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CALANO I
BARBARI RE BRENNO E'
BOLOGNESE GALLO DISTRUTTORE DI ROMA — Maestà, lei è bolognese? — Io so solo di essere il re dei
Galli Boi! Se il nome
della città deriva da quello della mia gente, allora anch'io sono bolognese. — Come mai i Galli arrivarono in
Emilia e a Bologna? — I miei avi erano giunti in
Lombardia e nel Veneto nel quinto secolo a.C. Un centinaio d'anni dopo attraversarono il Po assieme alla tribù dei Sassoni e
s'insediarono nella pianura sottostante. Chiamarono il fiume che vi si
trovava Reno, in ricordo di quello che i progenitori avevano lasciato in Francia. — Su quel fiume sorgeva Felsina;
che fine fece? — L'unica
possibile secondo le convenzioni internazionali allora
vigenti: fu rasa al suolo. Perchè si scandalizza? Non è il caso! Allora era
una cosa ammessa e normale, facilitata anche dal fatto che di case in pietra
ce n'erano ben poche. — Lei, divenuto re, non
s'accontentò di stare in Emilia, sulle rive del Reno, ma puntò con le sue orde
verso sud. — Moderiamo i termini, per favore!
Le mie non erano «orde», ma un esercito valoroso e potente! — Mi scusi, Maestà! — Così va bene! Passai
gli Appennini come i miei avi avevano
passato le Alpi. Che divertimento tagliare la testa
a quelle statue etrusche così simili alla gente che rappresentavano:
beatamente adagiate sui letti, con il sorriso ebete da drogati, con le vesti
bianche candide... smidollati! Smidollati, ecco cos'erano in realtà! Per
paura di faticare avevano delle spadine leggere e
degli scudi in miniatura. Bastava che un mio guerriero starnutisse perché
quelle armi-giocattolo si spezzassero. — Però
combatterono! — Ed è
combattere quello? Andiamo... come s'immagina una battaglia fra noi e quelli?
Noi avevamo spade di un metro e scudi alti quanto un uomo... loro erano tutti rasati, imbellettati, con i ricciolini sulla fronte... noi nudi, imponenti, con
chiome e barbe lunghissime... praticamente, non ci fu lotta! — Lei non s'accontentò dell'Etruria, ma nel 390 si diresse verso Roma e qui le cose
si complicarono... — Per i Romani, forse, non certo
per i Galli! — Per la verità
i documenti parlano di voi con molto disprezzo, quasi foste crudeli
lestofanti, senza patria né parte. Cosa mi dice al
riguardo Maestà? — La storia l'hanno scritta i
romani e, quindi, non può essere che diffamatoria nei nostri confronti. Io so
che li sconfiggemmo sempre e regolarmente! Erano bulli da due soldi e si
vendicarono solamente a parole e dicendo di noi solo delle castronerie. Forse
lei dimentica che io r al suolo la stessa Roma e questo è
il fatto che conta! Un popolo sconfitto non può essere obiettivo quando giudica la propria disfatta. — Allora dica lei, Maestà, come andarono le cose. — Dunque... A noi non piaceva
vegetare in un posto per lungo tempo ma amavamo
spostarci alla ricerca di nuovi pascoli e nuove riserve di caccia. Ai Romani,
invece, interessava stare dov'erano e allargare il loro dominio. Date le
premesse, accordi non potevano essercene, anche perché le se, allora, non
erano complicate come adesso, che per fare una guerra corre
prima giustificarla con fiumi di parole... Noi volevamo andare a sud ci
andammo con i nostri spadoni; loro volevano estendersi a nord e mise in movimento
le loro legioni... — E
combatteste! — Certo... vuol forse che giocassimo a tressette? C'incontrammo vi no al fiume Allia e i romani le presero di santa ragione! Questo è
tutto, senza tanti fiori e giri di parole. — Ciò v'aprì la strada a Roma. E vero che un primo vostro attacco a città fu sventato da
Manlio Capitolino, perché le oche sacre del Campidoglio si misero a
starnazzare? — Quante balle! Un mio avamposto,
tre, quattro uomini, notò in pollaio una decina di oche
grasse e appetitose. Lei sa che a noi, di origine
francese, il fegato d'oca piace molto, ed è logico che alcuni animali furono
presi per il collo e portati via; Il signor Manlio, allora, mise in giro la
voce che aveva sventato un assalto dei Galli. Noi eravamo invece lontani
anche parecchi chilometri da Roma e, quanto v'arrivammo, non avemmo certo
sogno di azioni notturne e sotterfugi per
conquistarla: la vedemmo, vi corremmo incontro, ammazzammo più soldati
possibile e la conquistammo. F cosa di poche ore. — Una
volta entrati a Roma, la metteste a ferro e fuoco, come era n vostro
costume. — Se è per questo radere al suolo una città era costume anche dei Romani. Solo che in
questo caso noi eravamo i vincitori e loro i vinti... le
parti s'erano invertite e dovettero subire. — La scena del senato fa parte
della tradizione eroica di Roma: un suo guerriero tira la barba ad un
senatore e questo gli rompe in testa lo scettro leggenda anche questa? — Sì e no! Il Senato fu l'ultimo
atto della conquista e devo riconoscere che prima di
cedere quei cari vecchietti seppero difendersi molto bene, anche se in fondo,
si trattò di una scaramuccia finita con qualche testa tagliata ai meno restii
ad arrendersi. Distrutta poi la città, come era
doveroso e tradizionale, cominciammo a discutere con chi restava del bottino
di guerra. — La
famosa bilancia che rubava sul peso... — Solo un po', ma bella grazia che
c'era la bilancia! Fu una nostra benevola concessione, perché di solito
caricavamo i nostri carri del bottino e ce ne andavamo.
Coi romani, invece, trattammo un certo peso d'oro e
poiché brontolavano dicendo che era troppo, io aggiunsi al contrappeso la
mia spada. Era un affare di diciassette chili, mica balle! Da
quel momento, visto che se insistevano avrei aggiunto anche lo scudo, si
calmarono da bravi sconfitti e pagarono. Tutto qui! Avrebbero dovuto
ringraziare di aver salvato la testa, invece di inventarsi il
«guai ai vinti! », l'arrivo di Furio Camillo, la mia sconfitta, ecc.
ecc. — Non vorrà mica dirmi che Furio Camillo è un'invenzione? — Certo! Io, questo signore non
l'ho mai visto e conosciuto e se arrivava, prendeva
le sue e ritornava da dove era arrivato. La realtà è che io, preso il
bottino, ritornai a nord indisturbato e senza neppure correre. Quello poi che
gli storici latini hanno inventato per nascondere una delle più tremende
sconfitte di Roma, lo sanno solo loro e quelli, come lei, che ci credono. — Tornò quindi a Bologna? — Sì! Ero un po' stanco, non più
giovane, ricco e tranquillo in una fertile pianura.
Perché mai avrei dovuto ancora spostarmi? — Un'ultima domanda, Maestà: Roma,
nonostante quanto ci ha raccontato, divenne capitale del mondo, Voi, invece,
scompariste. Come mai? — Ma non mi metta dei problemi...
forse, dopo i Galli Boi, i romani per secoli non
hanno più incontrato nessuno che gliele sapesse suonare per benino; forse noi
vivevamo più alla giornata che non con prospettive imperialiste; forse in
tutte le vicende umane c'è un destino prefissato... Io non sono né uno
storico né un politico né, tantomemo, un filosofo,
sono soltanto un capo che quando ordina la carica ai
suoi eserciti, vince la sua battaglia! — Abbiamo finito, Re Brenno!
Qualche cosa d'aggiungere? — Sì, ho sete! Posso offrirle un
boccale di cervogia? — Volentieri, grazie! |