ALBERTO E MARGHERITA

Da una novella di Giovanni Boccaccia

 

 

1. Durante una notte di Maggio


Docente dello Studio
Sarcofago del giurista
Giovanni d’Andrea (1348)

Quella notte del 21 maggio 1369, l’illustrissimo Alberto Zancari (nota 1), decano dei docenti dell’Università di Bologna, non riusciva a dormire.

Nota 1

Nel Decamerone il personaggio è indicato semplicemente come Alberto da Bologna e l’identificazione più certa è quella appunto di Alberto Zancari, che risulta essere docente di medicina e filosofia presso lo studio bolognese dal 1336

Nota 2

La zona di Porta Procula (rione sito fra la chiesa di San Procolo e quella di San Francesco) era la sede degli “Artisti”, ovvero di quanti insegnavano o erano iscritti alla facoltà di Medicina e Filosofia, mentre i “Legisti”, immatricolati alla facoltà di diritto, operavano nella zona fra San Procolo e San Domenico

Nota 3

La vicenda qui fatta narrare da uno studente è tratta da una novella de “Il Pecorone” di Giovanni Fiorentino

Proprio sotto le sue finestre, in un giardinetto attiguo alla sua casa in Porta Procura (nota 2), si stava svolgendo una festicciola e le musiche della cetra, le risatine delle ragazze e, soprattutto, le spiritosaggini dei giovanotti, tenevano desto il vecchio. E dire che erano le dieci, un orario in cui le persone dabbene dovevano essere a letto già da diverse ore.

Nel suo inusitato dormiveglia, il professore udì ad un tratto una voce femminile che zittendo tutti ebbe a gridare:

«Su Bùcciolo! Racconta anche agli altri quello che hai combinato al tuo professore di Filosofia (nota 3).»


Giuramento di un neo-laureato davanti
ai prelati della Metropolitana di S. Pietro
(Miniatura del XIV Secolo)

«Va bene, va bene - disse colui che era stato invitato a raccontare e che doveva chiamarsi Bùcciolo - fate un po’ di silenzio e vi dirò tutto. Dunque... Come sapete, ho finito gli studi ricevendo nella Sagrestia di San Pietro la tanta sospirata laurea. Ora sono dottore, ma devo lasciare Bologna, sarà dolorosissimo, dopo avervi conosciuto, mie care amiche! Comunque sia, alcuni giorni fa sono andato a casa del mio ex-professore, proprio come un buon allievo, anche se per quattro anni mi ha fatto alzare alle sei del mattino per insegnarmi un mucchio di fesserie che, per altro, non ho mai imparato...»

A questo punto del racconto, Alberto, più incuriosito dalla narrazione che indispettito dal non poter dormire, si alzò dal letto e si avvicinò alla finestra per meglio ascoltare. Bùcciolo, intanto continuava:


Uno studente… annoiato del 1300
(Sarcofago del Giurista 
Giovanni da Legnano)

«Il mio professore mi accolse in casa, mi offrì del vino che pareva acqua, ben diverso da questo... alla salute di tutti! ... Poi dopo i convenevoli, mi chiese se ora che anch’io ero "divinus Laureatus" nella più famosa università del mondo, mi sentivo libero di spirito e pronto a godere di tutti i piaceri che la scienza filosofica dà a chi la possiede. Confermai il mio cambiamento, non solo assicurandolo di come fossi ora diverso dallo sciocco studentello di tanti anni fa, ma anche indorando il mio dire con alcune massime latine di alcuni passi della Summa di San Tommaso... gli unici che sapevo, per la verità. Fatto sta che il professore fu molto soddisfatto e capii dal suo dire che si sentiva molto orgoglioso di aver portato alla scienza l’ennesimo zoticone. Poi il discorso cadde sull’etica morale e allora chiesi al professore, lui che sapeva tutto, di insegnarmi come ci s’innamorava, perché a me - gli dissi - non era mai capitato d’amare e d’essere amato...»

Le risate degli ascoltatori interruppero il racconto ed una donna canticchiò allegramente: «Bùcciolo mai nessuno amò, per lui l’amor non c’è... » Ed un’altra disse con ironico rimprovero: «Che bugiardo che sei, Bùcciolo, vergognati... » E un’altra ancora: «Ma no, poverino, occorre invece consolarlo con un bacio! » e si udì uno schioccare di labbra.

La narrazione continuò:

«Dissi così per celia, ma il professore prese la mia richiesta di conoscere l’amore con molta serietà e tolto un grosso volume dalla libreria, cominciò a citare passe di Ovidio, Platone e Sant’Agostino, spiegandomi le ragioni per cui l’amore nasce, il perché e il percome occorre essere in due, un maschio e una femmina, quali fossero le sensazioni che si provavano e quanto fosse più completo l’amore santificato dal Sacramento di quello profano con meretrici e concubine. Ero molto divertito nel vederlo così pomposamente impegnato su di un fatto tanto semplice come l’amore, ma in fondo quella lezione era stata molto interessante... »


Amore medioevale
(da una miniatura d’epoca)

«E ti è servita?»

«Eccome, se mi è servita! Il giorno dopo, mentre lui era in cattedra, io ero a letto con sua moglie passando così direttamente dalla teoria alla pratica... Lei sì che conosceva a fondo la materia!»

Le risate dei giovani esplosero ed anche Alberto non poté trattenere un sorriso, cercando d’immaginare chi fosse quel collega che si era fatto così turlupinare da un neolaureato di nome Bùcciolo... Ma fu solo un attimo, perchè subito il vecchio, ripensando alla sfrontatezza del fatto, al poco ritegno con cui era divulgato e alla volgare liberalità usata da giovani di diverso sesso, a notte inoltrata e proprio sotto le sue finestre, ebbe uno scatto d’ira, tanto da essere tentato ad affacciarsi e a redarguire solennemente quegli sfaccendati. Per il timore, però, di dar loro esca ad altre volgarità, non lo fece e ritornò a letto, non senza brontolare fra sé e sé che i tempi non erano più quelli di una volta, che la civiltà invece di progredire stava peggiorando e che quel secolo in cui viveva era vergognosamente in decadenza.

2. La finestra sul giardino

Come tutte le mattine, al levare del sole, Galeazzo, il servo del professor Alberto, aprì le finestre della stanza.

«Sveglia, professore - esclamò versando l’acqua dalla brocca nel catino - è l’ora di alzarsi, se volete prendere la prima messa in San Procolo. »


Finestra Trecentesca
(casa Azzoguidi)

«Voglio dormire, Galeazzo, Chiudi quella finestra e lasciamo in pace.», farfugliò Alberto da sotto il lenzuolo e stringendo gli occhi per evitare la luce.

«Ma professore! Dopo la messa vi attende il Magnifico Rettore del Collegio di Spagna per presentarvi agli studenti castigliani. »

«Sarà per un altro giorno… Va da Don Alvaro Martinez e avvisa che oggi non mi sento tanto bene, che sono ammalato... I miei sessantanove anni mi permetteranno bene di dire una bugia e di essere creduto! Lasciami in pace e torna più tardi.»

Galeazzo obbedì: richiuse la finestra, accennò sottovoce ad un saluto e uscì dalla stanza senza far rumore.

Passarono così alcune ore e quando il professore si svegliò, il sole era già alto. Si mise a sedere sul letto coi piedi a terra, puntellando le braccia alle ginocchia e guardando verso la finestra chiusa. Da quanti anni non si alzava così tardi? Non se lo ricordava, forse, da quando era professore non gli era mai accaduto. Sbadigliò, si grattò la barba grigia, biascicò con la bocca e, sollevandosi a fatica, raggiunse a piccolo passi la finestra. L’aprì e fu quasi abbagliato dal sole, tanto da doversi strofinare gli occhi. Si diresse al catino dell’acqua per sciacquarsi il volto, ma ci ripensò: la finestra aperta sembrava richiamarlo a sé invitandolo a guardar di giorno quel giardino da cui gli era giunto durante la notte tutto quel chiasso e si sorprese a pensare che in tanti anni che abitava in quella casa, la finestra era stata per lui solo un’apertura per far entrare la luce nella stanza e permettergli di leggere i suoi libri, glossarli e prendere appunti; non aveva mai neppure supposto che potesse servire anche a guardar fuori.


Il Trecentesco giardino porticato
del Collegio di spagna

Si affacciò e vide il giardino, un bel giardino, di proprietà della casa che sorgeva a circa cento piedi di fronte a dove si trovava.

Era una casa a due piani in mattoni rossi, sobria, ma impreziosita dall’elegante cornicione affrescato con motivi araldici per tutta la lunghezza del sottotetto. Anche le due finestra del primo piano erano deliziosamente ornate da una cornice scolpita sul mattone, così come il piccolo loggiato a portico che ne occupava tutta la parte inferiore e che dava direttamente sul giardino. Dal lato sinistro della casa iniziava un altissimo muro cieco (forse il retro di un palazzo nobiliare o una vera e propria muraglia di cinta per isolare un confinante convento dal mondo esterno) e il grezzo mattonato era ingentilito da piante d’edera che inutilmente cercavano di raggiungerne la sommità; il terzo lato del giorno era rappresentato da un muretto anch’esso in mattoni rossi, con al centro un elegante ma robusto cancello di legno, che portava in strada.

Lo sguardo dell’anziano professore si spostò quindi sul giardino: era rettangolare ed i suoi quattro angoli erano occupati da prati verdissimi recinti da siepi e punteggiati da roseti in fiore; al centro c’era un pozzo il cui ornato riprendeva i motivi delle finestre e della loggia e fra il pozzo ed i prati, un vialetto ovale delimitato da piccole siepi di biancospino e con quattro diramazioni a raggiera: la prima si dirigeva al centro del loggiato; la seconda al cancello del muretto, la terza raggiungeva una panchina di marmo appoggiata alla grande muraglia; l’ultima terminava proprio sotto la finestra da dove Alberto si era affacciato.

Un giardino privato. Chissà quanti ne aveva visti senza mai fermarsi a guardarli. Se ne rammaricò perché la vista di quell’angolo gentile lo affascinava: chissà cos’erano quei fiori bianchi che animavano le siepi? Sarebbe stato piacevole sedersi su quei prati? E su quelle panchine? E passeggiare su quei vialetti discorrendo con qualcuno? Ma con chi e di che cosa? E alla sera? Come sarebbe stato quel giardino sotto la luna? E le sensazioni provate di giorno, sarebbero cambiate al brillare delle stelle? Si rese conto in quel momento e ponendosi quegli interrogativi, che tutti i suoi libri, tutta la sua scienza, tutto ciò che aveva studiato in tantissimi anni di vita, non potevano dare risposta a quelle poche, semplici domande. Un monello qualsiasi, una servetta di casa, un sagrestano di pieve, quelle cose le sapevano, le avevano provate... Lui, invece, decano della più famosa università del mondo, con una luminosa carriera alle spalle, con uno stuolo di studenti che pendevano dalle sue labbra, rimaneva perplesso, frastornato, quasi atterrito dalla sua ignoranza.

3. L’apparizione

Decise di chiudere la finestra per togliersi il giardino dagli occhi e dalla mente, ma mentre stava per prendere le maniglie delle due pesanti persiane per tirarsele a sé, vide una donna uscire dalla loggetta della casa di fronte e fermarsi sulla soglia a respirare l’aria dolce e pulita del mattino.


Dame del trecento
(ricostruzione)

Alberto, dapprima, non poté notare l’elegante portamento della donna, e la sua debole vista, data l’età avanzata, non gli avrebbe permesso di distinguere molto di più a quella distanza. Ma lei iniziò a camminare verso la finestra cui era affacciato e così la sua immagine si andò via via dettagliando: un abito solo apparentemente modesto, ma di fattura preziosissima, esaltava le fattezze del corpo; i lunghi capelli castani erano raccolti sulla nuca da una retina dorata elegantemente guarnita da un giro di perle che giungeva fino ad incrociarsi sull’alta fronte; il viso era di un ovale perfetto con la pelle bianchissima e con grandi occhi scuri.

Apparvero altre due donne che raggiunsero la prima, affiancandola e parlottando con lei a bassa voce. Dovevano essere amiche di pari dignità o dame di compagnia, perché erano anch’esse particolarmente ben vestite e di portamento elegante.

Alberto non chiuse la finestra ma si fermò a guardare meglio le tre donne e fu così che esse lo videro ed una, la bellissima dama che per prima era scesa in giardino, gli parlò:

«Buon giorno, messere, uno splendido mattino, quello di oggi, vero?»


Pagina di una delle prime
edizioni del Decamerone

Alberto non rispose; era molto turbato e si limitò ad assentire debolmente col capo, senza far capire se, con quel piccolo gesto, volesse contraccambiare il saluto o convenire sull’inizio di un’eventuale conversazione.

«E’ arrabbiato con me per la festicciola che ho dato ieri, messere? Se è così, le chiedo venia del chiasso che abbiamo fatto, ma la sera era splendida e si stava bene in giardino...»

Il vecchio professore chiuse la finestra.

Le tre donne ridacchiarono fra loro e si sedettero su di una panchina per leggere un libro. Il turbamento di Alberto sarebbe stato maggiore se avesse saputo il titolo di quel volume: era il “Decamerone” e senza dubbio, nell’ampia scaffalatura della sua libreria quel libro non era annoverato.

4. Cos’è un “ricevimento”?

Nella penombra della stanza Alberto era seduto immobile alla scrivania, quando Galeazzo entrò. La sorpresa del servo nel trovarlo lì, quasi inanimato e senza il solito libro aperto davanti e la penna in mano, si trasformò subito in preoccupazione.

«Si è sentito male, professore, posso fare qualcosa per voi?»

«No, Galeazzo, sto bene... o almeno credo. Dimmi: sai chi è la padrona della casa che ha il giardino sotto la mia finestra?»

«Dice donna Margherita dei Ghisilieri? Voi, professore, non frequentate il bel mondo e ovviamente, neppure io... ma è notissima a Bologna: è una delle dame più appetite per bellezza e per ricchezze. Da quando è rimasta vedova, sei mesi fa, tutti le fanno la corte, ma senza successo, almeno che io sappia...»

«Vedova? E quanto anni ha?»

«Credo meno di trenta.»

«Troppo pochi...»

«Come avete detto?»

«Nulla... piuttosto che cosa ha detto il Rettore del Collegio di Spagna?»

«Vi porge i suoi migliori auguri di sollecita guarigione. Dice che i suoi studenti possono aspettare qualche giorno e che, con vostro comodo, potrete andare all’istituto quando vi sentirete in forze. Dice anche che gradirebbe la Vostra presenza, domenica, alla festa che inaugurerà il primo anno accademico del collegio.»

«Bene, bene... E questa Margherita, oltre a gozzovigliare nei giardini di notte, cosa fa di bello e dove va?»


Stemma dei Ghisileri
(Chiesa di SS. Gregorio e Siro

«Questo proprio non lo so, professore. Sarà spesso a casa Ghisilieri e certamente alle messi solenni in San Pietro. Ora, poi che ha passato il periodo di lutto, penso che vada anche ai ricevimenti che fanno le autorità e le famiglie senatorie.»

«Ricevimento? Di cosa si tratta?»

«Padrone, io non lo so proprio... si dimentica forse che sono un povero plebeo? A quanto mi dicono dovrebbe essere come quando vado in osteria: si mangia si beve, si fanno quattro chiacchiere, qualche volta si gioca, spesso c’è qualcuno che suona... I nobili saranno meglio vestiti ed in luoghi più belli, ma la sostanza credo proprio non cambi.»

«Quello che Don Alvaro terrà domenica sarà un ricevimento?»


Il mercato in piazza Ravegnana
 (Miniatura del 1411)

«Senza dubbio, ed uno dei più importanti! Ho parlato con i servi, quando ci sono andato stamani e mi hanno detto che stanno preparando un pranzo da fine del mondo. Beati loro che avranno degli avanzi favolosi da dividersi... Qui da noi, invece, professore, in quanto al mangiare, si è un po’ parchi, se debbo dire il vero!»

Ma la sottintesa rivendicazione sindacale di Galeazzo non fu ascoltata dal vecchio Alberto e non per evitarla, ma semplicemente perché la mente illuminata del professore stava affrontando un sillogismo insolito e pseudoscientifico.

«Primo dato: Donna Margherita va hai ricevimenti importanti. Secondo dato: al Collegio di Spagna si terrà, domenica, un ricevimento importante. Ergo: Donna Margherita, domenica, sarà al Collegio di Spagna... E anch’io ci sarò!»

Questo pensava Alberto e, facendo poi seguire al pensiero l’azione (cosa in verità non molto usuale per il suo carattere), ordinò perentoriamente a Galeazzo di portargli la veste, il berretto ed il bastone. Poi domandò:

«C’è il mercato delle stoffe, oggi, in piazza?»

«Sì messere!»

«Prenderò anche la borsa col denaro!»

5. Una serata mondana a Collegio di Spagna

Nota 4

Il Collegio di Spagna sorse per iniziativa del Cardinal Legato di Bologna, Egidio Carilla Albornoz, vescovo di Toledo, che lo sanzionò nel proprio testamento del 29 settembre 1364. L’Istituto, destinato ad ospitare 24 scolari di nobile origine spagnola iscritti all’Università di Bologna, venne iniziato nello stesso anno e terminato nel 1367. Nel 1369 esso venne inaugurato dando ospitalità ai dieci primi studenti giunti appositamente dalla Spagna. Dopo oltre seicento anni il Collegio di Spagna è ancora attivo, praticamente senza aver modificato le finalità per cui venne istituito.

 

Il Collegio di Spagna (nota 4) era un palazzo nuovissimo e splendido. Dall’esterno sembrava una fortezza, con altre mura, merlature e rinforzi in ferro a finestre e portoni, ma all’interno, diventava una specie di villa, con loggiati luminosi, scalinate regali, sale decoratissime. Un vero edifico di rappresentanza, che imponeva in una delle più famose città del mondo, il nascente splendore di una grande nazione.


Facciata del Collegio di Spagna

Alberto non era mai stato a dei ricevimenti (non perché gli fossero mancati gli inviti, ma perché li riteneva veri perditempo) e si trovava spaesato in quell’ambiente. Già lo disturbava l’essersi messo un vestito nuovo, tutto damascato di colori sgargianti e con le calzature in raso che gli stringevano i piedi, non li scaldavano e gli facevano rimpiangeva la sua palandrana grigia ed i suoi scarponcini di cuoio; come se non bastasse, la musica dei liuti, dei flauti e delle cetre non lo soddisfava, sembrandogli troppo chiassosa e moderna e le vivande erano eccessivamente grasse e pesanti. Infine - e ciò era la cosa più grave - non sapeva che fare se non omaggiare le persone che conosceva personalmente perché erano dell’ambiente universitario.

Nonostante ciò, fu piacevolmente sorpresa della bellezza di tutto l’insieme e dalle personalità che lo circondavano e che non avrebbe mai creduto di trovare tutte riunite in un’unica sala. Era infatti presente - come aveva giustamente previsto il fido Galeazzo - tutto il mondo politico, aristocratico e culturale di Bologna: c’era il Comune con il Gonfaloniere di Giustizia, il Capitano del Popolo, il Podestà, i Rappresentanti delle Arti; c’era la Chiesa con il Cardinal Legato e gli altri prelati della Curia vescovile e delle Metropolitane; c’erano le famiglie senatorie Pepoli, Gozzadini, Bentivoglio, Orsi, Lambertini, Griffoni, Malvezzi, Fantuzzi, Marescotti, Ghisilieri e tante altre; c’erano infine i massimi esponenti dello Studio, con il Rettore dei legisti, quello degli artisti e i rappresentanti delle Nationes.

Armi di alcune famiglie bolognesi
(da “Cronologia delle famiglie nobili di Bologna, di Pompeo Scipione Dolfi – 1670)

Poi, c'erano le donne e Alberto fu sbalordito nel vederle tutte belle e corteggiate, elegantissime com'erano nelle vesti, ricercate nelle pettinature, altere nel portamento; ma fra loro, per lui, la più bella era senza dubbio Margherita, accompagnata dalle sue damigelle d'onore (e questo lo soddisfava), ma anche attorniata da giovani, che non nascondevano l'ammirazione che avevano per lei (e questo lo disturbava).

E fu proprio Margherita che lo chiamò a se:

«Messere!»

«Dice a me madonna?»

«Sì messere. .. Non fugga come ha fatto l'altro giorno, quando mi ha chiuso la finestra in faccia. Vorrei conoscervi. In fondo siamo vicini di casa e ciò deve essere spunto d'amicizia e non di avversione.»

«Sono Alberto Zancari, lettore della facoltà di medicina e filosofia presso lo Studio di Bologna. Sono onorato di far la sua conoscenza, madonna Margherita de’ Ghisilieri...»

«Se sapete già il mio nome, allora voi mi conoscete. Come spiegate, professore, questo mistero?»

La domanda era senza dubbio maliziosa, di una malizia tutta femminile, ma l'unico a non accorgersi di ciò fu Alberto che non conosceva certamente la sottile ed ironica arte del conversar mondano. Per lui era una domanda come le altre e come sempre rispose in tutta sincerità:

«Ho chiesto al mio servo chi voi foste, Madonna, ed egli me lo ha detto! Come vedete non c’è mistero alcuno.»

«E invece sì! E c'è anche offesa!»

Il tono imbronciato (falsamente imbronciato, per la verità, ma il professore questo non lo poteva capire, come non poteva capire i sorisetti degli astanti) sorprese alquanto Alberto che non seppe che dire. Margherita continuo:

«Eh, sì!.. Non capisco infatti perché voi siate tanto interessato alla mia persona e come mai, per saper chi sono, siate ricorso al pettegolezzo di un servo. Non era forse meglio chiedere di me e visitarmi?»

Alberto ammutolì. Non era certamente una persona accomodante, anzi, tutt'altro, e quando si trattava di sostenere le proprie tesi sapeva controbattere energicamente ed imporre le proprie idee a chiunque. Ma in questo caso c'erano due ostacoli ad una sua eventuale reazione: il primo era dato dal tipo di contesa, che riguardava una scienza (il vivere in società) non contemplata fra quelle di sua competenza; il secondo, ben più grave, era rappresentato dalla bellezza della donna che lo affascinava tanto da frastornarlo come fosse un ragazzino al primo amore.

Ragazzino non era, evidentemente, ma al primo amore sì.

Alberto stette alcuni secondi in silenzio, poi, chinando il capo, sussurrò prima di allontanarsi:

«Mi scusi, Madonna se vi ho offesa.»

Il guaio del suo imbarazzatissimo comportamento fu che a tutta la combriccola dei giovani apparve chiaro l'innamoramento del vecchio e ciò portò, né poteva essere diversamente, ad un’irriverente ilarità sulla sua persona e su tutta la vicenda.


Nobili del ‘300
(ricostruzione)

«Bel colpo Margherita! - Si complimentò ridendo un giovane - Due frasi dette ed un nuovo innamorato nel tuo carniere! Addirittura un professore dell'Università e vecchio come il cucco!»

«Innamorato quello? - affermò una bella moretta - Ma non lo smuoverebbe neppure Eros, anche se, invece dell'arco, usasse una balestra da torneo.»

«Matusalemme che si invaghisce della casta Susanna. - sentenziò un'elegante signorina che poi corresse - Anzi, il casto Matusalemme…»

«Chissà come sono le arti amatorie di un settantenne?... vale la pena provare, ma non fatelo fare a me... Sono già impegnata.» Disse ridendo un'altra ragazza, stringendo il braccio del suo cavaliere.

L'unica che rimase un po' perplessa del fatto, fu proprio Margherita, che chiuse l'argomento rivolgendosi agli amici in modo pacato ma fermo:

«Adesso basta, ragazzi. Io forse ho esagerato nello scherzare sui sentimenti di quel povero vecchio, ma voi oltrepassate i limiti. Celiare sull’amore è un gioco piacevole per chi lo sa fare, per dame e damigelle, che conoscono i pericoli ed i piaceri delle giostre d'amore e per i giovani messeri che ne sanno usare l'armi. Ma per quel vecchio? Se fosse innamorato veramente, cosa sarà di lui? Credo proprio d'aver sbagliato e che non meritasse la mia malizia e i vostri pettegolezzi.

La festa continuò e nessuno pensò più all'illustrissimo professore Alberto Zancari.

6. Si prepara una tresca


Antico Liuto
(Bologna, Museo Medioevale)

Le tre donne erano sedute su comode poltroncine, presso il pozzo del giardino. Margherita leggeva ad alta voce un libro; Virginia ricamava fiori su di un tessuto di seta azzurra; Barbara suonava con agili dita una cetra.

Le loro gentili occupazioni furono interrotte dal lento passaggio in strada di Alberto che apparve e scomparve dietro il cancello non senza dare una furtiva occhiata all'interno del giardino e in particolare a Margherita.

«È la terza volta, stamani, che passa di qui e che mi guarda. - disse lei alle amiche - Ieri lo avrà fatto dieci volte. È da due settimane che si comporta così, da quella sera che l'incontrai a Collegio di Spagna.»

«Perché non metti un portone al posto del cancello, così non lo vedrai più?» Suggerì Virginia.

«Non serve. La finestra della sua stanza dà su questo giardino e so che dietro le ante socchiuse, lui, quando è in casa, mi aspetta vigile per guardarmi. Non vi nascondo che sono molto a disagio...»

«Perché non lo chiami e gli dici chiaro e tondo di smettere d'importunarti? Magari puoi far intervenire uno della tua famiglia: sei una Ghisilieri e qui a Bologna, i tuoi contano e molto.»

«È strano ma provo per quel vecchio una certa simpatia... Non fraintendetemi! Intendo dire che non riesco a detestarlo e che non voglio fargli del male, ecco tutto!»

Barbara smise di suonare la cetra:

«Io credo - disse - che l'unica soluzione sia di fare come dice Virginia. Se proprio non vuoi fargli del male, invitalo a casa e convincilo. È una mente illuminata, capirà e la ragione prevarrà sui sentimenti... Anche se le reazioni di un innamorato vecchio non sono facili da prevedere.»

«Sì, farò così. Voi restate pure, io vado a scrivergli due righe pregandolo di venirmi a visitare.»

Margherita si alzò per rientrare in casa e le due amiche si avvicinarono per meglio parlottare:

«Ecco fatto - disse Barbara - Il problema è risolto. Margherita si illude se vuole convincere il vecchio con la dolcezza. Occorre qualcosa di più forte. Quando il professore sarà qui, toccherà a noi fargli cambiare idea e l'unico modo sarà il prenderlo in giro, come d'altra parte merita. Un vecchio decrepito che corteggia Margherita è un affronto alla sua bellezza e a tutte noi che le siamo amiche.»

«D'accordo, però sei certa che lei lo voglia?»

«No, a quanto sembra, ma noi agiremo ugualmente.»


Tre dame del trecento
(ricostruzione)

«Non era questo che volevo dire. Margherita in questi ultimi tempi è cambiata. Non ti sei accorta come è diventata seria? Oggi, per esempio, stava leggendo un insulso sonetto del Guinizelli, invece delle novelle di Messer Boccaccio. Giovedì scorso - ed è tutto dire! - non è andata al ricevimento dei Canetoli ed ha preferito restare qui in casa sola...»

«Non si sentiva bene...»

«Storie! Un mese fa era dai Pepoli con la febbre alta e nessuno neppure se ne è accorto. Ma non è finita! Da quant'è che non riunisce gli amici qui da lei? Perché invece che alle funzioni solenni, va a messa la mattina presto senza accompagnatori?»

«Insomma, che cosa vuoi dire?»

«Voglio dire che il vecchio ha fatto breccia nel suo cuore. Non si sarà certo innamorata, questo no, ma ho la sensazione che Margherita abbia per quell'uomo un'inspiegabile bonaria comprensione, rarissima in una donna che ogni giorno da mesi si deve liberare di innamorati importuni.»

«A miglior ragione quindi, è nostro compito intervenire. Se Lei questa volta è in imbarazzo, dovremo provvedere noi e quando l'esimio professore Alberto sarà qui, noi gli faremo capire che la nostra amica non è fatta per un vecchiaccio pedante, né mai lo sarà. Ci burleremo di lui apertamente fino a farlo vergognare del suo comportamento e a rinsavirlo!»

7. Invito a un Party

Galeazzo entrò nella stanza e porse ad Alberto una lettera. Lui l'apri e lesse:

 

Illustrissimo Alberto Zancari,
esimio Dottore della Studio di Bologna,

conto umilmente sulla Vostra graditissima e sperata presenza, domani pomeriggio, a casa mia, dove mi riunirò con alcuni amici per una modestissima festa.

Vogliate scusare l'ardire del presente invito e credere ch'esso ha lo scopo di esprimere le mie profonde doglianze per come l'ebbi a trattare giorni addietro a Collegio di Spagna.

È con vergogna che ripenso a come una donna di poca cultura quale io sono, Vi abbia con tanta malignità trattato, Voi che siete onorato da tutti e in tutto il mondo per la Vostra scienza e l'intelletto.

Se verrete, cosa di cui vi prego con umiltà, Vi accorgerete che ciò che dissi e feci è stato solo leggerezza e sciocca vanità, delle quali mi scuso da profondo del cuore, dove c'è tanto spazio per offrire amicizia a chi, come Voi, merita rispetto ed onore.

Umilmente Vostra,

Margherita de' Ghisilieri

 


Un manoscritto del 1387, conservato
nell’archivio notarile di Bologna

Alberto lesse diverse volte il messaggio, poi si rivolse a Galeazzo per informarlo del suo contenuto, che scotendo la testa commentò:

«Volete sapere il mio parere, padrone? È una presa in giro. Ma voi credete veramente che quella donna v'inviti a casa sua per amore della vostra compagnia? Siete un illuso! Vuole farsi burla di voi con tutti gli amici, vuole svergognarvi. Non andateci, padrone: farete la fine di quel lupo che orgogliosamente per anni guidò il suo branco, ma che poi venne sbranato da quelli più giovani ch'egli stesso guidava. Peggio! Sarete sbranato dalle lupe, perché qui si tratta di donne e le donne, credetemi, sanno mordere con ben più crudeltà dei maschi.»

«Forse hai ragione, Galeazzo, ma chissà che questa volta non sia un vecchio lupo a sbranare i giovani, maschi o femmine che siano. Se ciò che dici è vero, può darsi che non sarà un pomeriggio piacevole, ma almeno sarà vissuto... il che non è poco, credimi, per me e alla mia età. E poi, caro amico mio, madonna Margherita è diversa da chi la circonda ed io l'ammiro: non rifiuterei mai un suo invito, anche se, per gustare una goccia soltanto del suo miele, dovessi essere punzecchiato da un intero sciame di api.»

Nota 5

Allievo di Irnerio, fondatore dell'Università di Bologna, Bulgaro fu uno dei massimi giuristi del XII secolo. La citazione di Galeazzo si riferisce ad un aneddoto: Bulgaro si sposò molto vecchio e con una donna particolarmente libera. Il giorno successivo alla prima notte di nozze, l'insigne giurista si presentò in classe e introdusse la lezione del giorno dicendo: “Vi parlerò di cosa già trattata da tempo e a voi non nuova... " Ovvia ed automatica l'ilarità degli allievi

«Fate come volete, padrone! Ma ricordatevi del grande giurista Bulgaro (nota 5)! Io vi ho avvertito.»

10. Il pioppo e l’uva

«Madonna Margherita, lieto di vedervi e riverirvi!»

«Illustre professore, la prego venga. Noi non usiamo molti convenevoli, quando ci troviamo. Venga, che le presento i miei amici: le mie dame di compagnia, Virginia Fantuzzi e Barbara Griffoni, le conoscete già, almeno di vista, credo?»

«Sì, ricordo… il giardino e al Collegio di Spagna… E’ un piacere il rivederle…»

«Questo è il cavaliere Corrado Orsi, con madonna Silvia Gozzadini. Li vedrà sempre vicini e credo che non vi debba spiegare il perché...»

«Capisco... »

«Ecco madonna Ilaria Carbonesi con il fratello Giacomo, or ora tornato dalle Romagne ove ha combattuto con Giovanni da Barbiano.»

Le presentazioni continuarono: erano in tanti, circa una quindicina, tutti giovani, belli ed eleganti, ma Alberto non si interessò di loro, tutto proteso ad ammirare Margherita e godendo del dolcissimo calore che la mano di lei gli trasmetteva, mentre lo guidava sottobraccio. Alla fine si rivolse ai presenti e disse:

«Scusate tutti, belle madonne ed aitanti messeri, se i vostri nomi - non per volontà, ma per stanchezza di mente - li ho già dimenticati; d'altronde voi tutti farete altrettanto con me, scordando la mia presenza una volta che vi avrò lasciati. E questo è giusto!»

La frase detta così bonariamente piacque e il professore, sedutosi su di una poltroncina, venne attorniato dai giovani.

«Perchè mai, illustrissimo, dite che ciò è giusto.»


Un professore dello studio, fra i suoi
studenti (Miniatura d’epoca)

«Se vi dico il perchè comincio a sentenziare e, quindi, ad annoiarvi, mentre voi tutti siete qui per provar diletto, non per ascoltare lezioni di filosofia da un vecchio barboso... E poi, ve lo confesso, anch'io sono qui per divertirmi e già lo sto facendo, trovandomi in sì gentile compagnia.»

Solo Barbara vide che Alberto, mentre pronunciava queste parole guardava Margherita, e lo fece notare:

«In gentile compagnia di chi? Siate sincero, professore!»

«Di tutti voi, senz'altro, ma in particolar modo di madonna Margherita, né credo, nel dire questo, di offendere alcuno, né di scandalizzare.»

«E una preferenza così tanto per dire - incalzò Barbara - oppure mirate a qualche cosa in particolare?»

L'auditorio, sorpreso da una domanda così diretta, ma desideroso di conoscere gli sviluppi di quel dialogo, si fece molto attento. Il professore sorrise:

«Vede dolce madonna - rispose - voi ponete una domanda non per sapere, ma per sentirvi dire ciò che già sapete. Orbene, se reputate che questi amici siano curiosi di ciò che a cui sembrate essere tanto interessata, parlate pure e dite loro la vostra verità. Coraggio, perché fate silenzio? O forse dubitate che nel parlare, dalle vostre rosse labbra esca una bugia o, forse peggio, un malizioso sottinteso?»

Poiché Barbara taceva, fu Virginia ad entrare in argomento:

«Si pensava che voi, professore, aveste un particolare affetto per madonna Ghisilieri, e che miraste in definitiva a conquistarne il cuore. Ora, se così fosse, non vi sembra strano che un uomo tanto anziano possa aspirare alla più bella donna della città, magari convinto di riuscire a conquistarle il cuore… e l’anima?»

A questo punto Margherita volle intervenire per far cessare un discorso tanto indiscreto e che, oltretutto, la riguardava personalmente, ma Alberto l'anticipò:


Codice glossato del 1220

«No, madonna, non si inquieti! A un mio amico professore, massimo luminare della nostra Università, uno studente chiese un giorno perchè per gli antichi romani le donne diventassero maggiorenni due anni prima degli uomini, ed egli rispose che era giusto così, perchè – spiegò, glossando la norma(nota 6) - esse sono come le malepiante, che crescono più in fretta.»

I ragazzi risero piacevolmente, mentre le donne si rabbuiarono.

«Ma io sono di tutt'altro avviso – si affrettò a precisare Alberto - nel senso che le malepiante non hanno sesso e ci sono quelle che crescono male e quelle che crescono bene. Così è nella vita umana e quindi nelle donne: ci sono quelle che nascono cattive e maliziose e non cambiano mai; ci sono altre che, cambiano col tempo...e ci sono infine quelle, come voi, madonna Margherita, che, nate bene, mantengono intatto il loro innato senso femminile, il quale, proprio perché tale, è sinonimo di bontà, freschezza, intelligenza e fascino. Le prime possono anche essere ammirate, ma amore non ne suscitano mai in nessuno; le altre innamorano tutti, vecchi compresi. Sarebbe strano e scandaloso, quindi, che io rimanessi insensibile a tanta grazia e non certo l'essermene innamorato.»

«Ma la vecchiaia - insistette Virginia - non va d'accordo con la giovinezza! è un contrasto come il brutto e il bello, il basso e l'alto, il bianco e il nero. Unire le due cose è come annullarle e ciò, se non è scandaloso, cosa di cui comunque dubito, è senz'altro pericoloso.»

«Il pioppo, il giovane, bello, alto, bianco pioppo, sorregge la vecchia, bassa, brutta e accartocciata nera vite, e da tale strano connubio nasce l'uva, il frutto più bello che madre natura abbia offerto all'uomo. Ma qui divaghiamo ed io vi annoio tutti...»

Il coro dei giovani, tranne Barbara e Virginia, fu unanime:

«No, professore, continui...»

«E su cosa continuare? Metteremmo in imbarazzo la nostra dolcissima ospite, trasformando la sua casa in un'aula di filosofia ed i suoi amici in tanti scolaretti. Né io né voi, né soprattutto lei abbiamo voglia di far ciò!»

«Sì invece - lo interruppe Margherita - la vostra conversazione, professore, è bella e piacevole. Non sbagliai ad avervi invitato ed ora io vi chiedo pubblicamente scusa per le mie amiche per avervi tanto maliziosamente pungolato e di aver tentato di trasformare la mia sincera ospitalità in una burla da bassa bettola.»

La voce di Margherita si fece più amabile, tanto che il suono sembrò ammutolire quello del liuto che parve diventare un romantico sottofondo alle sue parole.

«Se voi mi amate – concluse Margherita - ebbene io, che pur non so quale affetto mi avvicini a voi, senz'altro vi ammiro ogni giorno di più e se voi vorrete, professore, potrete venire nella mia casa quando e come vorrete. Il tempo dirà se la mia ammirazione per voi è qualcosa di più e se lo fosse, io stessa trasformerei la vostra speranza in realtà.»

«Il tempo... - sospirò Alberto – Già il tempo… Tanto ne è passato per me e tanto poco me ne rimane...»

 

 

 

 

 

 

FINE