zona ove una volta sorgeva Felsina, per curarvi l’insediamento di tremila nostri coloni: era nostro compito riedificare la città e distribuire le terre attorno ad essa.

    Nulla di mitico, quindi; fu una semplice operazione politica, svolta con zelo da tre funzionari statali. Sbaglio?

    In pratica fu così, anche se non proprio in modo semplice come dice lei. Bisogna capire che non è facile distribuire circa 12 ettari ad ogni famiglia di coloni (in pratica lottizzare sette milioni di metri quadrati di terra) su base equa. Quante beghe lo so solo io: “la mia terra è più lontana dall’acqua di quella degli altri”; “la mia è più sassosa”; “Ho misurato: mi mancano venti metri, mentre il mio vicino ne ha dodici in più”… Roba da far perdere la pazienza anche ad un santo!

    Lo capisco perfettamente e non vorrei essere stato nei suoi panni. E il nome di Bononia da dove deriva?

    I Galli avevano battezzato la zona col nome di Bona, che in lingua celtica voleva dire semplicemente città. Trasformare Bona in Bononia fu automatico, tanto più che con il nuovo nome si voleva far intendere che la terra di quella città era “buona” per l’agricoltura e per la produzione pregiata, specie di cereali. D’altra parte, con la colonizzazione, Roma voleva appunto assicurarsi rifornimenti alimentari indispensabili per la sua esistenza…

    Per sfruttamento, in altre parole?

    Cosa intende dire?

    Tremila romani insediano in un territorio e ne prendono possesso: è logico che pensino più alla loro città d’origine che a quella in cui si trovano… colonialismo, insomma.

    Non vedo nulla di strano in ciò.

    In effetti nulla, ma oggi, quando si parla di colonialismo e di sfruttamento coloniale, si arriccia un po’ il naso e non a torto!

    Gli arricciamenti attuali non mi riguardano né m’interessano. A noi romani importava la pianura del Reno, sia per la sua produttività, sia per la sua posizione strategica e non vedo il motivo perchè non ce ne dovessimo impossessare, essendo i più forti ed avendone la possibilità. Per quanto riguarda il colonialismo, è certo che Roma godeva di gran parte della produzione agricola della zona, ma è altresì sicuro che le 600 famiglie lì insediate non stavano affatto male e non era sfruttate… anzi, vivevano senza dubbio meglio che a Roma e dintorni!

    Prendiamone atto e passiamo ad un altro argomento. Il Re etrusco Ocno ci ha descritto i momenti salienti della fondazione di Felsina, e voi come operaste per quella di Bononia?

    Noi romani dell’epoca repubblicana eravamo molto più pratici degli etruschi. Pochi fronzoli religiosi e molta concretezza. Una città la si fondava creando un primo incrocio di strade. Quello era il centro su cui poi, a reticolato, si sarebbero formate le altre vie cittadine e gli isolati. Fu così anche per Bononia, che nacque più o meno dove ora via Nazzario Sauro e via Cesare Battisti confluiscono in Ugo Bassi.

    Ovviamente, all’inizio la città non fu grande.

    No anche se il valore di “grandezza” dopo due millenni è molto relativo. Pian piano fu coperta un’area di 15.000 metri quadrati. I confini erano: a Nord, via Tanari vecchia, via Falegnami e via Righi; ad Est: via Oberdan, via Calzolai e via Marchesina; a sud: via Farini, via Carbonesi e via Urbana; a Ovest: piazza Malpighi e via Marconi. Una città grande, rispetto ai tempi.

    Fu anche importante?

    Sì e quasi subito, anche perché appena due anni dopo la sua fondazione, fu raggiunta dalla via Emilia, che permise i collegamenti più veloci con Roma. Nel 140 a.C. – io ero già rientrato nella capitale- ebbi occasione di parlare con Polibio appena rientrato da un viaggio nella Valle Padana… Chi veniva da Bononia, sapendo che era stata fondata da me, mi riferiva tutto, certo di farmi piacere…. Insomma, Polibio mi parlò della città assicurandomi che era diventata il centro principale di una regione molto ricca e produttiva. Anche la zootecnia era già sviluppata ed in modo molto egregio, particolarmente per l’allevamento dei suini.

    Qundi, la carne di maiale del bolognese non è un’invenzione recente, ma risale a ben venite secoli fa?

    Sì senza dubbio. Ai romani piaceva moltissimo e non le nascondo che anch’io avevo un gran debole per salami, salsicce e mortadelle "bononiensi".

    Come, c’era già la mortadella?

    Certo! Cosa crede, che quest’altissima espressione di civiltà gastronomica ci fosse estranea? Furono proprio i coloni bolognesi ad inventarla e a darle il nome, che deriva da “mortarium”, la macchina usata per macinare insieme carne, spezie e sale.

    Interessante. Ma continuiamo nella storia di Bononia. Dopo la sua fondazione, lo sviluppo e la sempre maggiore importanza, cosa successe?

    Senta, io non sono mica vissuto tanto! Quando ho accennato a Polibio e alla sua visita, avevo superato gli ottanta…

    D’accordo! Ma quando lasciò la vita terrena si sarà ancora interessato agli eventi bolognesi.

    Si ma in modo molto distaccato, come può immaginare. Si figuri se dopo una vita intera trascorsa come funzionario dello stato (e allora non si andava in pensione dopo quindici anni) io aveva ancora voglia di occuparmi di quanto capitava a Roma o a Bologna! Se vuole informazioni, e più dirette, si deve rivolgere ad altri.

    Peccato, speravo di esaurire l’epoca di Bononia con una sola intervista… Non mi vuole proprio aiutare?

    Le dirò, giusto per accontentarla, che Bologna è passata da colonia a municipio nell’88 a.C.; che fu coinvolta nelle guerre civili di Marcantonio e Ottaviano, dopo aver visto nel ’42, proprio sulle sponde del Reno, la costituzione del secondo Triunvirato; che sotto l’impero di Ottaviano divenne più bella sia urbanisticamente che architettonicamente; e che nel 53 d.C. fu completamente distrutta a causa di un incendio.

    È vero che in quest’occasione entrò in ballo anche Nerone che, fra parentesi… per gli incendi aveva un debole?

    Vero, ma non nel senso che lei vuol dare alla domanda. Nerone non c’entra con l’incendio di Bologna, anzi! Lui si interessò presso suo padre, l’imperatore Claudio, affinché provvedesse alla ricostruzione della città. È Stato questo uno dei pochi fatti che ho seguito attentamente, dopo che fui passato a miglior vita. Capirà! Vedere la città che consideravo opera mia andare completamente distrutta… Ma adesso basta! Non debbo essere testimone di eventi che non sono stati di mia stretta competenza.

    Mi sembra giusto come Funzionario! La ringrazio di avere almeno aggiunto qualche postilla… La saluto romanamente: ave, Caio Valerio Flacco!

    Ave!